«Sono in tavola, si raffreddano!» urlò Zak. «E poi dobbiamo sbrigarci!»
Freya Northrop era stesa a letto a leggere con piacere Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, di cui le aveva parlato durante la visita di venerdì il suo nuovo dottore, l’eccentrico ma piuttosto divertente Edward Crisp.
Lasciato il suo ambulatorio, si era diretta subito a Church Road, poi aveva svoltato a sinistra e proseguito fino a Western Road. Lì era entrata nella libreria City Books e aveva chiesto il poema di T.S. Eliot, quindi era tornata a casa.
Sbadigliò. «Ho quasi finito. Un minuto!» rispose alzando la voce. Sentiva la stuzzicante fragranza dei toast caldi. La sveglia indicava le 9.40.
Lui urlò in risposta: «Hai già detto ’un minuto’ cinque minuti fa! Volevi le uova morbide, ora diventeranno fredde come la pietra!»
Wow, di sicuro si scoprono cose nuove su una persona quando si comincia a conviverci, pensò Freya. Una, per esempio, era dire addio alla domenica mattina a letto. Zak detestava sprecare anche un solo minuto del fine settimana. Lui era già in piedi da ore e alla fine aveva capito che l’unico sistema per tirarla giù dal letto era tentarla con la sua colazione domenicale preferita: uova strapazzate e salmone affumicato. D’altronde, avere il giorno libero di domenica sarebbe presto diventato un lontano ricordo, pensò mestamente Freya.
Zak Ferguson era uno chef esperto. Lei l’aveva conosciuto sei mesi prima. Si era presentato al ristorante di Notting Hill dove lei faceva la cameriera e aveva mangiato da solo, poi era ritornato la sera dopo, sempre da solo, e aveva trascorso ogni attimo disponibile a parlare con lei. Quando a fine pasto gli aveva portato un doppio espresso, Freya aveva capito di essere un po’ infatuata.
Essendo una cuoca tremenda, si era comprata qualche libro di cucina, e quello che aveva trovato più comprensibile e con ricette molto gustose ma facili da preparare era Don’t Sweat the Aubergine di Nicholas Clee, che adesso giaceva vicino al suo letto.
Zak aveva grandi progetti. Grazie ai soldi di un’eredità, con cui aveva anche acquistato da un esecutore testamentario una piccola casa in stile Tudor revival in una zona boscosa vicino a Hove Park, aveva mollato il lavoro in un ristorante di tendenza di Hoxton, a Londra, e aveva rilevato un ristorante di Brighton chiuso per fallimento. Adesso lo stava rimettendo a nuovo e alla riapertura, prevista nel giro di due mesi, Freya sarebbe stata la responsabile di sala.
Fino ad allora, Zak sarebbe stato impegnatissimo a visitare i migliori ristoranti specializzati in frutti di mare della nazione, vedere cosa offrivano, racimolare spunti e prendere «in prestito» ricette. Quella domenica avevano in programma due ore di viaggio in auto fino a Whitstable, nel North Kent, sull’estuario del Tamigi. Celebre per le sue ostriche, negli ultimi anni la cittadina era diventata sempre più alla moda grazie a vari ristoranti di ottimo livello. Avevano prenotato per mangiare in due posti diversi. Sull’itinerario, però, c’erano anche due gastropub in cui Zak intendeva fare tappa: ecco perché voleva già partire.
Nonostante la maratona gastronomica che avevano intrapreso, Zak – che alle cinque e mezzo del mattino si era già fatto una trentina di chilometri in bici – era sempre magro come un chiodo, mentre Freya aveva messo su sei chili. Una delle conseguenze, di cui Zak era stato felice, era che il seno, pur non essendo mai stato il suo punto di forza, le era diventato più abbondante. Un altro effetto, che invece lei non gradiva, era che le cosce le si erano ingrossate ed era spuntato un accenno di cellulite. Doveva iniziare ad allenarsi anche lei, lo sapeva. Le aveva chiesto di farlo anche il dottor Crisp, che si era accigliato quando lei aveva ammesso di fumare dieci sigarette al giorno e ancora di più quando gli aveva confessato di scolarsi quasi un’intera bottiglia di vino al giorno. «Dovrebbe smettere di fumare, e poi beve troppo per una persona della sua età», l’aveva avvertita.
Aveva ragione il dottore. Dopo un anno passato da sola, da quando era stata volgarmente scaricata via SMS dal suo precedente ragazzo, Zak la faceva finalmente sorridere. Freya amava la sua energia, il suo senso dell’umorismo e le sue ambizioni. E adorava che lui sembrasse sinceramente entusiasta di cucinare per lei e sperimentare ricette. Certo, era stata molto meno felice la sera prima quando Zak aveva ribaltato una casseruola e due furibonde aragoste si erano messe a zampettare sul pavimento, con le chele che scattavano, facendola strillare e saltare su una sedia in preda al terrore.
Tornò al poema di Eliot. Dio, quant’era stato preveggente il dottor Crisp. Il cibo era il protagonista! Riferimenti a ristoranti pieni di segatura e gusci d’ostriche, tè con pane abbrustolito, la vita misurata con cucchiaini da caffè, tè, pasticcini e gelati. Loro vivevano in una città di mare e quel giorno si sarebbero spostati in un altro luogo di mare. E in quel poema Eliot aveva parlato d’invecchiare e di portare i pantaloni arrotolati in fondo. Un giorno Zak sarebbe diventato in quel modo? Sarebbero invecchiati insieme? A camminare sul bagnasciuga, lui scalzo e con i pantaloni arrotolati, i piedi lambiti dall’acqua? Freya riusciva a figurarselo. Per la prima volta in vita sua aveva incontrato qualcuno con cui immaginare una vita, con cui invecchiare. Posò il libro, scivolò giù dal letto nuda e si avvolse nella vestaglia. Ancora scalza, andò giù in cucina, dove Zak era seduto al tavolo, fresco di doccia, rasato, in jeans e maglietta, profumato con il dopobarba che lei adorava, e intento a studiare le pagine dell’Observer dedicate al cibo. Freya gli mise le braccia al collo e lo baciò su una guancia. «Hai un odore delizioso», disse.
La colazione era disposta nel piatto artisticamente, come in un ristorante di alto livello. Sulle uova erano adagiate alcune scaglie di tartufo e, accanto, il salmone affumicato era disposto in riccioli precisi, insieme a uno sfoggio di pomodorini tagliati a fettine. Il pane abbrustolito era su un portatoast d’argento, il burro su un piattino moderno e squadrato.
«Sembra davvero buono!» Si strusciò contro il suo orecchio. «Quasi come te.»
«Le uova stanno diventando dure!»
Lei allungò una mano sulla sua coscia, poi sul cavallo dei pantaloni. «Mmm», disse. «Non sono l’unica cosa dura da queste parti.»
«Mangia questa cacchio di colazione, ragazza!» disse Zak, trattenendo un sogghigno, poi si girò e la baciò.
Un’ora dopo, scesero nuovamente al piano di sotto e uscirono dalla porta d’ingresso, in una mattinata secca e ventosa. La vecchia Mazda MX-5 di Zak era parcheggiata nel vialetto davanti al garage che ospitava la malconcia Fiesta di Freya. La MX-5, che non veniva lucidata da anni, aveva uno squarcio nel tettuccio di tela, rattoppato con il nastro adesivo, ed era sporca di guano dei gabbiani.
«Questo cane, per quanto tempo dobbiamo tenerlo?»
«Bobby!» disse lei. «Si chiama Bobby ed è assolutamente adorabile. Quando l’avrai visto, vorrai un cucciolo!»
«I coreani li mangiano, i cani. Esistono ricette favolose.»
«Zak, è una cosa orribile.»
«Già, okay, scusami. È solo che ti voglio tutta per me, non voglio dividerti con un cane.»
«Ti piacerà, te lo prometto. Ed è solo per una settimana.»
Freya aveva acconsentito a prendersi cura del cane dei suoi amici Emily e Steve, un terrier meticcio, mentre loro erano via per le vacanze. Non aveva pensato che Zak potesse essere tanto ostile a quell’adorabile creatura.
L’uomo nella piccola Renault berlina parcheggiata poco più avanti lungo la strada, la faccia nascosta dalle pagine del Sunday Times, guardò la MX-5 fare retromarcia e partire.
Stava leggendo con grande interesse l’articolo in prima pagina su Logan Somerville. Sul sedile del passeggero c’erano un gilet ad alta visibilità e una cartellina portablocco. Proprio come per i taxi, sapeva che la gente non prestava mai molta attenzione a chi indossava gilet ad alta visibilità e aveva in mano una cartellina portablocco.