Bravi registi
Ciò che caratterizza un bravo regista, più di ogni altra cosa, è una buona immaginazione. Se hai una buona immaginazione, ti piace raccontare storie e senti che puoi uscir fuori e comunicare questi pensieri a un mucchio di sconosciuti, allora forse devi metterti a scrivere o iniziare a girare film in 8mm.
Collaborazione
Ogni volta che mi metto al lavoro mi prende sempre la stessa sensazione di nausea, ansia ed eccitazione. Non si è mai affievolita da quando avevo dodici anni e la cinepresa 8mm di mio padre. Il brivido non è mai cambiato. Per la verità, invecchiando è aumentato, perché ora apprezzo la collaborazione. Quando ero bambino, non c’era collaborazione, solo tu e la cinepresa a comandare a bacchetta gli amici. Da adulto, invece, fare film significa apprezzare il talento delle persone di cui ti circondi, e sapere che non avresti potuto fare molti di questi film da solo. […] Sono stato molto fortunato ad avere ciò che avevano John Ford, Howard Hawks e Alfred Hitchcock: una mini-industria molto simile a quelle dell’età dell’oro di Hollywood, quando ogni volta erano le stesse persone a fare film con te. Andare a casa dalla tua famiglia e poi al lavoro dall’altra tua famiglia ti rende la vita molto più piacevole.
Commedia
Non riesco a fare pura commedia. […] Per me la commedia funziona quando viene mixata insieme a dramma, azione e avventura. Pensate alla scena di Tom Cruise in Minority Report, quando si mette a correre per raccogliere i suoi occhi che stanno per cadere in un tombino.
Difficoltà
Considero difficile ogni film. Film come I predatori, Lo squalo o Incontri ravvicinati del terzo tipo non sono più o meno difficili di Kramer contro Kramer […]. Con Lo squalo fu dura perché non puoi prendere e andare in mezzo all’oceano e combattere Madre Natura. La guardia costiera ci rideva in faccia quando gettavamo l’ancora e ci preparavamo a riprendere un’altra imbarcazione a pochi metri di distanza. Dopo pochi minuti le barche si ritrovavano a cinquanta metri l’una dall’altra. Ma ci sono anche altri film, girati su piccoli set con tre o quattro attori, che sono estremamente difficili.
Fantascienza
La fantascienza è una vacanza che mi tiene lontano da tutte le regole della logica narrativa. Ti permette di lasciarti alle spalle tutte le imposizioni e di volare. Io invidio Tom Cruise perché pilota aeroplani e jet mentre io non posso farlo, ho troppa paura. Per la maggior parte di noi, la fantascienza è l’unica possibilità di volare veramente. È per questo che amo tanto questo genere e ci ritorno sempre, perché non dà limiti all’immaginazione. La fantascienza rappresenta per i registi una grande fuga.
Genitori
Mia madre è stata per noi più una sorella maggiore che una genitrice. Era Peter Pan. Non voleva crescere. Mio padre mi mancava, anche se eravamo una famiglia unita. Mio padre era ossessionato dal lavoro. Lavorava sempre. [Il loro divorzio] è ancora un mistero per me, ma anche se mia madre era come una sorella maggiore, l’ho praticamente messa su un piedistallo. Mio padre era molto più con i piedi per terra, più concreto, un brav’uomo.
Hollywood oggi
I budget gonfiati stanno rovinando Hollywood. Questi film stanno spingendo fuori da Hollywood tutti gli altri tipi di film. È un disastro. Quando ho fatto Il mondo perduto, ho limitato la quantità di inquadrature con effetti speciali perché erano incredibilmente costose. Se un dinosauro cammina, costa ottantamila dollari ogni otto secondi. Se quattro dinosauri sono sullo sfondo, costa centocinquantamila dollari. Non sempre “di più” significa “meglio”.
Inizi (I)
Volevo così tanto essere un regista che avrei fatto di tutto, tranne uccidere. Volevo solo stare in quegli studi [gli Universal Studios di Burbank, California]. Quando ci sono arrivato, era come essere a Disneyland. Una volta che hai passato i tornelli, puoi fare ciò che vuoi se sei in possesso di un pass “E”. Quando ero agli studios, quello era il mio pass per ogni teatro di posa, e potevo osservare le tecniche di doppiaggio e montaggio. Passavo la maggior parte del tempo nelle cabine di montaggio.
Inizi (II)
Era molto, molto difficile superare la sensazione di essere un novellino. Quando il divertimento finiva, dopo le prime sghignazzate e i risolini alle spalle, e le persone si rendevano conto che ero sul set per girare il film Tv o l’episodio, ecco che iniziavano ad accettarmi come regista. Poi, ovviamente, la reputazione cresce e la gente dice: «Beh, è un ragazzo, ma è bravo». La cosa migliore era che, nel frattempo, stavo invecchiando.
Lutto
Tutti i miei film rispecchiano le mie paure, e quella della perdita è spesso presente. In A.I. raffiguro la perdita della madre, in Minority Report la perdita di un figlio. Come padre ovviamente posso essere ottimista, di figli ne ho sette, ma voglio proteggerli e per far questo non posso che essere realista, e più invecchio più mi attacco alla realtà. Non significa che sia diventato più cinico, solo meno idealista.
Maestri
Federico Fellini. Prima di tutti gli altri. Sognavo di conoscerlo. Era il 1972. Era la prima volta che andavo all’estero. La Universal mi mandò a Roma per il lancio di Duel. Non avevo fatto in tempo a entrare nella mia stanza dell’Hassler che squillava il telefono. All’altro capo c’era una donna che diceva di essere l’assistente di Fellini, e che il maestro aveva visto Duel, gli era piaciuto e voleva conoscermi. Mi sono precipitato all’appuntamento, a piazza di Spagna, dove dopo un’attesa di venti minuti sono venuti a prendermi per portarmi da lui. L’incontro fu emozionante. Il Maestro, che passeggiava con me per le strade di Roma tenendomi sotto braccio, chiacchierando disinvoltamente con quella sua sottile ironia e istrionica dolcezza… Mi è stato confidato che l’ultima lettera che Federico lesse prima di morire fu una delle mie. Scambiavamo spesso lettere, le mie sempre piene d’amore e ammirazione per il Maestro da parte di un allievo riconoscente.
Movie-making e filmmaking
Più invecchio, più sento la responsabilità di raccontare storie che abbiano un significato più ampio. […] Cerco di fare film che diano allo spettatore il minor carico di lavoro e il maggior carico di piacere possibile. La maggior parte dei miei film funziona così. Invecchiando, tuttavia, sento il peso della responsabilità che deriva dall’utilizzo di uno strumento così potente [come il cinema]. Certamente ho girato film su richiesta popolare, ma c’è una distinzione tra movie-making e filmmaking. Io voglio fare entrambi.
Paragoni
Non amo paragonare un mio lavoro agli altri, è un esercizio intellettuale che non voglio fare. Non potrei mai, ad esempio, paragonare Schindler’s List o Ryan con Lincoln. Oppure Lincoln con E.T., perché ogni film rappresenta quello che io sono in determinati periodi della mia vita. Ad esempio, non avrei mai immaginato di poter realizzare un film come Lincoln trent’anni fa. E dieci anni prima che realizzassi E.T., allo stesso modo, non potevo pensare che sarei stato in grado di portare una tale storia sul grande schermo.
Pause
Un paio di volte nella mia vita mi son preso tre anni di pausa ma solo come regista. Perché nel frattempo stavo sviluppando sceneggiature ed ero impegnato in altri progetti sul piccolo schermo. Solo non dirigevo film. C’è stato un periodo durante il quale ho diretto tre film in un solo anno, Il mondo perduto, Amistad e Salvate il soldato Ryan. L’ho fatto come usavano fare i vecchi registi di un tempo. Alla fine ero talmente stanco dal punto di vista mentale e fisico che mi sono concesso tre anni di pausa. […] Posso assicurarvi che, dopo tre anni lontano dalla macchina da presa, un po’ incerto mi sentivo. Soprattutto nelle prime settimane. Ma è durato poco.
Paure
Non c’è modo migliore [di affrontarle] che raccontare una storia su di esse e contagiare tutti gli altri. Anche se, quando ho finito il film, le paure ritornano.
Il primo film
Avevo circa cinque anni quando ho visto il mio primo film: Il più grande spettacolo del mondo. Quello che mi ricordo di più erano gli elefanti e l’incidente ferroviario. Ricordo poco invece del rapporto tra Charlton Heston e Betty Hutton, o di Jimmy Stewart e il suo fantastico ritratto di un clown. Ricordo lo spettacolo meglio dei personaggi, cosa normale per un bambino. Ma forse è un indizio dei film che ho fatto, come Lo squalo e Incontri ravvicinati, in contrasto con i film che potrei fare tra qualche anno.
Regista e produttore
Mi sono spesso chiesto cosa mi spinge a dirigere e cosa a produrre. Non sono mai stato in grado di trovare una risposta adeguata. Quando qualcosa mi prende per il collo e mi spinge a dirigere, non mi chiedo perché. A caval donato non si guarda in bocca. […] Semplicemente, so come ci si sente quando si è sopraffatti dal desiderio di girare un film. E, da imprenditore, so anche cosa significa essere sopraffatti dal desiderio di produrre una bella storia. Ma per me c’è una grande differenza tra dirigere e produrre. Spesso metto in dubbio le scelte che faccio da produttore, ma non ho mai messo in dubbio le scelte che faccio da regista. Che sia stato un successo o un fallimento, sono orgoglioso di ogni singolo film che ho diretto.
Ritmi di lavoro
Ho sempre lavorato di fretta, con entusiasmo ed energia. Se non lavoro velocemente – se mi concentro troppo sui dettagli – perdo la visione d’insieme.
Scelte
Non pianifico la mia carriera. Non penso: farò film drammatici, poi più brillanti, poi di nuovo drammatici. Reagisco spontaneamente a ciò che mi cade tra le braccia, a ciò che sento giusto al momento. Non ho mai fatto una scelta calcolata, tranne forse per i sequel di Indiana Jones e per Il mondo perduto. Quelle sono state le uniche volte in cui ho detto: «Ok, devo fare questi film per il pubblico perché li reclamano a gran voce». E poi prima di Il mondo perduto non avevo diretto per tre anni, e volevo fare qualcosa in cui mi sentissi a mio agio. Non volevo fare un altro film serio come Schindler’s List.
Sogni nel cassetto (I)
Ho sempre voluto fare un musical. Non come Moulin Rouge, però. Un musical vecchia maniera, in cui tutti si parlano, poi si interrompono per ballare, e poi parlano di nuovo. Come West Side Story o Cantando sotto la pioggia. Ho cercato un musical da fare per vent’anni. Ho solo bisogno di trovare qualcosa che mi esalti.
Sogni nel cassetto (II)
Vorrei tantissimo realizzare una storia d’amore. Non ci sono mai riuscito. Pensateci bene: qual è stata l’ultima grande love story che avete visto al cinema? È difficile trovarla, perché è passato tanto tempo. Si tratta di un genere che vorrei esplorare e che allo stesso tempo mi innervosisce affrontare. Non ho mai fatto un film così perché non ho mai trovato una storia giusta da raccontare.
Speranza
In ogni grande storia c’è una redenzione. Senza redenzione non c’è speranza. E se c’è una cosa di cui non posso fare a meno è la speranza. All’epoca, molta gente disse [riguardo a Schindler’s List]: «Perché il film non finisce con la morte di tutti i milleduecento Schindlerjuden? Perché sono stati salvati? Perché aggiungere un lieto fine spielberghiano?». A dire la verità, la vicenda viene proprio dalla Storia. Avrei potuto scegliere una storia sull’Olocausto molto più drammatica in cui nessuno sopravvive ai forni, ma volevo un qualche tipo di redenzione. Questo è l’uomo che sono, e non posso sopravvivere senza redenzione nella mia vita.
Successo
Quanto successo voglio? Ne ho avuto abbastanza per tre vite. Ho rifiutato Harry Potter e Spider Man, due film che sapevo sarebbero stati successi clamorosi, ma che non mi offrivano nessuna sfida. […] Non ho più bisogno di nutrire il mio ego e non ho più bisogno di fare a gara con chicchessia per girare il più grande successo commerciale. Cerco solo di raccontare storie che riescano a tenere vivo il mio interesse per i due anni necessari a scriverle, dirigerle e montarle.
Tecnologia
La mia paura più grande è quella della tecnologia. Ho paura delle macchine, non dell’uomo. E lo dice uno che con gli avanzamenti tecnologici ci lavora. Ho il timore che un giorno la tecnologia potrebbe conoscere noi più di quanto noi conosceremo lei. La tecnologia deve vendere e un giorno potrebbe entrare nelle nostre case e guardarci, mentre noi guardiamo lei. Quando ero ragazzo ho avuto spesso l’impressione, davanti alla Tv, che a furia di guardare fosse lo schermo a guardare me.
Vita privata
Conduco una vita normalissima. Mi metto in fila per andare al cinema o a teatro. Io e la mia famiglia ci teniamo a non essere trattati da privilegiati, quindi aspetto per avere un tavolo al ristorante, anche se alla fine mi ritrovo sempre a firmare autografi e fare foto con i fan. Ecco, cerco di bilanciare la mia vita normale con la mia reputazione.
Zeitgeist
Per me non ci sono film commerciali e film colti. Non faccio distinzioni di sorta tra un Indiana Jones e un Munich. Cerco solo di non ripetermi e di non diventare prigioniero di uno stile specifico. Faccio lo sforzo di reinventarmi ogni volta, come ho cercato di reinventare Indiana Jones, tornando allo spirito dei tre precedenti capitoli degli anni Ottanta, aggiornando però il linguaggio alle esigenze del ventunesimo secolo. Ho cercato di riprodurre il brillante stile Technicolor come fosse una versione moderna di un film di Hitchcock degli anni trenta. Per Munich mi sono ispirato allo stile cinéma-vérité della Hollywood degli anni settanta, tipo Il giorno dello sciacallo di Fred Zinneman. Faccio in continuazione dei repêchage cinematografici. Ma sto attento che siano diversi da film a film. La vera sfida è essere fedele allo spirito del tempo parlando al pubblico contemporaneo.
Le dichiarazioni di Steven Spielberg sono tratte da: A Telephone Call with Steven Spielberg, intervista con Roger Ebert per RogerEbert.com, 25 dicembre 2005 (http://www.rogerebert.com/interviews/a-telephone-call-with-spielberg); Spielberg: A Director’s Life Reflected in Films, intervista con Lesley Stahl per 60 Minutes, CBS News, 21 ottobre 2013; intervista per «Bantha Tracks», maggio 1981 (ora reperibile su http://www.scruffles.net/spielberg/articles/article-001.html); The Adventures of Spielberg: An Interview, intervista con Mekado Murphy per il blog Carpetbagger, «The New York Times», 20 dicembre 2011 (http://carpetbagger.blogs.nytimes.com/2011/12/20/the-adventures-of-spielberg-an-interview/?_r=1); The Total Film Interview - Steven Spielberg, intervista per Total Film, 1 settembre 2004 (http://www.totalfilm.com/features/the-total-film-interview-steven-spielberg); intervista per «Cinema del Silenzio», luglio 2005 (http://www.cinemadelsilenzio.it/index.php?mod=interview&id=841); Spielberg privato, intervista con Silvia Bizio per «L’Espresso», 1 luglio 2008 (http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2008/07/01/news/spielberg-privato-1.9048); intervista con Marida Caterini per «Panorama», 8 maggio 2013 (http://cultura.panorama.it/cinema/steven-spielberg-intervista); Steven Spielberg: The family man, intervista con Pierpaolo Festa per Film.it, 30 ottobre 2011 (http://www.film.it/news/film/dettaglio/art/steven-spielberg-the-family-man-6262/); intervista per Filmup.com, 26 settembre 2002 (http://filmup.leonardo.it/speciale/stevenspielberg/int02.htm).