DIECI

Beaumarchais è arrivato alla locanda all’alba, si è tolto le scarpe, le calze e le mutande e si è sdraiato a letto così com’era.

«Mio caro signore» gli ho detto. «Ho pensato che domani alle cinque potrebbe essere un buon momento per andare con tutta la comitiva al negozio del cioccolatiere Fernandes per vedere il macchinario che ci ha spinti a intraprendere questo viaggio. Così voi avrete potuto riposare e i...»

Ma evidentemente Beaumarchais era stravolto – e forse anche molto soddisfatto – perché come risposta si è messo a russare.

Mi sono alzato, nervoso, ho riempito la bacinella e mi sono lavato la faccia. Lo specchio mi ha restituito la mia immagine con la stessa espressione ebete di sempre, ma peggiorata dalla presenza di occhiaie scure sotto gli occhi. Non avevo praticamente dormito. Tuttavia avevo bisogno di vedere subito la mia Marianna. Il mio cuore non sopportava altre ore lontano da lei.

I miei abiti, a differenza di quelli del segretario del re, erano attentamente piegati su una sedia. Li ho indossati in fretta e furia e quando stavo per mettermi le scarpe ho avuto una bella sorpresa.

Come per incantesimo, era apparso sul tavolo un pacchetto di velluto turchese a me molto famigliare. Ho controllato senza far rumore: era proprio il pacchetto con dentro la vostra cioccolatiera, quella che mi avevate consegnato insieme alla lettera. Ho spostato il velluto e mi sono imbattuto nella delicatezza della porcellana bianca, il manico elegante, il coperchio, il beccuccio, l’iscrizione alla base: ‘Je suis à madame Adélaïde de France’. Non c’era alcun dubbio, era la vostra cioccolatiera! La stessa che mi aveva sottratto la prima notte quell’impostore di Mimó travestito da capitano generale! E come mai ora era lì, in mezzo alle cose di Beaumarchais?

Ho scosso senza farmi alcuno scrupolo il mio compagno di stanza. Avevo bisogno di una spiegazione.

«Come mai avete la cioccolatiera di madame? Dove l’avete presa?»

Ma non c’era nulla da fare contro il sonno del segretario del re. Sono soltanto riuscito a fargli farfugliare quattro parole messe in croce.

«La cioccolatiera... ah... sì... prendetela... ve l’ho portata».

E si è girato dall’altra parte, dopo aver ripreso a russare come un ghiro.

Era evidente che quello non era un momento adatto alle spiegazioni. Comunque non aveva importanza perché la cioccolatiera era una scusa perfetta per andare a trovare la mia Marianna e portare – finalmente! – a termine i vostri desideri.

Ho messo la porcellana nel tascapane e sono sceso dalle scale come uno spiritato, con tutta la fretta che mi consentivano le mie gambe magre e giovani. L’ultima cosa che volevo era andarmi a imbattere in uno dei tre cioccolatieri francesi. Ma, come suole accadere con tutti i brutti pensieri, la provvidenza mi ha punito facendolo avvenire all’istante. Sulla porta della locanda ho casualmente incontrato Malesherbes, decisamente infuriato.

«Ci state evitando, signor Guillot? Giocate al gatto e al topo?»

«Nossignore, nel modo più assoluto!»

«E allora dove state andando a quest’ora e senza aver fatto colazione?»

«Devo risolvere una faccenda».

«Proprio quello che ha detto Beaumarchais quando ieri è uscito di tutta fretta. Che faccende potete avere in una città che non è la vostra e con le tasche vuote? I miei compagni e io siamo stanchi di tutti questi misteri!»

«Non c’è alcun mistero, abbiamo già stabilito l’incontro».

«Ah sì? E quando avverrà?»

«Domani pomeriggio, signore, alle cinque in punto. Ci vedremo tutti nel negozio del signor Fernandes».

Quell’uomo era una montagna e mi sbarrava completamente il passo! Sebbene gli avessi già detto ciò che voleva, non mi lasciava uscire.

«E ora cosa vi prende?» ho detto.

«Perché mai dovrei credere a uno come voi?»

«Perché non c’è nessun altro, signore».

Ero stanco. L’unica cosa che mi è venuta in mente è stata di mettermi a quattro zampe e passargli tra le gambe mentre alzava la voce.

«Ditelo agli altri, Malesherbes! Anche a Beaumarchais!»

Ho percorso di fretta le strade, che diventavano più sicure a mano a mano che la neve si scioglieva. Era ancora lontano il tepore che mi aspettavo di trovare in una città di mare, ma almeno adesso il mantello aveva qualche effetto.

Sono arrivato a carrer de les Tres Voltes in quattro falcate e mi ha sorpreso molto trovare due sentinelle armate davanti alla porta. La mia Marianna stava parlando con il signor capitano generale, quello vero, il tale González de Bassecourt che non aveva ancora risolto i nostri problemi. Mi sono subito reso conto che non era lì proprio per comprare della cioccolata.

La dolce Marianna era seduta su una sedia davanti al bancone e lui stava girando per il negozio facendo un gran rumore con le scarpe e continuando a porle domande degne di un inquisitore: «Vi prego di non farmi perdere troppo tempo, signora. Ho faccende molto importanti e molti fastidi che mi aspettano. Niente di meno che traffico d’armi! E devo stare qui a parlare di cioccolata! Ma ultimamente abbiamo ricevuto molte denunce contro di voi e questo non è tollerabile. Il re è un vostro cliente! Se lo state avvelenando e io non faccio nulla, mi appenderanno alla forca senza permettere che mi difenda. Quindi rispondete una volta per tutte! E ditemi la verità!»

«Ve l’ho già detta, signore. Le denunce non hanno alcun fondamento. Constatatelo voi stesso».

«E allora come mai ce ne sono così tante? E tutte di colpo?»

«Perché sono in tanti a volermi male, signore».

«Quindi voi giurate di non aver mai adulterato la cioccolata al fine di abbatterne i costi?»

«Mai, signore».

«E non avete mai aggiunto qualche ingrediente disgustoso al fine di vendicarvi di qualcuno o di fare un maleficio?»

«Ovviamente no, signore. Sono una cioccolatiera, non un’alchimista. E nemmeno una strega come invece vi vogliono far credere».

«Avete idea di quali porcherie si dice che mettiate nella vostra cioccolata?»

«Eccome se lo so, signore. Sfortunatamente».

«Giurereste davanti a un giudice che sono accuse false, se fosse necessario?»

«Lo giurerei davanti a Dio. E inoltre lo potrei dimostrare».

«Dite che vi vogliono male. Parlate di qualcuno nello specifico?»

«Parlo di tutta la corporazione dei cioccolatieri. E dei droghieri, degli zuccherieri e dei mugnai».

«Caspita! Si tratta di molta gente! E avete fatto qualcosa a tutte queste persone?»

Il capitano generale, visto così da vicino, sembrava davvero un pusillanime. Guardava Marianna come avrebbe guardato una sfera di cristallo, in attesa di qualche magico risultato. Dentro lo lacerava un grande dilemma: ascoltare le denunce era necessario – per via della faccenda del re, grande bevitore di cioccolata – ma forse commetteva un’ingiustizia, forse avrebbe dovuto ascoltare quel che diceva il cuore e lasciare libera quella creatura così bella. Il signor González era perso tra i dubbi.

«Signore, se mi consentite l’audacia» sono intervenuto. Se non l’avessi fatto, sarei esploso. «Vi risponderò io a nome della signora, che è troppo modesta per dirvi la verità. Il motivo per cui tutti questi codardi vogliono che il negozio venga chiuso è soltanto uno: Marianna è la migliore cioccolatiera di Barcellona. Cosa sto dicendo? Di Barcellona? Di tutta la Catalogna! Dell’Europa! Della terra civilizzata!» Ho fatto una pausa. «A voi piace la cioccolata, signore?»

«Molto» e ha fatto un’espressione discola.

«E avete provato quella di questo negozio?»

«Mai. Per mia sfortuna...»

«Alzatevi, Marianna, lasciate che il signor capitano generale si accomodi: lo aspetta una giornata pesante e ha bisogno di forze. Trafficanti d’armi, avete detto! Che responsabilità! Mettetevi comodo, signore». L’ho accompagnato, sostenendolo per le spalle, fino alla sedia e l’ho aiutato delicatamente ad accomodarsi, davanti ai soldati che, dalla porta d’ingresso, osservavano con la coda dell’occhio. «Lasciate che vi offriamo un piccolo assaggio di quella che piace tanto a Sua Maestà re Carlo, i cui gusti differiscono da quelli del suo lontano cugino Luigi XVI di Francia. Come si sa sono difficili da mettere d’accordo. Dopo averla provata, potrete dire da quale parte state».

«Non so... signore... non so se... ma tra l’altro, voi chi siete?»

«Victor Philibert Guillot, signore, per servirvi, il più grande ammiratore della cioccolata del signor Fernandes e di sua moglie, arrivato direttamente da Versailles per cantarne l’eccellenza». Credo che questa presentazione l’abbia impressionato, ma ancora di più ciò che ho detto di seguito. «Mi pare che giusto un paio di giorni fa abbiate avuto l’occasione di conoscere l’uomo a capo della nostra ambasciata, il celebre autore di commedie Caron de Beaumarchais, che è venuto a trovarvi in merito a un fatto molto sgradevole di cui siamo stati vittime. Ricordate?»

Il capitano generale si è sciolto in brodo di giuggiole al solo pensare a Beaumarchais.

«Ah, quell’uomo! Quanto lo ammiro!» ha detto. «Se sapeste quanto ho riso guardando Le nozze di Figaro! Credo che non si sia mai scritto nulla di meglio!» Poi è rimasto un attimo in silenzio per permettere che il ricordo di Figaro svanisse dall’ambiente e, meno esaltato, ha proseguito: «Proprio per questo mi spiace molto non essere riuscito a risolvere la questione del furto! Siamo stati davvero sfortunati con tutto questo insieme di disgrazie».

«Non preoccupatevi! Con la città piena di trafficanti d’armi, non mi stupisco che abbiate altre cose da fare!» l’ho scusato (perché mi conveniva, è ovvio).

Lui ha tirato un sospiro di sollievo e direi che si è sentito compreso.

«E non ci sono soltanto i trafficanti d’armi, signore. Ci sono cose ancora peggiori!»

«Per esempio?»

«Sfortunatamente non posso dirvelo».

«Ah! Che peccato. Devo riconoscere che mi ha incuriosito. Ma ora non pensate a queste cose sgradevoli. Bevete una goccia della bevanda più confortante che esista, creata da queste mani da fata e servita in una tazza apposita, com’è ancora d’abitudine nelle Americhe. Questa tazza con il piattino con un incavo nel centro è di maiolica ligure, la più fine esistente, portata apposta a Barcellona per soddisfare i palati più fini! Vedete che schiuma fa la bevanda? Ecco come la beve ogni pomeriggio re Carlo. E fatta così piace abbastanza anche al Papa. Come sapete la cioccolata inizialmente era un piacere aristocratico, monarchico e vaticano, per quanto ora abbia raggiunto le mani sporche e pelose del popolo! E ora, per cortesia, non dimenticatevi di pulirvi i baffi, non fosse mai che scoprissero dove siete stato!»

Il capitano generale ha annusato il contenuto della tazza, prima di berne un sorso, ancora un po’ sospettoso. Poi gli è stato impossibile smettere. Marianna era entrata nel retrobottega a cercare qualcosa.

«Vedete?» ho proseguito, davanti alla sua espressione deliziata. «Questa stessa cioccolata mescolata con pezzettini di pane o frutta fresca appena raccolta è quella che beve due volte al giorno il barone di Maldà, uno dei tanti clienti illustri di questo negozio. Lo conoscete? Ovviamente sì! Che razza di domanda! È ovvio che tra persone di un certo livello siete tutti vecchi amici. Adesso assaggiate questa delizia che vi ha appena portato la signora e vedrete che ne vorrete ancora».

«Cos’è esattamente?»

«Una cioccolata solida come non ne avete mai assaggiata».

«Solida? Non sapevo esistesse».

«E invece eccola qui. Esiste perché suo marito è un genio. Vi posso assicurare che se il signor Fernandes fosse qui vi delizierebbe raccontandovi un’infinità di teorie filosofiche, economiche, gastronomiche e addirittura astrologiche che ha dovuto tenere in conto nel progettare la sua meraviglia. È un vero peccato che sia in viaggio e che ci debba impiegare ancora un po’ a rientrare. Di certo questi uomini che vogliono che la signora Marianna chiuda vi devono aver raccontato qualche malignità...»

«In effetti, mi hanno detto che non tornerà».

«Frottole! Nient’altro che frottole! È a Versailles. A voi pare che Versailles sia un luogo da cui la gente non torna? Guardate me: entro ed esco come desidero. E il signor Fernandes farà lo stesso una volta terminato il lavoro segreto che sta portando a termine per Sua Maestà, re Luigi».

«Lavoro segreto?»

«Mio Dio, non raccontatelo a nessuno». Poi ho abbassato la voce: «Il signor Fernandes ha ricevuto l’incarico dalle figlie del re. Vogliono avere tutto per loro un macchinario come quello che Fernandes ha qui a Barcellona. Quelli della corporazione stanno morendo d’invidia. Il talento altrui non è ben accetto».

«Quanto avete ragione! Io soffro dello stesso problema quotidianamente» diceva il capitano generale, con la bocca piena.

«Ci credo, signore, ci credo! Come trovate la cioccolata?»

«Deliziosa!»

«Vi sentite un po’ più sereno?»

Tutte quelle confidenze avevano intenerito il capitano generale, che rispose confidando i suoi, di segreti: «Oh, signore mio, non posso rasserenarmi. Sono circondato da inetti e illetterati che non sanno nemmeno dov’è l’America!»

«Parlate sul serio?» ho detto facendo finta di esserne molto sorpreso.

«Avete presente i trafficanti d’armi di cui vi ho parlato?» ho assentito. «Ecco, sono sostenitori dell’indipendenza americana».

«L’indipendenza? E perché quella banda di selvaggi vuole essere indipendente?»

«Non lo so, signore. Sono degli ignoranti. Non staranno mai meglio senza il controllo della civilizzazione. Governarsi da soli? Che bestialità. Se non hanno nemmeno un re! E quando capiranno di non farcela, torneranno con la coda tra le gambe chiedendo che un vero governo si occupi di loro. E allora si vedrà chi è che tiene le redini del mondo e qual è il prezzo di tanta superbia».

«Sono assolutamente d’accordo! Avete appena illustrato il futuro!»

«E dunque, questi fantasmi che sto cercando vogliono mandare denaro e armi ai ribelli perché lottino contro l’impero britannico. E vogliono farlo partendo dal porto di Barcellona, pensi un po’!»

«Capisco. Avete già fatto ispezionare tutti i vascelli?»

«Tutti. Uno per uno. Ma non abbiamo trovato nulla».

«E sono tanti i fantasmi?»

«Non posso saperlo. A volte sembrano molti, altre uno solo».

«Che situazione! Mangiate, mangiate, recuperate le forze. Marianna, servitegliene un altro piatto».

«Sono disperato, signor Guillot!»

«Vi capisco, amico mio. Forse avreste bisogno di aiuto».

«Ne ho di aiuto, non credete. In questi giorni c’è di stanza a Barcellona niente di meno che un commandeur del Reale e Militare Ordine di San Luigi. È lui che si è occupato di rivoltare uno a uno i vascelli. È un uomo molto rigoroso».

«Dell’Ordine di San Luigi?» mi sono agitato.

«Si chiama Charles. Forse lo conoscete?»

«Charles?» ci ho pensato su un attimo. «No, non so chi sia».

Quella conversazione mi stava dando più informazioni di quanto sperassi. Per rilassarci un attimo, sono tornato alla cioccolata.

«Provate questa, signore. È fatta con lo stesso cacao portato da Hernán Cortés dal Messico la prima volta. Non sapevano cosa farne e l’hanno mandato al convento di suore. A loro è venuto in mente di mescolarlo con lo zucchero. E poi dicono che gli ordini religiosi non servono a nulla».

«Potete ben dirlo».

«Non siate timido! Questo alimento vi aiuterà a risolvere tutta la faccenda, ne sono sicuro. È un cibo molto energetico, lo dicono tutti i medici. E ha effetti miracolosi! Per caso conoscete la storia della signora Rosa Catalina Font?»

«Rosa Catalina... no. Chi è?»

«Ebbene, questa signora Rosa Catalina è una vicina di carrer dels Mirallers e, sebbene sia difficile da credere, sta per compiere centodue anni e ha una salute di ferro».

«Davvero? E come ha fatto?»

«A ottantacinque anni è entrata a servire in una casa della quale si è occupata da sola fino a novantatré anni. E come mai? Perché ogni giorno mangiava verdure dell’orto e beveva due tazze di cioccolata di Fernandes. Le posso assicurare che non ha mai avuto un malore, per quanto leggero. A cent’anni le è venuta l’erisipela in testa ma le hanno fatto due o tre salassi e in breve si è ripresa. E nemmeno i salassi l’hanno debilitata. E oggi come oggi, alla sua età, fila e cuce e si occupa da sola delle faccende domestiche. Non vi pare un miracolo? Ecco, questo è ciò che vendono qui, dietro al bancone».

«In fondo è molto interessante. Non sapete quanto vi sono grato per ciò che mi avete offerto. Ma ora devo andarmene. I trafficanti...»

«Ovvio, signor González de Bassecourt, i trafficanti vengono per prima cosa! Ma vi prego, portatevi quel che resta nel piatto per il tragitto. E tornate ogni volta che avrete l’impressione di essere giù di morale, perché per questo non c’è rimedio migliore della cioccolata».

E non appena il capitano generale è uscito, molto più energico, io mi sono seduto sulla sedia per cercare di districare quella matassa che mi sembrava sempre più intricata.

Ho chiesto a Marianna se potevo avere anch’io una tazzina di cioccolata e a quel punto mi sono ricordato che avevo ancora la vostra...

Ma aspettate, mia signora, prima di proseguire faremo una pausa, nel caso avesse qualcosa di importante o di urgente da fare, prima di continuare ad assorbire parole e ancora parole.