51

Domenica 14 dicembre

Roy Grace diresse una riunione serale, piuttosto ingessata, dell’operazione Carro da Fieno. Subito dopo, doveva incontrare Martinson e Pewe, per aggiornarli sulla potenziale entità della situazione. Non aveva buone notizie da riferire, dopo la conversazione avuta con Van Dam e varie altre telefonate pomeridiane.

La foto del primo piano di Logan Somerville era stata pubblicata dalla maggior parte delle edizioni domenicali dei quotidiani, e in alcuni casi era stata messa in prima pagina. Le ricerche erano in corso fin dalla sera di giovedì, con l’impiego di poliziotti, ausiliari, agenti di supporto locale, volontari e persino l’elicottero della polizia, nonostante l’enorme costo operativo che comportava. L’operazione era guidata dall’intelligence, come anche la reazione a specifiche informazioni ricevute dalla cittadinanza. L’immediata ricerca nell’area in cui era scomparsa Logan non aveva dato esiti positivi.

Il compagno di Ashleigh Stanford sembrava un ragazzo per bene. Aveva trascorso quasi tutto il pomeriggio nella sala del sistema di sorveglianza di John Street insieme all’operatore Jon Pumfrey, a guardare le riprese delle telecamere piazzate lungo il tragitto che Ashleigh percorreva normalmente per tornare a casa, su West Street e lungo il litorale. Aveva identificato la prima immagine della ragazza in bici sulla pedonale Duke Street alle 00.53, poi su West Street e in seguito mentre svoltava a destra in King’s Road.

Negli otto minuti seguenti, altre quattro telecamere l’avevano individuata diretta a ovest: la prima mentre superava la statua della pace, la seconda sui prati di Hove, la terza mentre passava con il rosso in fondo a Grand Avenue, e la quarta mentre attraversava Hove Street. La telecamera successiva avrebbe dovuto intercettarla al limite dell’area portuale di Shoreham. Il fatto che non fosse riapparsa voleva dire che era stata rapita su quella strada, prelevata insieme alla bici, o in una delle strade laterali, tipo Carlisle Road, a circa quattrocento metri, dove abitava.

Era letteralmente scomparsa dalla faccia della terra.

Solo un elemento era stato notato e, nel corso del pomeriggio, si era trasformato in una pista seria. Un taxi Škoda che viaggiava molto al di sotto del limite di velocità era stato tracciato dalle stesse telecamere, intento a mantenere una certa distanza costante dalla ciclista. Anche il taxi non era ricomparso sulla quinta telecamera al porto di Shoreham: voleva dire che anch’esso aveva svoltato da qualche parte.

E non era riapparso in nessun altro luogo di nessuna delle telecamere esaminate lungo i potenziali tragitti intrapresi. Una telecamera del rilevamento targhe, però, aveva registrato il numero di targa lungo il litorale ed erano risaliti a un nome: Mark Tuckwell.

Tuckwell era stato trovato e interrogato. Si trattava senza dubbio del suo numero di targa, ma l’uomo era a Lewes, a un banchetto nuziale, con un centinaio di possibili testimoni a confermare il suo alibi, mentre il suo taxi era rimasto nell’officina della concessionaria per tutto il weekend, con il motore smontato.

Qualcuno si era dato un gran da fare per clonare il veicolo e la targa, e non era semplice al giorno d’oggi ottenere targhe false nel Regno Unito.

C’era un parallelo con la Volvo avvistata fuori dall’appartamento di Logan Somerville all’ora del suo sospetto rapimento, un’altra cosa che preoccupava Grace. «C’è un possibile collegamento», disse alla sua squadra. «Il rapitore di Ashleigh e quello di Logan erano entrambi a bordo di una station wagon all’ora della scomparsa delle ragazze. Ed entrambi non sono ricomparsi su una telecamera dopo i presunti sequestri. Per me, questo indica due cose.» Bevve un sorso d’acqua. «Primo: il colpevole ha una conoscenza approfondita della città, è al corrente della posizione delle telecamere e, con tutta evidenza, conosce bene tutte le strade secondarie adatte a evitarle. Secondo: è molto probabile che viva in zona, entro i confini della città. Oggi pomeriggio ho studiato le telecamere e, da entrambi i punti in cui sono avvenuti i rapimenti, sarebbe stato impossibile per il veicolo lasciare la città in una direzione qualsiasi senza venire rilevato da una telecamera, a meno di non dirigersi in mare. L’area in cui è stata vista Ashleigh per l’ultima volta è stata setacciata meticolosamente, e sono state condotte indagini casa per casa, ma finora non è stato trovato nulla di rilevante.» Si rivolse al sergente Jon Exton. «Jon, cos’hai da riferire riguardo al colloquio con lo psichiatra, dottor Jacob Van Dam, zio di Logan Somerville, e sul suo paziente, il dottor Harrison Hunter?»

«Be’, signore, a essere onesto è un po’ un rompicapo. L’uomo ha sostenuto che il paziente gli è stato mandato da un medico di base di Brighton, il dottor Edward Crisp, e mi ha mostrato un’impegnativa. Sono riuscito a procurarmi il numero di casa del dottor Crisp, l’ho chiamato e lui sostiene di non aver mai sentito nominare questo Harrison Hunter. Van Dam ha detto che Hunter ha affermato di essere un anestesista in una clinica universitaria londinese, ma lo stesso Van Dam in seguito ha controllato e la persona risulta inesistente nell’albo dei medici. L’ha descritto come un individuo dall’aspetto bizzarro, sui cinquantacinque anni, con occhiali dalle lenti sfumate e quella che era certo fosse una parrucca bionda, che gli ricordava un po’ Boris Johnson. Ha detto che era stato tentato di liquidarlo come svitato, se non avesse detto che Logan aveva il tatuaggio ’6 MORTA’.»

Grace annuì. Avvertiva una sensazione fisica di malessere. «Il dottor Van Dam ha qualche idea del perché quest’uomo sia andato da lui o di che cosa volesse?»

Exton annuì. «La sua ipotesi è che stesse cercando aiuto. Non è sicuro se l’uomo fosse in cerca di qualcuno che gli dicesse che uccidere la gente era okay o se invece fosse un mitomane. Oppure...» Il sergente si strinse nelle spalle ed esitò, come assorto.

«Oppure cosa?»

Exton guardò i suoi appunti. «Sto cercando di ricordare le parole esatte del dottor Van Dam, signore. Ha parlato di una specie di confessione, ma molto contorta. Come se Hunter avesse bisogno di parlare con qualcuno, di condividere, di levarsi un peso. Come un grido d’aiuto.»

«Possiamo aiutarlo noi», disse Norman Potting. «Lo sbattiamo in cella e buttiamo via la chiave.»

Ci fu qualche sorriso.

Grace chiese a Exton di fare in modo di recuperare l’impegnativa del medico, poi passò al sergente Cale. «Tanja, tu avevi una squadra esterna impiegata in un controllo casa per casa lungo Carlisle Road, la zona in cui abita Ashleigh Stanford. Ci sono novità?»

«No, signore, finora niente. Ho quattro agenti ancora impegnati. Hanno controllato Carlisle Road e le strade circostanti, ma nessuno ha visto né sentito nulla a quell’ora della notte. Stanno ampliando l’area di ricerca. Anch’io e l’agente investigativo Seward abbiamo controllato quanto più possibile la zona limitrofa, per verificare eventuali avvistamenti della bici o del taxi, ma non abbiamo avuto fortuna. Era una bicicletta blu piuttosto particolare, con un adesivo in rilievo del negozio, South Downs Bikes, sul telaio.»

«Ottimo lavoro, Tanja. Qualcuno ha avuto notizie dalla EE sulla triangolazione del cellulare di Ashleigh?»

«Non ci sono buone notizie, capo», disse l’agente investigativo Emma-Jane Boutwood. «Poco prima che iniziasse la riunione, il centralino ha ricevuto la chiamata di una vicina di Ashleigh che abita due case più avanti e che la mattina aveva trovato un cellulare nel suo giardino, ma solo in seguito le è venuto in mente che potesse avere un legame con l’attività della polizia nella zona.»

«Gente sveglia, eh», commentò Jack Alexander.

«Cosa pensava che fosse, un cespuglio parlante?» domandò Potting.

«Due case più avanti, hai detto?» chiese Grace, pensieroso.

«Sì, in direzione sud rispetto all’appartamento della ragazza.»

«Ed era nella siepe di un giardino?»

«Sì.»

«Quindi non l’ha semplicemente perso pedalando. I telefoni non rimbalzano tanto lontano da soli. Forse il nostro rapitore l’ha catturata mentre rallentava per scendere dalla bicicletta e ha buttato via lui il cellulare. Quello di Logan Somerville è stato ritrovato in macchina. Ora anche quello di Ashleigh Stanford è stato lasciato sul posto. Abbiamo a che fare con una persona molto furba. Sa che i telefoni possono essere rintracciati. Conosce la città. Sa che non bisogna usare due volte lo stesso veicolo. Immagino che il telefono sia stato recuperato e che ora sia in laboratorio.» Poi si rivolse all’agente investigativo Alexander: «Jack, come procede la ricerca di Martin Horner?»

«Be’, signore, ho trovato un indirizzo del vero Martin Horner, e la data di nascita coincide con quella nei registri della motorizzazione, però non credo che le farà piacere.» Il giovane agente investigativo diede un’occhiata ai suoi appunti. «Attualmente è residente a Old Shoreham Road, nel cimitero di Hove», aggiunse con un sorriso fiacco e imbarazzato.

«In che senso?» chiese Guy Batchelor. «Dorme all’addiaccio?»

«Non esattamente. Il suo indirizzo completo è: lotto 3472, cimitero di Hove, Old Shoreham Road, Hove.»

Ci volle qualche istante perché facesse effetto, poi in parecchi fecero risatine soffocate, tranne Batchelor, il cui senso dell’umorismo sembrava inesistente.

«Che diavolo significa?» disse, corrugando la fronte. Dall’espressione degli altri, però, era evidente che c’erano arrivati prima di lui.

Jack Alexander si alzò e indicò una grande fotografia affissa alla lavagna bianca, sotto i visi di Logan Somerville, Ashleigh Stanford ed Emma Johnson. Era il primo piano di una piccola, semplice lapide. L’incisione era nitida e marcata.

 

MARTIN WILLIAM HORNER

3 ottobre 1964 – 12 giugno 1965

Figlio adorato di Kevin e Beverly

 

«A quanto pare, un bastardo psicopatico ha rubato l’identità di questo bambino morto», disse Tanja Cale.

«E ha intestato un’auto a suo nome», confermò Grace.

«Già.»

«E quanto all’indirizzo, il numero 62 di Blenheim Street? Dev’esserci un collegamento.»

«Ho mandato la squadra esterna a parlare con la donna che ci vive, Anne Hill», disse Cale. «Adesso è molto disponibile, ha una gran paura di essere accusata di finta invalidità. Del veicolo non sa nulla, è categorica al riguardo, però ci ha detto una cosa che potrebbe essere importante. Sei settimane fa si è presentato un uomo, che le ha detto di essere stato nominato suo badante. È rimasto da lei per qualche giorno, poi è svanito nel nulla. La donna ha chiamato il suo dottore per chiedere spiegazioni e il medico le ha risposto di non essere a conoscenza di nessun badante. Credo che il tempismo sia significativo.»

«Avrà fornito una descrizione, immagino», disse Guy Batchelor.

«Approssimativa», rispose Cale. «Di mezza età, capelli abbastanza lunghi, occhiali scuri. Ma ha detto che sembrava possedere conoscenze mediche.»

«Ci serve un riconoscimento E-Fit», disse Grace.

«Sì. Stiamo provvedendo», ribatté Cale. «Un addetto del dipartimento Imaging è già con lei.» Poi diede un’occhiata agli appunti e proseguì. «La Volvo è stata acquistata da questo Martin Horner il 2 novembre. È possibile che il badante si sia presentato per prendere i documenti che erano stati spediti lì dalla motorizzazione.»

«Abbiamo una descrizione dell’uomo che ha acquistato la Volvo, il nostro falso Martin Horner?»

«Non è granché, capo. Abbiamo trovato il precedente proprietario, un antiquario di nome Quentin Moon, ma non è stato di grande aiuto: non lo ha visto bene in faccia e non sarebbe in grado di riconoscerlo. La transazione è stata fatta di sera in un parcheggio multipiano poco illuminato di Worthing. Moon non ha tenuto il numero di telefono dell’acquirente, gliel’abbiamo già chiesto. Ricorda solo che Horner indossava un berretto di tweed, una sciarpa e un paio di occhiali scuri, e che ha pagato millecinquecento sterline in contanti.»

«È possibile che abbia ancora qualcuna di quelle banconote? Sarebbe un’opportunità per ottenere impronte digitali, o del DNA», intervenne Jack Alexander.

«Ottima idea, Jack. Controllate.»

«Moon non si è insospettito sull’abbigliamento di Horner?» chiese l’agente investigativo Davies. «Occhiali scuri in un parcheggio buio, di sera?»

«Gli sarà importato solo di farsi pagare l’auto», disse Batchelor. «È un antiquario e, con ogni probabilità, avrà clienti dall’aspetto anche più losco.»

Grace sorrise. Dopo una recente esperienza su un importante caso nel mondo dell’antiquariato, non poteva non essere d’accordo. «Ci sono telecamere di sorveglianza in quel parcheggio o nelle vicinanze, Guy?»

«Sì, dentro e fuori», rispose Batchelor. «Horner, però, ha comprato la macchina sei settimane fa e pochissimi sistemi conservano le registrazioni tanto a lungo.»

Grace annuì, ma sentiva che con l’uso crescente di apparecchiature digitali, valesse la pena controllare. Rifletté che tutto quello che aveva appena sentito confermava la conversazione avuta in precedenza con Glenn Branson sull’identità di Martin Horner.

Norman Potting, più tetro che mai, come ci si poteva aspettare da un uomo che sta per andare al funerale della fidanzata, alzò la mano. «Ho fatto un salto dal medico di Anne Hill, un certo Simon Elkin, che esercita al centro medico di Portslade, per chiedergli del badante che le era stato assegnato. È stato piuttosto critico sulla signora Hill, perché a quanto pare la donna continua a chiedere un badante, ma secondo lui è del tutto autosufficiente. Poi sono andato a parlare con alcuni vicini della signora Hill. Non la amano particolarmente. Una giovane coppia che le abita accanto ha detto di vederla sempre in giro, ma loro la evitano perché, se osano anche solo farle un cenno di saluto, lei si avvicina e comincia a lamentarsi di quanto sta male e che nessuno si prende cura di lei: una vittima di professione, insomma. E sembra che nessuno abbia mai visto né il badante né la Volvo.»

«Norman, dovresti andare a casa. Sul serio. Riposati un po’», disse Grace.

«Preferisco continuare a lavorare, capo, se per te va bene.»

Grace gli sorrise. «Stai facendo un buon lavoro, ma abbiamo tutti bisogno di riposo prima di domani.»

«Vallo a dire alle ragazze scomparse», ribatté Potting.