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Sabato 20 dicembre

Logan sentì dei rumori. Una voce femminile che urlava forte. «Lasciami andare, bastardo! Lasciami! Lascia... lascia... Ahi! Lasciami...»

Chi era? Che cosa stava succedendo?

La voce s’indebolì sempre di più.

Poi silenzio.

Che diavolo era successo? Che ne era stato delle altre donne che aveva sentito là dentro?

Poco dopo, giunse il rumore familiare del coperchio della sua prigione che si ritraeva e Logan si contorse per il terrore. Le venne infilato in bocca un tubo da cui sgorgò acqua. Bevve avidamente, disperata. Aveva perso il conto di quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva bevuto.

«Buone notizie!» ringhiò il suo rapitore. «Hai compagnia, adesso! Questo significa che te ne andrai presto! Molto presto!»

Ansimò. «Che vuoi dire? Dimmelo, per favore. Dimmi che cosa sta succedendo. Cos’è successo alle altre? Ho sentito le loro voci. Chi sei tu? Dimmelo, per favore. Ti scongiuro, lasciami andare, non mi uccidere, ti prego, lasciami vivere!»

«Ti porterò il tuo ultimo pasto qui, prima che te ne vada.»

«Grazie», disse Logan, con voce tremante.

«Oh, non c’è di che. Sei l’ospite che ha soggiornato più a lungo e anche il meno problematico. Davvero, non c’è di che.»