Capitolo Tredici

Adriana

Non parlammo molto durante la colazione. Vedevo che aveva molti pensieri per la testa e anche io. Quando finimmo, mi offrii di aiutarlo a lavare i piati.

«Li faccio io» disse, poi indicò con un cenno la mia borsa. «Devi chiamare qualcuno per avvisare che stai bene.»

«Esatto. Volevo chiamare mia mamma» dissi, togliendo il telefono dalla borsa. Entrai in salotto e feci il numero. Vedendo che non rispondeva, le lasciai un messaggio in cui le dicevo che ero rimasta a dormire da un’amica e che ci saremmo viste più tardi. Mentre stavo per chiudere, mi chiamò Krystal.

«Cos’è successo ieri notte?» chiese.

Le raccontai tutto e lei ebbe un sussulto.

«Jason mi ha detto che gli avevi chiesto di accompagnarmi a casa. È così?»

«Ti reggevi a stento e ho pensato che fossi ubriaca. Insomma, lui si è offerto volontario e sembrava gentile.»

«Ovviamente era tutta una recita.»

«Mi dispiace tanto, Adriana. Non sapevo che ti avrebbe fatto una roba simile.»

«Sì, beh, anch’io sono ancora sconvolta.»

Lei sospirò. «Ti ricordi di essere uscita dal locale?»

«Non proprio. Ricordo che mi ha aiutata a salire in macchina. Poi sono svenuta e poi mi sono ritrovata con le sue mani addosso.»

«Oddio, devi aver avuto paura.»

«Ero confusa e poi incazzata, più che altro.»

«Mi sento proprio un’idiota. Ti ha quasi violentata» disse con voce spezzata. «Mi dispiace tanto. Non avrei dovuto farti accompagnare a casa da lui.»

«Non è colpa tua. Eri parecchio brilla.»

«Sì, ero sbronza. E anche Tiffany. Grazie a Dio è arrivata a casa sana e salva dopo avermi accompagnata.»

«Che cos’ha fatto Monica?»

«È andata a casa, subito dopo di te.»

Sospirai. «Credi che c’entrino qualcosa gli amici di Jason?»

«Forse. Non lo so. Gary non mi sembrava il tipo. Abbiamo parlato della sua ex ed ha cominciato a piangere. Non ce lo vedo a fare una cosa del genere. A meno che non fosse tutta una cazzo di recita.»

«E Brian?» chiesi, abbassando la voce.

«Difficile dirlo. Sono abbastanza sicura che non hanno messo niente nel mio drink. E in quello di Tiff.» Poi mi spiegò che loro quattro erano rimasti fino all’ora di chiusura e poi si erano divisi.

«Brian mi ha persino chiesto il numero di telefono» disse. «Credo volesse di più ieri sera e, ad essere sincera, probabilmente l’avrei accontentato se Tanca non mi avesse mandato un messaggio.»

«Sei ancora da Tanca?»

«No, sto tornando a casa. Mi ha accompagnata alla macchina. Comunque, tu sei ancora da Raptor?»

«Sì.»

Inspirò bruscamente. «Avete scopato?»

«Oddio, no!» risposi un po’ bruscamente. Poi abbassai la voce. «Non ero proprio dell’umore per certe cose. Non dopo quello che è successo.»

«Già, immagino di no. Scusa.»

«Tranquilla. Cioè, sì... è molto interessante» dissi e mi girai, vedendo che era dietro di me ad ascoltarmi. Gli voltai subito le spalle. «Devo andare. Ci sentiamo dopo.»

«Chiamami prima delle nove. Devo tornare al locale stasera. Con Tanca e Raptor. Vogliono cercare quel tipo, Jason.»

Aggrottai la fronte. «Ecco, un’altra cosa. E se non mi ha drogata?»

«Deve averlo fatto. Se ci pensi, non potevi essere tanto ubriaca dopo uno shot e un misero Rum e Coca. Qualcosa non va, decisamente.»

Sospirai. «Forse.»

«Senza forse. Ti hanno messo qualcosa nel bicchiere. Comunque, devo andare. Sono arrivata nel vialetto di casa. Ci sentiamo dopo?»

«Sì. Ti chiamo io.»

Riattaccammo e mi girai verso Trevor, che mi guardava con espressione severa.

«Che c’è?» chiesi.

Lui incrociò le braccia al petto. «Ti ha drogata. Non so perché fai fatica ad accettarlo.»

Emisi un sospiro rabbioso. «Lo so. È solo che è tutto così... surreale, capisci? È come se fosse successo a qualcun altro.»

«Lo vorrei tanto. Ma una cosa te la posso dire, di certo è successo alla ragazza sbagliata» disse. «Perché ora quel pezzo di merda la pagherà per quello che ha fatto.»

Era sconvolgente vedere tanta determinazione sul volto di Trevor. Anche se ci eravamo conosciuti la sera prima, si comportava come se Jason avesse attaccato lui personalmente. Una parte di me era lusingata che volesse vendicarmi. L’altra parte era un po’ sopraffatta da tutto quanto.

«Mi sa che mi conviene tornare a casa» dissi, notando che era quasi mezzogiorno.

«Nessun problema. Prendo delle cose e andiamo.»

«Ok.»

Mentre lui si preparava andai in bagno e poi lo seguii fino al garage.

«Non ti dispiace andare di nuovo in moto, vero?»

«Per niente» dissi. Era una bella giornata. Dovevano esserci quasi sedici gradi e il sole brillava.

«Vuoi ancora la mia giacca di pelle?» chiese, mettendosi la giacca.

«Sto bene così. Il mio maglione è caldo» risposi. «E tu attutisci il vento.»

«Vero. Sentiti libera di scaldarti le mani su di me, se senti troppo freddo.»

«Va bene.»

Sembrava sul punto di dire qualcosa, ma poi parve cambiare idea.

«Che c’è?»

«Niente» disse, sollevando gli angoli della bocca.

Feci un sorrisetto. «Sì. Dalla tua espressione, direi che c’era qualcosa.»

Qualcosa di sconcio, molto probabilmente.

Si mise gli occhiali da sole. «Credi di aver capito tutto di me?»

«Non direi.»

«Probabilmente è un bene. Ho la sensazione che se conoscessi il vero me, scapperesti a gambe levate.»

Sorrisi. «Forse. Ma non prima di fare un altro giro sulla tua motocicletta.»

Ridacchiando, salì sulla sua Harley e accese il motore. «Pronta?»

Allungai una gamba sulla moto e partimmo.