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Mercoledì 17 dicembre

I crampi alle gambe stavano peggiorando. A volte il dolore era così forte, specialmente alla gamba destra, che Logan gridava. In quel momento era colta da spasmi. Di tanto in tanto aveva la sensazione che il muscolo fosse un gigantesco elastico sul punto di strapparsi e lacerarle la carne. Voleva disperatamente allungare le gambe. Mettersi in piedi.

Lottò contro il dolore, ansimando e respirando sempre più in fretta, finché non si attenuò, lasciandola esausta con lacrime che non poteva asciugare e che le irritavano gli occhi.

Da quanto tempo? Dio, da quanto tempo si trovava lì? Tremava di freddo e di paura. Si ricordò di una cosa che le avevano insegnato, un sistema per rilassarsi respirando a fondo. Fece alcuni respiri profondi, riempiendo lentamente i polmoni. Aveva molto tempo da ingannare. Moltissimo. Si dimenò per quanto possibile, finché le cinghie non le affondarono nei polsi e nelle caviglie, sollevando la testa quel poco che le permetteva il legaccio intorno al collo.

Cercò di formulare dei piani. Se fosse riuscita a farsi slegare da quel bastardo, anche solo per un istante, avrebbe potuto assestargli una testata. Grazie al lavoro che faceva, aveva mani forti: se l’avesse stordito avrebbe potuto afferrarlo per il collo e strozzarlo. Se avesse fallito, però, che sarebbe successo? Ci pensava sempre, senza sosta.

Lui avrebbe dovuto slegarla a un certo punto, no?

Per passare un po’ il tempo e tentare di riacquistare uno stato d’animo positivo, fece un gioco che consisteva nel ripensare ai momenti della sua vita in cui era stata felice. Quando da bambina andava in Cornovaglia con la sua famiglia per le vacanze estive, in un cottage in affitto. Quando vogava sul fiume e faceva picnic sulla riva insieme ai suoi genitori, suo fratello e sua sorella. Quando sbucciava un uovo sodo, lo tuffava in una montagnetta di sale sul suo piatto di carta e ci affondava i denti, per poi mangiare subito un boccone di pane croccante imburrato e un morso di pomodoro colto dalla serra la mattina stessa.

Le venne l’acquolina in bocca. All’improvviso desiderò ardentemente un uovo sodo con pane e burro: tutto fuorché l’insipido frullato proteico che il suo rapitore le somministrava. Cercò di ripensare a Jamie, alla felicità di quando l’aveva incontrato la prima volta durante una lugubre festa in un pub. Era il compleanno di un suo ex compagno di scuola, ma nella sala non conosceva quasi nessuno e quelli con cui aveva parlato le erano sembrati tutti noiosi. Logan era rimasta a ciondolare intorno a un tavolo carico di Cheddar, sottaceti e baguette un po’ stantie, con in mano un bicchiere di plastica pieno di vino bianco caldo. Stava per uscire a fumarsi una sigaretta e magari trovare migliore compagnia, quando il suo amico John Southern le era comparso davanti assieme a Jamie e li aveva presentati prima di andare a farsi un’altra birra.

«Ti si legge in faccia che sei annoiata quanto me», le aveva detto Jamie.

«Puoi unirti al mio comitato organizzatore della fuga», aveva replicato lei.

«Volentieri, ma credo che sia maleducato andarsene prima che il festeggiato faccia il suo discorso.»

«Faccio un salto fuori per una sigaretta. Tu fumi?»

«No, ma vengo con te.»

Per un fugace attimo, Logan credette di percepire un aroma di sigaretta, ma poi scomparve. Come il ricordo di Jamie. A un tratto, sentì qualcosa. Spruzzi. Un peso che veniva trascinato. Passi. Fruscio di vestiti. Il fascio di luce di una torcia che sobbalzava. Stava succedendo qualcosa! La speranza si risvegliò in lei. Stava succedendo qualcosa! Era la polizia, venuta a cercarla?

Poi la luce si spense. Si ritrovò ancora una volta immersa nell’oscurità e nel silenzio. «Ehi!» urlò. «C’è qualcuno? Aiuto! Aiutatemi! Vi prego, aiutatemi! Qualcuno mi aiuti, vi prego!»