Capitolo Ventotto

Raptor

Quando i due detective se ne andarono, Vanda si girò verso di me. «È colpa tua» disse arrabbiata. «Se non fosse stato per te, non sarebbe successo niente.»

Prima che potessi rispondere, Adriana si mise in mezzo. «Mamma! Non è colpa sua. Lui non c’entra niente.»

«Fanno entrambi parte di una gang» disse, agitando una mano verso il mio gilè. «È ovvio che si frequentino. Non ti avevo detto che se avessi frequentato quelle canaglie di motociclisti ti saresti cercata guai?»

«Aspetti un secondo» dissi, ricambiando la sua occhiataccia. «Non ha nessun diritto di giudicare, e né gli altri del mio gruppo, se è per questo. E credo che mi debba delle scuse.»

Lei fece una risatina nasale. «Delle scuse? Certo. Che ci fai in casa mia?» chiese e guardò Adriana. «Adriana, che ci fa qui? Non ne abbiamo parlato oggi? Mi avevi promesso che non l’avresti più rivisto.»

Serrando la mandibola, mi ritrovai a sperare per la prima volta nella mia vita che una donna a cui ero interessato avesse le palle.

«Non l’ho mai detto» replicò lei. «E lui non c’entra niente. L’ho conosciuto tramite Krystal...»

«Che è stata rapita, Dio ce ne scampi» disse, facendosi il segno della croce. «Come fa Krystal a conoscere questa gente?»

«Frequenta Tanca» rispose Adriana. «Che fa parte del loro club. I Gold Vipers.»

Lei strinse le labbra. «E ti chiedi come sia potuto succedere? Non ti avevo detto quanto erano pericolose queste persone?»

«Signora, non permetterei mai che succedesse qualcosa a sua figlia. Ha la mia parola» ritentai, sperando che mi desse un po’ di tregua, per il bene di Adriana. Vedevo quanto voleva bene a sua madre e rispettavo questa cosa. Non mi piacevano le stronzate che le uscivano di bocca, ma non avrei fatto una scenata.

I suoi occhi bruciarono nei miei. «Non m’interessa della tua parola. È la parola della gente che frequenti che mi crea problemi.»

Serrai la mandibola. «I miei fratelli rispettano le donne. Quasi tutti.»

«E questo tipo, Scatafascio, era uno dei tuoi fratelli?»

«Col cazzo. Non faceva parte del nostro gruppo.»

«Che bel vocabolario» mi derise.

«Non ho mai detto di essere un santo, signora Nikolas.»

«Credimi, non ti scambierebbero mai per un santo» rispose.

Grugnii.

«Senti, non abbiamo tempo per discutere di queste cose, mamma. Dobbiamo andare in centrale.»

«Vengo con te» rispose, prendendo la borsa.

Adriana alzò una mano. «No, a dire il vero preferirei che restassi a casa.»

L’espressione di Vanda si fece delusa. «Perché?»

Emise un sospiro di frustrazione. «Perché non ho voglia di sentirti inveirmi contro per Trevor, mentre andiamo lì.»

Vanda mi guardò, gli occhi pieni di livore. Si rigirò verso Adriana e sollevò il mento. «Va bene. Vengo da sola.»

«Non c’è bisogno che tu venga» disse Adriana.

«Certo che sì. Deve venire qualcuno per sostenerti» disse Vanda.

«C’è già quel qualcuno. Io» risposi.

«Se vuoi proteggere mia figlia, devi stare fuori dalla sua vita» disse risoluta.

«Mamma!»

«Mi dispiace, Adriana, ma sai cosa penso dei motociclisti. Non farò finta di essere felice di avervi trovati insieme in casa mia.»

«Pensavo che fosse anche casa mia» disse Adriana, che ora sembrava arrabbiata quasi quanto me.

«Certo che lo è. Ma tu sei mia figlia e io voglio solo proteggerti.»

Sospirai. «Vado di sopra a prendere la giacca» dissi, andando verso le scale.

«Perché la sua giacca è in camera tua?» chiese Vanda con voce stridula.

Scuotendo la testa, andai in camera sua e presi la giacca. Mentre stavo per girarmi, Adriana entrò nella stanza.

«Mi dispiace per mia madre» disse, raggiungendo lo specchio. Si passò le dita tra i capelli. «Sa essere una vera rompipalle.»

Mi misi dietro di lei. «Beh, non ha paura di dire la sua. Questo glielo concedo.»

«Ma non ti conosce. Perciò non prendertela.»

La presi per la vita e le sorrisi attraverso lo specchio. «L’unica cosa che mi prendo, Gattina, sei tu.»

Lei sorrise.

Le baciai il lato della testa. «Che incubo, eh?» sussurrai.

Adriana annuì.

Con un sospiro di frustrazione, la lasciai andare.

«Vorrei aver aspettato che uscisse dal parcheggio» disse, ancora con le lacrime agli occhi. «Mi sento come se fosse colpa mia.»

«Non è assolutamente colpa tua, piccola. Non ci pensare nemmeno.» Misi una mano nella giacca in cerca del telefono. «E non preoccuparti, sono sicuro che Schianto e Tanca la ritroveranno.»

Si asciugò una lacrima sotto le ciglia. «Cosa credi sia successo?»

Non potevo dirle del Giudice. Non avrebbe capito. Ma non volevo nemmeno mentirle. «Personalmente? Credo sia stata una rappresaglia. Credo che i Devil’s Rangers credano che c’entriamo qualcosa con l’omicidio di Scatafascio e l’abbiano rapita.»

«È così?» mormorò.

La guardai negli occhi. «Posso garantirti che nessuno di noi l’ha ucciso.»

Lei emise un sospiro di sollievo. «Va bene.»

«Venite?» chiese Vanda, sulla soglia della porta. Mi stava di nuovo fulminando con lo sguardo.

«Sì» disse Adriana, prendendo delle calze dal comò.

Abbassai lo sguardo e mi accorsi che il vestito di Adriana era ancora a terra, accanto al reggiseno. Quando alzai gli occhi, vidi che l’aveva notato anche Vanda, e non ne era felice.

Non potei fare a meno di stuzzicarla. «Pare che sia scoppiata una bomba qui dentro» dissi, con un gran sorriso.

Vanda assottigliò lo sguardo. «Vi aspetto fuori» disse, allontanandosi dalla camera.

Raggiunsi la soglia e mi sporsi fuori. «Visto che non va con Adriana, può venire con me» Feci un sorriso malvagio. Non potei farne a meno. «Non mordo.»

Lei grugnì. «Ah-ah. Preferirei andare a piedi.»

Accidenti, era crudele. «Sicura? Viaggiare sul retro di una Harley potrebbe farla sorridere.»

«Non potresti fare nulla per farmi sorridere» rispose, andando verso le scale. «A meno che non si tratti di lasciare in pace mia figlia.»

Sospirai.