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Giovedì 11 dicembre

Custodisco i miei progetti nei loro cubicoli personali, che a me piace chiamare camere di correzione. Sono vasche con un sistema di tubature completo e i miei progetti sono equipaggiati con pannoloni usa e getta. Li tengo in salute, con abbondanti vitamine, sostanze nutrienti, elettroliti. Voglio che vivano il più a lungo possibile, così posso scegliere quando dire loro addio. È tutta una questione di potere. Il potere è tremendamente eccitante.

Non mi piace chiamarle vittime. Preferisco la parola progetti.

Non sono una persona violenta, dico sul serio. Una volta da bambino ho colpito un passerotto sparandogli con una fionda. Ricordo ancora l’uccello che, cadendo al suolo, si avvitava in circolo come un elicottero. Non mi sarei mai aspettato di colpirlo davvero: avevo tirato verso di lui per gioco. L’ho raccolto, il piumaggio soffice e il corpo caldo, e ho pianto. Ho cercato di risoffiargli la vita nel piccolo becco.

Gli ho scavato una fossa, ve l’ho deposto, ho chiesto perdono, l’ho coperto di terra e ho detto una preghiera.

Per giorni mi sono sentito uno schifo. Al tempo stesso, però, quel fatto ha risvegliato qualcosa dentro di me. Da allora, e per tutta l’infanzia, avrei ricordato la sensazione di potere provata osservando quell’uccello.

Il potere della morte.

Uccidere mi fa sentire forte. Certa gente direbbe che è malvagio.

Ma il fatto è questo: esiste il male? Di sicuro solo se si crede in Dio, altrimenti si crede alla sopravvivenza del più adatto. E questo vuol dire che io sopravvivo, mentre altri che io decido di uccidere no.

Oggi ho scelto di uccidere. Sono giorni che pregusto questo momento. Be’, a dire la verità, settimane!

Naturalmente, però, voi non sarete mai in grado di comprendere il piacere che mi darà.