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Com’è iniziata questa storia? Perché ero lì? Perché è successo? Forse è iniziato tutto oggi, forse tre mesi fa. O forse bisogna andare ancora più indietro. Non lo so.
Quando siamo arrivate qui, questa è stata la quarta scuola a cui mi sono iscritta in quattro anni. Perché da quando mio padre è morto noi non abbiamo fatto altro che girare, girare, girare. È come se mamma non possa sopportare di rimanere ferma in un posto: non appena le cose di un trasloco sono sistemate, lei si mette a fare delle nuove scatole, e noi ce ne andiamo da qualche altra parte. Io le scatole non le disfo mai, non mi sistemo mai in un posto, non metto mai radici. L’unica cosa che faccio è montare la mia poltrona nella mia stanza. Quella è diventata il mio sinonimo di casa.
Non è facile farsi nuovi amici quando sei sempre quella nuova. Ed è ancora meno facile quando gli altri vedono che porti un apparecchio acustico. La mia voce sta migliorando, però non è sempre chiara e devo impegnarmi molto per ascoltare le persone e farmi capire da loro. Questa è un’altra cosa che esaspera mia madre, il fatto che non mi impegno abbastanza. A volte gli altri cercano di essere gentili con me, ma non sempre li sento e probabilmente non molte persone riprovano una seconda volta.
A scuola è più facile starsene per i fatti propri e non farsi coinvolgere nelle cose. Dopo che ce ne siamo andate da Mudgee, dopo che papà è morto, sono andata per un po’ alla Bay Public School, e lì passavo la pausa del pranzo in biblioteca. Quando vivevamo a Braidwood, invece, mi fermavo a guardare gli altri ragazzi che saltavano la corda, e alla fine dell’anno avevo imparato la differenza tra un “double dutch”, un “double under” e un “dipsy doodle”. Alla Valley School, la terza scuola, c’era un’insegnante tirocinante molto attiva che gestiva un gruppo d’arte durante il pranzo. Io rimanevo sempre a guardarla, seduta in un angolo. Non ho mai disegnato, ma ora so tutto di carboncini, tecniche di sfumato e acquerelli.
Quest’ultima scuola però è diversa. Innanzitutto, è un liceo. Ci sono molti più ragazzi e quindi è più facile non farsi notare.
All’inizio andavo a trascorrere l’ora del pranzo in un angolo del cortile principale, con la speranza di potere rimanere per conto mio. Ma dopo circa una settimana Shalini e le altre hanno iniziato a venirsi a sedere lì vicino a me. Le prime volte si limitavano a parlare tra di loro. Ero felice che non mi considerassero, e loro erano anche molto brave a farlo, ma a Shalini piace creare problemi, così un giorno mi ha rivolto la parola.
«Ehi, ragazza sorda! Mi riesci a sentire?» Era a due metri da me, ma per come spingeva in avanti il mento mi sembrava ad appena dieci centimetri. Aveva gli occhi cattivi.
A quel punto avevo smesso di mangiare il mio panino con uovo e insalata e avevo alzato gli occhi verso i suoi capelli biondi slavati, le sue unghie nere scheggiate e i suoi anfibi neri. Era grande e grossa, e la avvertivo come un pericolo.
«Sì, ti sento.» Avevo cercato di ricacciare giù la paura, facendo del mio meglio per mostrarmi tranquilla.
«Non parli molto. Sei stupida? Sei una ragazza “speciale”?» Aveva sollevato in aria le dita mimando due virgolette, dicendo la parola “speciale”. Tyra e Rae si erano messe a ridere. Evidentemente trovavano esilarante tutto ciò che Shalini diceva.
Come sarebbe finita? Mi sentivo fuori controllo, come se tutto il mondo girasse vorticosamente intorno a me.
«Non penso. Io sto bene.»
«Avete sentito?» aveva detto alle sue amiche. «Non pensa. Lei sta “bene”.»
Ancora quelle virgolette.
«Puoi rimanere seduta lì, ragazza sorda. Ti do il permesso. Ringrazia.»
L’avevo guardata in faccia. I suoi occhi mi erano sembrati meno aggressivi, in quel momento, anche se sulla sua bocca aveva ancora impresso lo stesso ghigno. Il panico se ne era andato, non era ancora giunta la mia ora. Invece di dirle grazie con la voce, lo avevo fatto nella lingua dei segni, molto lentamente e intenzionalmente, poi ero tornata al mio panino. Era iniziata così la tregua tra me, la ragazza sorda, e Shalini.
All’inizio era stato semplice. Io mangiavo il mio pranzo con loro, ascoltavo le loro chiacchiere e rimanevo in silenzio. Ma a Shalini non piaceva avere intorno qualcuno che non poteva controllare, così presto mi aveva trasformata nella sua fattorina.
«Ragazza sorda, voglio un milk-shake. Vallo a prendere in mensa. Ecco i soldi.»
«Ragazza sorda, vammi a prendere un tortino. Bacon e formaggio. E anche un rustico con la salsiccia. E una diet coke, sono a dieta!»
Non ero abituata ad avere persone che mi rivolgevano la parola ed era più facile fare ciò che mi diceva piuttosto che mettermi a litigare con lei, perciò obbedivo. Le compravo i panini e le barrette energetiche, le consegnavo i compiti e andavo a restituire per lei i libri della biblioteca.
Mi sembrava quasi di avere un’amica. Erano anni che non ne avevo una e ne sentivo il bisogno, perché per la prima volta qualcuno aveva bisogno di me. E poi, a un certo punto, lei doveva essersi abituata ad avermi intorno, perché un giorno era venuta in mia difesa.
Ero andata in mensa a prenderle un panino con l’insalata e stavo tornando al nostro solito posto. Per farlo, dovevo passare vicino ad Angela Smith. Lei è una delle “principesse” della mia classe di matematica. Mette il mascara e l’ombretto e si tira su la gonna fino a farla diventare cortissima, andandosene in giro come se fosse la regina della scuola. Non mi aveva mai considerata prima di allora, ma quel giorno aveva deciso che sarebbe stato divertente farmi uno sgambetto e farmi cadere.
In quel momento avevo avuto l’impressione che tutto stesse succedendo al rallentatore. Mi ero resa conto del suo piede, ma non avevo fatto in tempo a fermarmi. Perciò mi ero vista inciampare, perdere l’equilibrio e infine finire sul vialetto, ancora col panino in mano. Probabilmente la caduta più imbarazzante di tutta la mia vita. Poi il rallentatore si era disattivato, e io mi ero ritrovata a terra con un tonfo. Avevo avvertito una fitta al gomito e sentito il sangue colarmi dalle ginocchia. Il panino inspiegabilmente si era salvato, ma nel momento in stesso in cui mi ero guardata intorno per cercare di capire cosa fosse successo mi era caduto di mano andando a spargere pane e insalata sul cemento.
«Ooops,» aveva detto Angela, guardandosi intorno con gli occhi sbarrati. Le altre principesse si erano messe a ridere, portandosi le mani alla bocca. «Oh. Devi stare più attenta!» mi aveva detto. «At-ten-ta!» Aveva ripetuto quella parola al doppio del volume, scandendola il più possibile. «Sei anche cieca, oltre che sorda!»
Le principesse avevano riso di nuovo. Per qualche motivo, la vista dei resti di lattuga e carote sparsi per terra aveva scatenato la loro ilarità.
Come se non bastasse, avevo visto a un certo punto Liam Costa della mia classe di teatro correre verso di me, forse per aiutarmi a rialzarmi. Improvvisamente avevo sentito gli occhi riempirsi di lacrime e il viso avvampare. Una vera e propria umiliazione.
Mi ero fatta ancora più piccola. Tutto il mio mondo si stava rimpicciolendo e mi soffocava, riuscivo a malapena a respirare. Poi avevo udito la voce forte di Shalini.
«Vai a ridere da un’altra parte, cretina!» aveva urlato ad Angela. «L’ho visto che sei stata tu a farla cadere, stupida perfettina!»
Angela aveva fatto una smorfia verso i suoi amici e aveva fatto un passo in avanti. «Cosa te ne frega?» aveva detto. «E poi, scusa, tu chi saresti?» Non si trattava di una vera domanda. Probabilmente in quel momento Angela si sentiva particolarmente spavalda, perché non molte persone avrebbero sfidato Shalini a quel modo. «Comunque, questa è solo una sfigata. Cos’ha che non va? Sembra sempre così infelice... Non le farebbe male sorridere, ogni tanto!»
«Sarai tu ad essere infelice, se continui a ridere così!» le aveva detto Shalini, avvicinandosi a lei con veemenza e facendola indietreggiare in una nuvola di capelli.
«Chi se ne frega!» aveva detto lei, andandosene con un’espressione di sufficienza.
Guardai Shalini. Per fortuna, Liam Costa sembrava essersi volatilizzato. L’aria ora mi sembrava più leggera e finalmente riuscivo di nuovo a respirare. Mi ero tirata su e mi ero controllata la caviglia. Riuscivo a camminare, anche se mi faceva un po’ male, e il ginocchio non sembrava più sanguinare.
«Uhm... grazie.»
«Certo, certo.»
L’avevo seguita ed eravamo tornate ai nostri posti. Zoppicavo un po’. «Il panino è andato!» aveva detto a Tyra e Rae, e poi anche me. «Avrei dovuto farglielo ingoiare da terra. Questo sì che sarebbe stato divertente.»
Avevo abbozzato un timido sorriso.
«Però...» Shalini sembrava pensierosa. Era una cosa nuova, non l’avevo mai vista in quel modo. «Perché sei sempre così triste?» mi aveva domandato, strizzando gli occhi. «Ti è morto qualcuno?»
Le sue parole mi erano riecheggiate in testa. Avevo sentito il cuore farmi un grande balzo nel petto. Ero arrossita e il panico aveva preso possesso di tutto il mio corpo, dalla punta dei piedi fino alle spalle. Di nuovo, gli occhi mi si erano riempiti di lacrime.
«Sì beh, come se me ne fregasse qualcosa. Ahah!»
Poi aveva tirato fuori una voce da stupida e aveva fatto una smorfia. «Oooh, coraggio, parlami di come ti senti. Oooh, sono così triste, mi viene da piangere...»
Avevo abbassato la testa e mi ero girata dall’altra parte. L’avevo sentita ridacchiare con le altre, ma non potevo tornare a girarmi verso di loro fino a che non avessi ripreso di nuovo il controllo di me stessa. Avrei dovuto capirlo che non parlava seriamente.
Ma cosa voleva davvero Shalini? Buona domanda. Principalmente, voleva essere notata. Uno dei suoi argomenti preferiti era: «Vedrete, quando sarò famosa! Mangerò in testa a tutti questi coglioni. Farò vedere a tutti chi sono io!» Sempre detto con un tono di voce furibondo, con Rae e Tyra a darle ragione. Ogni singola cosa di lei diceva “guardatemi!”, dalle unghie nere ai capelli biondi e il piercing al naso. Shalini, la cattiva ragazza e il suo atteggiamento che gridava solo “statemi lontani!”. Se non altro, questo teneva le persone lontane anche da me.
All’inizio ero rimasta abbastanza stranita dal fatto che si fosse presentata ai provini per lo spettacolo. Non ce la vedevo proprio a fare teatro, ma forse lei la considerava un’opportunità per guadagnare visibilità.
Ogni anno la scuola preparava due grossi spettacoli, uno per i ragazzi dei primi anni e uno per quelli più grandi. La Signorina Fraser era alla direzione di entrambi. L’anno prima, mi dissero, le prime classi avevano portato in scena il musical di “The Sound of Music”. Quest’anno sarebbe toccato invece a “Il Giardino Segreto”. Qualcuno mi aveva detto che la storia si basava su un libro. Io non l’avevo mai letto, ma è anche vero che non leggo molto.
Comunque, c’erano state delle audizioni pubbliche durante l’ora del pranzo, nell’ultima settimana del secondo trimestre. I ragazzi che desideravano proporsi per le diverse parti avevano ricevuto il copione dalla Signorina Fraser una settimana prima e poi si erano presentati ai provini per portare sul palco la loro interpretazione. La parte principale era quella di una ragazza di nome Mary che inizialmente sembrava piuttosto scontrosa, ma poi trovava un giardino e imparava ad essere felice. Nella storia c’erano anche due ragazzi: Dickon e Colin. Uno era molto gentile, l’altro molto infelice e cattivo, e se non sbaglio alla fine della storia diventavano entrambi amici di Mary. C’erano anche alcune parti minori, come quella della governante, quella della cameriera e quelle di alcuni vecchi. Cose del genere, insomma.
Ovviamente, Shalini si era presentata per il ruolo principale. Lei voleva essere Mary e ci aveva trascinate tutte quante alla sua audizione. Ero rimasta a sedere, soffrendo sulla mia poltroncina, mentre lei dilaniava le bellissime parole che la Signorina Fraser le aveva dato. Avevamo dovuto attendere fino alla prima settimana dopo le vacanze per sapere chi era stato scelto, ma per me non era stata affatto una sorpresa che il suo nome non fosse sulla lista che la Signorina Fraser aveva pubblicato il giorno prima.
Purtroppo, Shalini non l’aveva presa per niente bene.
«La Fraser è una stupida,» aveva detto piuttosto irritata. «Guarda solo i suoi preferiti. Non ci posso credere di non avere avuto quella parte! Come può darla a una come Angela Smith! È un cane!»
Io non avrei mai definito Angela un cane. Piuttosto, un barboncino di razza. Era sempre perfetta e ricercata, ma con il morso di un serpente. Ed era ovunque: il consiglio studentesco, il gruppo degli ambientalisti, il comitato per il cibo della mensa, il club di arrampicata, il gruppo di fotografia e il coro. Probabilmente faceva anche danza, andava come volontaria alla zoo locale (dove forse addomesticava i coccodrilli) e prendeva lezioni di ricamo. Il teatro era solo l’ennesima voce da aggiungere al suo curriculum.
Tyra e Rae avevano fatto del loro meglio per calmare Shalini. «È solo uno stupido spettacolo!» aveva detto Tyra. «Non perderci troppe energie.»
«Sì, tu sei troppo brava per lei. La Fraser non sa cosa si è persa!» aveva rincarato la dose Rae, con le mani sui fianchi. «Gli insegnanti comunque fanno sempre delle preferenze. Non è giusto.»
«Sono proprio stanca di questi professori che mi trattano come spazzatura!» aveva detto Shalini, con gli occhi pieni d’odio. «Sono stanca di tutti quelli che mi mancano di rispetto. Farò vedere a tutti cosa significa. Nessuno mi considera, ma io sono meglio di ognuno di loro. E se non riescono a capirlo, è solo perché non capiscono niente! Credo sia venuto il momento di ripagarli allo stesso modo.»
Mi ero allontanata, un po’ a disagio. Avevo abbassato la testa e mi ero concentrata sulla zip del mio zaino, è incredibile come a volte sia difficile farci stare tutti i libri. Dalla mia posizione non avevo potuto sentire il resto della conversazione, ma era chiaro che Shalini, Rae e Tyra stessero raccogliendo le idee. E ora, col senno di poi, immagino che stessero già probabilmente elaborando il loro piano. Quando la campanella ci fece rientrare in classe, sperai che la rabbia di Shalini sarebbe scemata presto.
Ma non fu così.
La vendetta stava per arrivare.
Magari avrei dovuto capire che qualcosa stava per accadere quando Shalini e le altre si erano presentate a pranzo con le mazze da baseball, perché di sicuro non erano improvvisamente diventate delle patite di sport dato che non le avevo mai viste correre o dare un calcio a una palla a meno che non vi fossero costrette.
Avevano mangiato il loro pranzo molto velocemente e poi si erano riunite, ridacchiando.
«Andiamo!» aveva detto Shalini. «Sapete già cosa dovete fare.»
Rae mi aveva guardata. «Viene anche lei?» Aveva fatto un cenno a Shalini, indicandomi con la testa.
Io mi ero girata verso di loro senza capire. Ancora non sapevo cosa stesse per succedere, il viso di Shalini non tradiva alcuna espressione. I suoi occhi, invece, si erano illuminati. Aveva uno sguardo forte e cattivo.
«C’era anche lei quando abbiamo elaborato il nostro piano, no?» Aveva guardato dritta verso di me. «Vieni anche tu, ragazza sorda.» La sua bocca si era contratta per la soddisfazione. «Mettiamoci all’opera!»
Fu lei stessa a fare strada, imboccando spavaldamente il sentiero. Quasi come fossi in trance, io mi ero alzata in piedi e le avevo seguite. Probabilmente avrei anche avuto la possibilità di rimanere lì, ma mi ero completamente alienata e mi ero sentita trascinare via. Non sapevo cosa stesse succedendo e non volevo chiederlo.
L’aula di teatro è un prefabbricato a due piani sul retro del cortile, lontano dalla vista e solo due minuti a piedi da dove tutti andiamo a sederci durante il pranzo. Shalini, Rae e Tyra camminavano con sicurezza, come se sfidassero gli altri a fermarle.
Io le seguivo, uno zombie senza sentimenti e senza cervello. Le mie dita pendevano senza vita dalle braccia. Tutto ciò che riuscivo a sentire era una sensazione di minaccia, ma non potevo fermare ciò che stava per succedere.
Quando arrivammo a destinazione, la porta non era chiusa a chiave e l’aula era deserta. Entrammo. La stanza profumava di carta, di olio per i mobili e di quella colla vinilica che lascia un sottile strato bianco sulla punta delle dita, che si può pelare via come passatempo quando ti stai annoiando. La classe aveva preparato un costume per lo spettacolo, un enorme e complesso copricapo dipinto di rosso. Quando l’avevo visto, la prima volta, mi aveva ricordato quella incredibile esplosione di colore che compare proprio alla fine di un tramonto. I ragazzi avevano applicato con la colla centinaia di pietre luccicanti che dovevano sembrare tante piccole gemme. Non ne ero sicura, ma probabilmente era stato pensato per una principessa dello spettacolo e la Signorina Fraser aveva dato una mano a realizzarlo. Mentre stavamo lavorando tutti insieme a quel progetto, lei mi aveva anche sorriso. Avevo abbassato la testa, quella volta, in imbarazzo per quelle attenzioni, ma ricordavo bene la sua espressione.
E ora eravamo nella sua aula. Mi appoggiai contro il muro, guardandomi intorno nervosamente. Cosa avevano intenzione di fare? Ancora non ne avevo idea.
Poi, successe. Improvvisamente la stanza piombò nel caos. Le ragazze impazzirono e iniziarono a distruggere tutto, Shalini colpì la lavagna con la mazza da baseball e il fragore che ne scaturì mi attraversò l’apparecchio acustico. Rae e Tyra la imitarono, colpendo, sfondando e distruggendo tutto ciò che vedevano o a cui riuscivano ad arrivare. Ero impietrita. Il mio viso stava diventando paonazzo, non riuscivo a muovere le dita. Più cose distruggevano, più sembravano uscire di testa. E Shalini urlava e gridava, era come se fosse sotto l’effetto di qualche strana droga.
Il mio respiro accelerò, veloce come non era mai stato. Avrei voluto scomparire, svenire, fuggire, andarmene. Tutto, ma non essere lì. Eppure ero incollata al muro. Non c’era più nulla che funzionasse nel mio corpo, era come se qualcuno mi avesse attaccata lì con dei chiodi, completamente indifesa.
Poi ad un certo punto avevo guardato verso il fondo dell’aula e improvvisamente ero riuscita a muovermi di nuovo. Eccolo il copricapo, dietro la cattedra. Rispetto all’ultima volta sembrava essere stato terminato, ed era enorme, elaborato e bellissimo. Le mie gambe si erano risvegliate ed ero corsa in quella direzione, più veloce che potevo, emettendo un piccolo gemito ad ogni respiro. Nella mia mente vedevo solo l’espressione della Signorina Fraser se avesse dovuto vederlo distrutto. Qualcosa mi aveva suggerito cosa dovevo fare, e così lo avevo spinto subito sotto la cattedra e lontano dagli occhi delle tre ragazze che si stavano accanendo intorno a me.
Quindi, mi ero bloccata di nuovo. Ero in uno stato di completa confusione mentale, con la testa che mi ronzava per il panico e le domande.
Tutto ciò è terribile, avevo pensato. Come posso uscirne?
La risposta arrivò. Un secondo dopo avevo alzato la testa e avevo visto la Signorina Fraser sulla porta con il viso bianco e incandescente.
«Ragazze!» La sua voce era forte, decisa e furiosa. «Basta! Cosa state facendo?»
Quella domanda mi era esplosa nella testa. Cosa stavo facendo? Non ne avevo la minima idea.