Poco dopo le otto di sera, impolverata e bisognosa di una doccia dopo una giornata trascorsa a disimballare e spostare il mobilio nel nuovo ristorante di Zak, Freya Northrop imboccò con la sua Ford Fiesta il vialetto della loro casa vicino Hove Park e spense il motore.
Bobby, il terrier meticcio dei suoi amici Emily e Steve a cui lei avrebbe badato per un po’, balzò eccitato dal sedile del passeggero e mise le zampe sul cruscotto. Freya scese, aprì il bagagliaio, tirò fuori due borse della spesa di Waitrose e il grosso sacchetto con le crocchette per cani, carne trita da cucinare, ciotole, i giochi preferiti di Bobby e due confezioni di biscottini che le aveva dato Emily. Poi si mise sotto il braccio il lettino tondo su cui dormiva sempre Bobby e sollevò le borse.
La casa era immersa nel buio, il vialetto scarsamente illuminato dalla luce di un lampione vicino. Freya fece una faccia perplessa, certa di aver lasciato appositamente alcune luci accese quando era uscita quella mattina.
Zak era rimasto al ristorante a parlare con i tecnici venuti a installare l’impianto audio. Com’era normale in quel periodo, sarebbe ritornato a casa più tardi, in taxi.
Freya voleva cucinargli la cena, ma era in preda all’ansia. Come faceva a preparare un pasto che fosse di gradimento a uno chef professionista? Ogni volta che cucinava per lui, provava la stessa sensazione, specie dal momento che lui disprezzava il concetto stesso di pasto pronto, che fosse o meno surgelato. Quando lei viveva da sola, aveva tirato avanti per anni con i piatti pronti del supermercato, ma Zak stava cercando di disabituarla.
Per quella sera aveva in programma di sorprenderlo. Si era studiata le ricette di Don’t Sweat the Aubergine e ne aveva già preparata una mentalmente. Cuocere un po’ la melanzana. Grattugiare aglio e zenzero. Aggiungere salsa di soia e teriyaki. Accertarsi di non stracuocere le capesante o gli scampi. L’idea era di accompagnare il piatto con un’insalata di barbabietole, formaggio caprino, piselli e pomodori. Aveva comprato gli ingredienti necessari da Waitrose.
Per tutto il tragitto dall’auto alla porta, Bobby aveva strattonato il guinzaglio, su di giri, annusando il vialetto. Prima di entrare, Freya posò le borse sulla soglia e lo condusse sulla piccola striscia di prato dove il cane sollevò subito la zampa. Poi aprì ed entrò in casa, seguita da Bobby. Accese la luce in corridoio, tirò dentro le borse, richiuse la porta e sganciò il cane dal guinzaglio.
Si mise a sistemare il contenuto delle borse e il giaciglio di Bobby. I ricordi del vetro rotto in cucina e la conseguente visita di un ispettore e di una squadra di ricerca impronte digitali erano quasi scomparsi, ormai. Il cane andò temporaneamente fuori di testa, mettendosi a correre per tutto il corridoio, il naso affondato nella moquette agugliata.
«I nuovi alloggi sono di tuo gradimento, Bobby?» Sorrise, portando tutto in cucina. Appoggiò ogni cosa sul pavimento, prese la ciotola dell’acqua di Bobby e fece scorrere il rubinetto finché l’acqua non scese fredda, quindi la riempì e la mise a terra.
Bobby arrivò trotterellando e cominciò a lappare. Freya s’inginocchiò ad accarezzarlo. «Faccio solo un salto veloce al piano di sopra per farmi una doccia e poi ti do la cena. Hai fame?» Frugò nel sacchetto che le aveva dato Emily, tirò fuori una confezione di biscotti ripieni, l’aprì e gliene avvicinò uno.
Bobby l’afferrò con la bocca e si mise a correre in tondo per la cucina, poi saltò sul suo lettino e cominciò a sgranocchiarlo.
Freya tornò in corridoio e fissò per un momento, con soddisfazione, gli abbinamenti cromatici che lei e Zak avevano scelto. I muri erano di un color crema pallido, gli inserti in legno, compresa la balaustra della scala, erano di un grigio lucido e brillante. Alle pareti avevano appeso alcune foto e quadri con scorci di Londra, che in precedenza erano nel suo appartamento.
Freya salì le scale fino al pianerottolo buio e, una volta giunta in cima, allungò un braccio attorno all’angolo domandandosi perché quell’idiota dell’elettricista non avesse messo un interruttore anche in fondo alle scale. Trovò l’interruttore e accese le luci. Le tre porte delle stanze da letto erano chiuse. Mentre apriva quella della loro camera e cercava a tastoni l’interruttore, sentì un debole rumore, come un leggero tintinnio.
Restò immobile per un momento, incerta. L’aveva immaginato o era venuto dal piano di sotto? Magari era la medaglietta di Bobby che sbatteva contro la ciotola metallica mentre beveva?
Lui era in piedi nel guardaroba della camera da letto principale, indossava una maschera, i guanti e una calzamaglia che lo avvolgeva per intero. Si addossò con forza contro la parete, invisibile dietro la fila di vestiti, attento a non far più muovere e tintinnare le grucce.
Era eccitatissimo, quasi non riusciva a trattenersi e aveva paura di eiaculare troppo presto. Si calmò con la respirazione profonda.
Oh, mio Dio, l’attesa! Ma quanto era bello un piano ben riuscito?
Ascoltò i passi di lei. Vide la luce attraverso le fessure nella porta del guardaroba.
Sì, sì, piccola! Proprio tu, bastardina mia!
Freya entrò nella camera tutta bianca, sorridendo alla vista dei loro due malandati orsacchiotti d’infanzia, ognuno con un occhio mancante, che se ne stavano adagiati sui cuscini con le braccia intrecciate, come li aveva lasciati quella mattina. Andò alla finestra e tirò le tende, dal momento che i vicini avevano la visuale direttamente sull’interno, poi si tolse i vestiti, aprì la porta del bagno annesso alla camera e accese la luce anche lì. Azionò la doccia multigetto, controllò che il selettore della temperatura fosse come piaceva a lei – a Zak piaceva più fredda – e provò l’acqua con la mano, quindi entrò e si chiuse la porta alle spalle.
Strizzò il flacone di shampoo e iniziò a lavarsi i capelli, poi prese il docciaschiuma e s’insaponò.
Un attimo dopo, la luce del bagno si spense.