Per fortuna, il resto della giornata passò tranquillo al negozio e non ricevetti più chiamate da quel pazzo di Scatafascio. Nemmeno Trevor mi richiamò, né si presentò al negozio, cosa che accolsi con sollievo. Mia mamma avrebbe perso le staffe.
Quando arrivarono le sei, chiudemmo le porte e cominciammo a fare l’inventario. Jim restò con noi, cosa di cui gli fui grata, visto che stare da sole in una gioielleria, di sera, metteva paura. Dopo aver controllato tutti i gioielli, Jim li ripose attentamente nella grande cassaforte, dove sarebbero rimasti fino al mattino. Quando arrivarono le nove, avevamo finito con tutti i centonovanta articoli e io non vedevo l’ora di andarmene. Leggere tutti i codici articolo sulle minuscole etichette era estenuante.
«Deve esserci un modo più facile per fare l’inventario» le dissi.
«Sì, ma a me piace farlo così.»
«Ma adesso si possono usare i lettori di codici a barre, mamma. Terresti meglio traccia degli articoli.»
«Costa troppo» disse e poi sorrise. «Il sistema che usiamo noi è gratis.»
A volte era così parsimoniosa e all’antica da risultare irritante. «Va bene. Se ti piace fare le cose nel modo più difficile.»
«È facile con il tuo aiuto. Ora andiamo al Sicily» disse mia madre mentre chiudevamo il negozio. «Offro io per averti fatto fare le cose in modo difficile. Anche a te, Jim.»
«Certo, se insisti» disse Jim, con occhi scintillanti. «Amo il cibo italiano.»
«Mamma, scusa, ma io non posso» risposi, prendendo le chiavi della macchina dalla borsa. «Mi devo vedere con Krystal.»
Lei si fermò. «Di nuovo? Pensavo aveste festeggiato il suo compleanno ieri sera» rispose, aggrottando la fronte.
«Lo so. Ma siamo solo noi due. La serata di ieri è stata assurda e non siamo riuscite a parlare granché.»
«Non avete avuto tempo di parlare quando sei stata a dormire da lei?»
«No. Ci siamo addormentate subito» mentii.
«Ci vediamo al ristorante» disse Jim, andando verso la sua macchina. Vedevo che non voleva avere a che fare con quella conversazione.
«Ciao» lo salutai.
Jim si girò e mi salutò con la mano mentre raggiungeva la sua Toyota. «Buona serata, Adriana» rispose e poi guardò mia mamma. «Ci vediamo tra poco?»
«Sì» disse lei, sorridendo. «Tra pochissimo.»
Lui ricambiò il sorriso e salì in macchina.
Lei si girò di nuovo verso di me. «Non vi vedrete con quel tipo della motocicletta, dopo, vero?»
«Mamma, la vuoi smettere?» esclamai, esasperata. «So quello che faccio.»
«No, Adriana, non credo. Hai solo ventun anni e sono sicura che i cattivi ragazzi come lui sembrino fighi, ma...»
«Cattivi ragazzi? Mamma, ti prego» la interruppi, cominciando ad andare verso la mia macchina, che era parcheggiata accanto alla sua. «Non è così.»
«A me è sembrato proprio così» disse seguendomi. «Dal modo in cui vi siete attaccati nel vialetto d’accesso.»
«Ci siamo solo dati un paio di baci» dissi, salendo in macchina. «Davvero, non devi preoccuparti per me.»
Il suo sguardò si ammorbidì. «Non posso farne a meno. Sei mia figlia.»
«La tua figlia adulta» le ricordai. «Senti, porta Jim a cena fuori e divertiti.» Abbassai la voce. «È evidente che sia pazzo di te.»
Lei sembrò sconvolta. «Cosa? No. No, non è vero.»
Lanciai un’occhiata a Jim, che era seduto in macchina ad aspettarla. «Oh, sì che è vero. Solo che tu non te ne accorgi. Smettila di preoccuparti per me e pensa a te stessa, tanto per cambiare. Vai ad un appuntamento, divertiti.»
Lei guardò Jim alle sue spalle e poi sospirò. «Un appuntamento?»
«Sì. Fai finta che sia un appuntamento.»
«Non posso fare una cosa simile al ricordo di tuo padre. Lo amo ancora e non sarebbe giusto.»
«Mamma, non devi smettere di amare papà» dissi dolcemente. «Ma non negarti la compagnia di una persona che ti adora. Una persona come Jim, gentile e sempre presente per te.»
Lei si mordicchiò il labbro inferiore. «Credi davvero che mi adori?»
«Credo che tu non ti sia accorta di come ti guarda. Ha una bella cotta.»
«Una cotta?» Arrossì. «Davvero?»
«Sì, davvero. Tu non sei attratta da lui?»
«Credo... di non averci mai pensato. Cioè, è bello.»
«Mamma, davvero, sei troppo giovane per diventare una vecchia zitella.»
Lei rise. «Una vecchia zitella?»
Sorrisi. «Esatto. Se cerchi la parola sul dizionario, sono sicura che tra poco ci sarà la tua foto, se non fai qualcosa.»
La mamma fece un sorrisetto. «Credi non sappia cosa stai cercando di fare?»
«Che vuoi dire?»
«Stai cambiando discorso.»
«Quello che sto facendo è farti capire che non puoi controllare chi fa parte della mia vita, ma puoi controllare chi fa parte della tua. In questo momento c’è un uomo dolcissimo con cui ti vedrai al Sicily. Gli piaci. Parecchio. Chissà, magari scoprirai che anche a te piace lui. E non solo come addetto alla sicurezza.»
Lei guardò di nuovo la macchina di Jim, ma non disse nulla.
Mi squillò il cellulare.
«È Krystal. Devo andare» dissi, guardandolo.
«Fai attenzione» rispose Vanda, incrociando le braccia al petto.
«Sì, e tu divertiti» dissi, facendole l’occhiolino prima di chiudere lo sportello.
Lei si girò e andò verso la sua macchina.
«Ciao, Krystal» dissi, rispondendo al telefono.
«Ehi, indovina?» esordì. C’erano delle voci sullo sfondo e mi resi conto che era in un posto affollato.
«Cosa?» chiesi, accendendo il motore.
«L’abbiamo trovato.»
«Chi? Jason?»
«Sì. Adesso sono in bagno. Al Club Hideaway. Ho scoperto tramite Gary che sarebbe venuto qui stasera. Tanca e Raptor stanno tenendo d’occhio Jason. Credo che affronteranno quel coglione all’esterno, visto che è pieno di buttafuori.»
Il mio cuore cominciò a battere forte. «Oddio, arrivo.»
«Ok. Ti faccio sapere se ce ne andiamo o se succede qualcosa.»
«Sono a venti minuti da lì. Arrivò il prima possibile.»
Riattaccammo e uscii dal parcheggio, chiedendomi cosa avessero intenzione di fare a Jason una volta rimasti soli con lui. Lo avrebbero solo picchiato o minacciato con qualche arma?
È assurdo, pensai. Avrei dovuto chiamare la polizia. Qualcuno si farà male.
Girai ad un angolo e, qualche secondo dopo, notai che la persona dietro di me aveva gli abbaglianti accesi. Poi mi accorsi che era un furgone. Quello di Scatafascio.
«Oddio» boccheggiai, spostandomi in fretta nella corsia di destra. Lo guardai seguirmi, sconvolta. Cercai di superare le altre macchine, volendo mettere un po’ di distanza tra noi, ma Scatafascio si tenne al passo. Spaventata, presi l’autostrada al volo e mi precipitai verso il locale, non sapendo cos’altro fare. Al massimo, potevo portarlo da Trevor. Ben presto raggiunsi i centotrenta chilometri orari nella corsia di sorpasso, grata che non fosse l’ora di punta.
«Dove cazzo è la polizia quando serve?» dissi ad alta voce, desiderando di attirare la loro attenzione. Ma, per qualche assurdo motivo, anche se era sabato sera e stavo guidando come una forsennata, non erano nei paraggi. Esasperata, guardai lo specchietto e vidi che Scatafascio mi era ancora alle calcagna. «Accidenti, sei proprio pazzo!»
La sua risata mi riecheggiò nella mente. Ero sicura che se la stesse spassando a spaventarmi a morte. Solo che non capivo perché fosse tanto ossessionato da una persona che aveva appena conosciuto.
Perché è fuori di testa.
Proseguimmo così, io che guidavo come una pazza e lui che mi seguiva a poca distanza, finché non mi accorsi che stavamo arrivando in città. Iowa City. Misi la freccia e, stavo per spostarmi nella corsia di destra per prendere alla prossima uscita, quando lui mi precedette, bloccandomi la stretta.
«Accidenti» urlai, rallentando.
Anche lui rallentò e poi accelerò mentre cercavo di entrare nella corsia. Ovviamente, mancai l’uscita.
«Vaffanculo, stronzo» borbottai, pensando che almeno si era tolto di mezzo e non mi stava più seguendo. Ma, quando guardai lo specchietto retrovisore, mi accorsi che mi sbagliavo. Evidentemente si era allontanato dall’uscita all’ultimo minuto e ora mi era di nuovo alle calcagna.
Furiosa, schiacciai con decisione l’acceleratore e proseguii per l’autostrada, determinata a stargli davanti così da poter prendere l’uscita successiva. Questa volta funzionò e riuscii a prendere la prima rampa mentre lui era ad una macchina di distanza. Mentre giravo e proseguivo verso Main Street, ricordai dov’era la stazione di polizia e decisi di portarlo lì, invece di andare al locale.
«Vuoi seguirmi, stronzo? Fai pure» dissi, guardandolo nello specchietto retrovisore.
Proprio come avevo previsto, continuò a seguirmi, ma poi, quando raggiunsi la centrale, se ne andò, salutandomi con la mano dal finestrino aperto.
«Sì, proprio come pensavo. Codardo del cazzo» borbottai, andando nella direzione opposta.