Viveva con la madre, una donna grigia e silenziosa, dall’aspetto singolarmente cinereo. La casa dove abitavano era in un boschetto appartato, di pochi alberi, dove la strada principale di Winesburg incrociava il Wine Creek. Si chiamava Joe Welling; il padre era stato persona di una certa importanza nella comunità, avvocato e deputato al parlamento di Columbus. Joe era di corporatura piccola e non somigliava, per il carattere, a nessun altro in paese. Era un po’ come un piccolo vulcano che se ne sta in silenzio per giorni e giorni e poi all’improvviso si mette a sputar fuoco. O meglio, era come un uomo soggetto a delle crisi, uno che ispira paura quando sta con i propri simili perché da un momento all’altro può venirgli una crisi e precipitarlo in bizzarre e disgustose condizioni fisiche, con ruotare d’occhi e stiramenti di braccia e di gambe. Joe Welling era cosí, senonché quel che gli capitava non era un fatto fisico, bensí puramente mentale. Era ossessionato dalle idee; quando era sotto l’influsso di una delle sue idee non si controllava piú. Dalla bocca gli si rovesciavano parole. Sulle labbra gli compariva un sorriso speciale. I denti d’oro gli luccicavano. Attaccandosi a chi gli capitava, incominciava a parlare. Per il malcapitato non c’era salvezza. Eccitatissimo, Joe Welling gli soffiava sul volto e lo scrutava in fondo agli occhi, gli puntava sul petto un dito tremante, chiedeva, pretendeva attenzione.
A quei tempi la Standard Oil Company non usava come ora grandi autocarri per rifornire direttamente di benzina i consumatori, ma riforniva i rivenditori al dettaglio, gli empori di paese e simili. Joe era rappresentante della Standard Oil a Winesburg e in parecchi altri paesi piú in su e piú in giú lungo la strada che passava per Winesburg. Incassava fatture, raccoglieva ordinazioni e sbrigava altre faccende. Il posto glielo aveva fatto avere il padre deputato.
Silenzioso, anche troppo compito, tutto preso dal suo lavoro Joe Welling entrava e usciva dai negozi di Winesburg. La gente l’osservava con sguardo segretamente divertito ma anche preoccupato. Aspettavano che desse fuori di matto, preparandosi a svignarsela. Benché le sue crisi fossero innocue, non c’era tuttavia da riderne. Erano tali da restarne sopraffatti. Sulla scia di un’idea, Joe s’imponeva. La sua personalità diventava gigantesca. Si gettava sull’uomo col quale parlava e lo annientava; era capace di annientare qualunque cosa nel raggio della propria voce.
Nel negozio di Sylvester West c’erano quattro che parlavano di corse di cavalli. Tony Tip, lo stallone di Wesley Moyer, doveva correre in giugno alla riunione di Tiffin, Ohio, e si diceva che sarebbe stata quella la gara piú difficile della sua carriera. Si diceva che ci sarebbe stato anche Pop Geers, il grande fantino. Gravava nell’aria, a Winesburg, il dubbio sul successo di Tony Tip.
Entrò nel negozio Joe Welling, spalancando con violenza la porta. Con una luce strana negli occhi assorti si aggrappò a Ed Thomas, quello che conosceva Pop Geers e la cui opinione sulle possibilità di Tony Tip era tenuta in gran conto.
– Il Wine Creek è in piena, – gridò Joe Welling con l’aria di Filippide che reca la vittoria dei greci a Maratona. Il suo dito pareva volesse disegnare un tatuaggio sull’ampio petto di Ed Thomas. – Ai Trunion è a ventisette centimetri dal ponte, – continuò; le parole gli uscivano in gran fretta dalla bocca, passandogli fra i denti con un piccolo suono sibilante. Sul volto dei quattro si diffuse un’espressione di noia senza speranza.
– Ho voluto esser certo del fatto. Dipende tutto da questo. Sono andato al negozio di Sinning e mi sono fatto dare un metro. Poi sono tornato indietro e ho preso la misura. Non potevo credere ai miei occhi. Capite che non piove da dieci giorni. Sulle prime non sapevo che pensare. La testa mi si riempiva di ipotesi. Ho pensato a sorgenti sotterranee. La mia mente è scesa sottoterra, frugando nel sottosuolo. Mi sono seduto sul ponte, a grattarmi la testa. Non c’era una nuvola in cielo, nemmeno una. Uscite fuori e vedrete anche voi. Non c’era nemmeno una nuvola, come non ce n’è adesso. Sí, una nuvola c’era. Non voglio tacere nessuno dei fatti. C’era una nuvola in fondo in fondo all’orizzonte, a ovest, non piú grande di una mano.
Non che io pensi che c’entrasse per qualcosa quella nuvola. Soltanto c’era. Capite come ero nell’imbarazzo.
Poi mi è venuta un’idea. Allora mi sono messo a ridere. Riderete anche voi. Si vede che deve aver piovuto a Medina. Interessante, no? Se non avessimo treni né posta né telegrafo sapremmo ugualmente che ha piovuto a Medina. È di là che viene il Wine Creek. Lo sanno tutti. Il piccolo Wine Creek ci porta le notizie. È interessante. Mi sono messo a ridere. Ho pensato di dirvelo. Interessante, no?
Joe Welling si voltò e si diresse verso la porta. Estratto un libro di tasca fece scorrere il dito fra le pagine. Era di nuovo preso dai suoi doveri di rappresentante della Standard Oil. – Il negozio di Hern deve aver finito l’olio minerale. Ci vado subito, – borbottò; e si incamminò veloce, chinando in modo compito il capo a destra e a sinistra per salutare la gente che incontrava.
Quando George Willard entrò al «Winesburg Eagle» fu assediato da Joe Welling. Joe invidiava il ragazzo. Gli pareva che a lui fosse stato destinato dalla natura fare il cronista in un giornale. – È questo che dovrei fare, non c’è dubbio, – dichiarò, fermando George sul marciapiede davanti al negozio di alimentari di Daugherty. Cominciavano a luccicargli gli occhi e il suo dito indice prendeva a tremare. – Si capisce, guadagno di piú con la Standard Oil Company, e lo dico soltanto per dire, – aggiunse. – Non ho niente contro di te, ma il tuo posto spetterebbe a me. Potrei fare il lavoro nelle ore libere. Andrei qua e là scovando cose che tu non sapresti mai vedere.
Sempre piú eccitato, Joe Welling inchiodò il giovane cronista contro la vetrina del negozio. Pareva assorto in un pensiero, roteava gli occhi intorno e si passava fra i capelli la mano nervosa e sottile. Un sorriso comparve sul suo volto e i denti d’oro mandarono un bagliore. – Tira fuori il tuo taccuino, – ordinò. – Hai un taccuino in tasca, vero? Lo sapevo. Bene, segna questo. Ci ho pensato l’altro giorno. Prendiamo la distruzione. Che cos’è la distruzione? È il fuoco. Brucia i boschi e tutto il resto. Ci hai mai pensato? No, si capisce. Questo marciapiede, questo negozio di alimentari, gli alberi in fondo alla strada: sta bruciando tutto. Tutto si distrugge. La distruzione non si ferma. Acqua e vernice non fermano la distruzione. E se una cosa è di ferro? Arrugginisce. È fuoco anche quello. Tutto il mondo brucia. Comincia cosí l’articolo. Scrivi in caratteri grandi: «IL MONDO BRUCIA». Cosí andranno tutti a guardare di che si tratta. Diranno che sei in gamba. Io non ci tengo. Non t’invidio. Semplicemente mi è venuta l’idea e te la regalo. Sarei un grande giornalista. Devi riconoscerlo.
Joe Welling si voltò bruscamente e si allontanò in fretta. Fatti pochi passi, si fermò e si voltò di nuovo. – Ti insegnerò io, – disse. – Farò di te un grande giornalista. Io dovrei metter su un giornale per conto mio, ecco cosa dovrei fare. Sarebbe una meraviglia. Lo sanno tutti.
Quando George Willard compí il suo primo anno di lavoro al «Winesburg Eagle» quattro cose erano accadute a Joe Welling. La madre gli era morta, lui era andato ad abitare al Nuovo Albergo Willard, si era cacciato in una storia d’amore e aveva organizzato il Circolo di Baseball di Winesburg.
Joe organizzò il circolo del baseball per fare l’allenatore e con questa attività si conquistò il rispetto dei compaesani. – È una meraviglia, – dissero della squadra di Joe dopo la vittoria sulla squadra di Medina. – Li fa andare tutti d’accordo. Guardate come fa.
Sul campo di baseball Joe Welling stava fermo alla prima base, tremando con tutto il corpo per l’emozione. Senza volere, tutti i giocatori non facevano che fissare lui. Il battitore avversario si confondeva.
– Dài! Dài! Dài! – gridava Joe eccitatissimo. – Guarda qui! Guarda qui! Guarda la mano! Il piede! La mano! Il piede! Gli occhi! Insieme! Guarda qui! Guardate me, vi faccio vedere i movimenti! Guardate me!
Quando i giocatori della squadra di Winesburg erano ai loro posti, Joe Welling veniva preso dall’ispirazione. Prima di capire cosa succedeva, i giocatori guardavano lui, cambiavano le posizioni, avanzavano e retrocedevano, come collegati da una corda invisibile. Anche i giocatori della squadra avversaria guardavano Joe. Erano come affascinati. Per un attimo lo guardavano e poi, come per spezzare un sortilegio, cominciavano a passarsi selvaggiamente la palla e, in mezzo alle grida animalesche dell’allenatore, i giocatori della squadra di Winesburg segnavano il punto.
La storia d’amore di Joe Welling sconvolse il paese. Quando cominciò, tutti mormorarono e scossero la testa. Quando cercavano di ridere, la risata era sforzata e innaturale. Joe s’innamorò di Sarah King, una donnetta dall’aspetto triste, che abitava con il padre e con il fratello in una casa in muratura di fronte al cancello del cimitero di Winesburg.
I due King, il padre Edward e il figlio Tom, non erano popolari a Winesburg. Erano considerati superbi e pericolosi. Erano arrivati a Winesburg dal Sud e avevano una fabbrica di sidro. Di Tom King si diceva che avesse ucciso un uomo prima di arrivare a Winesburg. Aveva ventisette anni e veniva in paese a cavallo di un puledro grigio. Aveva un gran paio di baffoni gialli che gli cascavano sulla bocca e portava sempre con sé un grosso bastone dall’aspetto poco rassicurante. Una volta con quel bastone uccise un cane. Il cane era di Win Pawsey, il negoziante di scarpe, e se ne stava sul marciapiede a muovere la coda. Tom King lo uccise con un colpo solo. Fu arrestato e pagò dieci dollari di multa.
Il vecchio Edward King era di bassa statura e al suo passaggio la gente faceva una risata strana, priva di allegria. Quando Edward King rideva si grattava con la mano destra il gomito del braccio sinistro. La manica della giacca era quasi logora, per quest’abitudine. Quando passava per la strada, guardandosi intorno nervosamente e ridendo, sembrava anche piú temibile del suo silenzioso figliolo dallo sguardo feroce.
Quando Sarah King cominciò a uscire la sera con Joe Welling la gente scosse la testa preoccupata. Sarah era alta e pallida e aveva le occhiaie nere. Insieme formavano una coppia ridicola. Passeggiavano sotto gli alberi e Joe parlava. Le sue appassionate proteste d’amore ardente, udite nel buio accanto al muro del cimitero o fra l’ombra fitta degli alberi sulla collina, venivano riferite nei negozi. Al bar del Nuovo Albergo Willard la gente parlava dell’innamoramento di Joe e ne rideva. Dopo la risata, si faceva silenzio. La squadra di Winesburg, sotto la sua guida, vinceva una partita dopo l’altra e il paese aveva cominciato a rispettare Joe Welling. Presentendo una tragedia, si aspettava, ridendo senza allegria.
Sul tardi di un sabato pomeriggio l’incontro fra Joe Welling e i due King, la cui attesa aveva turbato il paese, ebbe luogo nella stanza di Joe Welling al Nuovo Albergo Willard. George Willard fu testimone dell’incontro. Si svolse cosí.
Quando il giovane cronista rientrò in camera sua dopo cena vide Tom King e il padre seduti nella penombra della stanza di Joe. Il figlio aveva in mano il bastone ed era seduto accanto alla porta. Il vecchio Edward King passeggiava con fare nervoso, grattandosi il gomito. I corridoi erano vuoti e silenziosi.
George Willard andò in camera sua e si sedette alla scrivania. Cercò di scrivere, ma la mano gli tremava tanto che non riusciva a reggere la penna. Si mise anche lui a passeggiare per la stanza. Come tutti gli abitanti di Winesburg era perplesso e non sapeva che fare.
Erano le sette e mezzo e si stava facendo buio rapidamente quando Joe Welling spuntò sul marciapiede della stazione davanti all’albergo. Recava in braccio un fascio di erba e di piante. Nonostante la paura che gli dava un tremito in tutto il corpo, George Willard si divertí alla vista del piccolo individuo con quell’erba in braccio, che si avvicinava a passo quasi di corsa.
Pieno di terrore e di ansia, il giovane cronista si nascose nel corridoio, dietro la porta della stanza in cui Joe Welling parlava con i due King. C’erano stati un’imprecazione e una risata nervosa del vecchio Edward King; poi, silenzio. All’improvviso si levò la voce acuta e squillante di Joe Welling. George Willard scoppiò a ridere. Aveva capito. Come aveva annientato tutti quelli che gli si erano parati davanti, cosí ora Joe Welling si preparava a sommergere i due con una marea di parole. Il ragazzo che ascoltava dal corridoio si mise a passeggiare su e giú, divertendosi un mondo.
Entrando nella stanza, Joe Welling non aveva fatto caso alla grinta feroce di Tom King. Preso da un’idea, aveva chiuso la porta e acceso la luce, poi aveva sparso l’erba sul pavimento. – Ho qui qualcosa, – annunciò con solennità. – Pensavo di dirlo a George Willard, perché ci scrivesse un articolo per il giornale. Lieto che siate qui. Mi spiace che non ci sia anche Sarah. Volevo venirvi a trovare per dirvi qualcuna delle mie idee. Sono interessanti. Sarah non me lo ha permesso. Diceva che avremmo litigato. Che sciocchezza.
Muovendosi di qua e di là davanti ai due uomini perplessi, Joe Welling cominciò a spiegare. – Ora non fraintendetemi, – esclamò, – è una cosa importante –. La sua voce era stridula per l’eccitazione. – Seguitemi bene, vi interesserà. Supponete dunque, supponete che tutto il grano, l’avena, i piselli, le patate, siano per un prodigio annientati e distrutti. Qui dove siamo noi, capite, in questa regione. C’è un grande steccato costruito intorno a noi, supponiamo. Nessuno può oltrepassare lo steccato, supponiamo, e tutti i frutti della terra sono distrutti, non rimangono che questi prodotti selvaggi, quest’erba. Sarebbe finita per noi? Ve lo chiedo. Sarebbe finita? – Tom King grugní e per un attimo vi fu silenzio nella stanza. Poi Joe si tuffò di nuovo nell’esposizione della propria idea. – Le cose andrebbero male per un po’. Lo ammetto. Devo ammetterlo. Non c’è da nasconderselo. Sarebbe dura. Piú di una pancia grassa diventerebbe magra. Ma non sarebbe finita per noi. Io dico di no.
Tom King rise garbatamente e la risata nervosa e stridula di Edward King echeggiò per la casa. Joe Welling incalzò. – Cominceremmo, capite, a coltivare nuovi ortaggi e nuova frutta. Presto riguadagneremmo tutto quello che abbiamo perduto. D’accordo, non dico che le cose nuove sarebbero uguali alle antiche. Forse sarebbero meglio, forse peggio. Interessante, no? Potete pensarci. Vi fa lavorare il cervello, no?
Nella stanza ci fu un altro silenzio, poi la risata nervosa di Edward King. – Vorrei che fosse qui anche Sarah, – esclamò Joe Welling. – Andiamo a casa vostra. Voglio dirle di questa faccenda.
Si udí un rumore di sedie smosse nella stanza. Fu allora che George Willard si ritirò in camera sua. Affacciandosi alla finestra vide nella strada Joe Welling che si allontanava con i due King. Tom King doveva fare i passi straordinariamente lunghi per mantenere la stessa velocità dell’ometto. Si chinava su di lui, in ascolto, assorto, affascinato. Joe Welling continuava a parlare, a parlare. – Prendete la gramigna, – diceva. – Moltissimo si potrebbe fare con la gramigna, no? È quasi incredibile. Pensateci un po’. Vi dico di pensarci: si avrebbe un nuovo regno vegetale, capite. È interessante, no? È un’idea. Aspettate che vediamo Sarah, lei afferra l’idea. S’interesserà. Sarah s’interessa sempre alle idee. Voi non siete molto brillanti con Sarah, vero? Be’, certamente non lo siete. Lo sapete benissimo.