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«Riesci a capire ciò che ti sto dicendo?»
Sono di nuovo nell’ufficio del preside, coi pannelli marroni e beige. Alzo la testa dalla mia posizione su quella sedia rigida. Raccontare al Signor Fellowes, alla Signorina Fraser e ovviamente a mia madre di tutto quel casino mi ha prosciugata. Mi sento completamente vuota, esausta, quasi come un vecchio strofinaccio per i piatti. Vorrei tanto essere da qualsiasi altra parte, perciò mi sono estraniata per un attimo.
Il Signor Fellowes mi sta parlando. «Ti sto dando una possibilità, Jazmine. Ti sto dando l’opportunità di ravvederti. Anche se non hai preso parte alla distruzione dell’aula, eri comunque lì. E con la tua presenza hai fatto una scelta, quella sbagliata. Ora ti sto offrendo la possibilità di fare quella giusta.»
Mamma mi dà un pizzicotto. L’ha già fatto diverse volte, oggi. Ormai mi sarà venuto un bel livido. Mi divincolo e mi agito sulla sedia, sgranchendomi le dita che sembrano essersi incollate tra loro.
La Signorina Fraser si china verso di me e mi guarda dritta in faccia. Ha degli occhi nocciola con delle piccole screziature all’interno. Occhi gentili. Diversi da quelli di Shalini.
«Questa è la mia offerta: voglio che mi aiuti nella produzione dello spettacolo. Questo significa che per le prossime otto settimane ogni pomeriggio dopo la scuola dovrai fermarti ad aiutarmi, fino al giorno in cui andremo in scena. Dovrai lavorare duramente, non ti permetterò di battere la fiacca. Se ti dirò di dipingere una scenografia, lo farai. Se ti dirò di stirare un costume, lo stirerai. Di fatto, lavorerai per me per riparare ai danni fatti dalle tue amiche.»
Il mio volto va in fiamme, e il mio cuore diventa di ghiaccio. Lavorare a uno spettacolo? È una cosa tremenda per me! Oddio, non possono chiedermi di fare qualcosa in cui gli altri mi vedranno e mi guarderanno!
Respiro profondamente e apro la bocca.
«Non vorrei sembrare scortese, ma stavate dicendo che le opzioni sono due.»
Mamma alza gli occhi al cielo, insofferente. «Forse non hai capito cosa sta succedendo!» Scrolla le spalle e guarda altrove, come per scusarsi, come per dire “non è colpa mia se lei è così”.
Il Signor Fellowes incrocia le mani sulla sua scrivania. «Jazmine,» dice lentamente e ad alta voce, con i peli del naso che si muovono ad ogni respiro, «la scelta è tra assistere la Signorina Fraser nella preparazione dello spettacolo o essere sospesa per tre settimane come Shalini e le altre, con una nota permanente sulla tua scheda personale.»
Si schiarisce la voce. Ha un tono alto e flemmatico. «Personalmente, io preferirei sospenderti, ma la Signorina Fraser ha cercato di convincermi che valga la pena di darti un’altra possibilità. Dovrai dimostrarmi che sia così, perché finora non trovo che ci sia molto da salvare nel tuo caso. Sarò sincero, io voglio dartela questa opportunità. Ma se dovesse esserci anche solo un altro passo falso, sarai sospesa immediatamente.»
«Coraggio, Jazmine!» mi dice mamma, ormai sfinita e disperata. «Stanno cercando di aiutarti. Mostra un po’ di gratitudine.»
Credetemi, vorrei davvero mostrare un po’ di gratitudine, ma non riesco a parlare. Ho la gola bloccata, la lingua impastata e le dita di nuovo ancorate alla sedia.
Sì, è una scelta. È sicuramente una scelta, ma la Signorina Fraser mi ha dato una di quelle opzioni che negli ultimi quattro anni ho cercato di evitare ad ogni costo. Aiutare nella preparazione dello spettacolo vorrebbe dire fare delle cose, essere vista, parlare alle persone. Addirittura, avere il mio nome sul programma! Il solo pensiero mi fa sentire male.
Questa non è una vera scelta. Essere sospesa sarebbe terribile, ma almeno sarebbe una cosa semplice. Dovrei solo lasciare passare le tre settimane cercando di ignorare mia madre. Ma d’altra parte, la via della “redenzione” mi butterebbe in tutto un altro tipo di inferno.
«Quindi?» dice impaziente il Signor Fellowes. «Cos’hai intenzione di fare?»
Mi guardo intorno come impazzita, come alla ricerca di un’uscita segreta. I miei occhi volano sui pannelli laminati alle pareti, il tappeto verde e i pannelli sul soffitto, con le sue luci fluorescenti. Ricordo di avere letto un libro sulle spie, quando avevo otto anni, dove il protagonista spingeva un bottone sulla sua sedia e in un attimo veniva lanciato con uno scivolo fuori dall’edificio. Perché non c’è mai uno di questi scivoli, quando serve? L’ufficio del Signor Fellowes ha solo una porta, col suo nome scritto sopra con la vernice nera, e so bene che non ne uscirò finché questa cosa non sarà conclusa.
«Jazmine.» La Signorina Fraser cerca di richiamare la mia attenzione. Mi giro verso di lei, dall’altra parte della stanza. «So che credi che questa non sia una vera scelta. So che preferiresti morire, piuttosto che aiutarmi a fare qualcosa in cui qualcuno potrebbe guardarti. So che non è facile. Ma voglio dirti una cosa. Fino a questo momento, non fare delle scelte non ti ha aiutata molto. Tu sei andata con loro solo perché era più facile, ma guarda dove sei ora: sei qui, giusto? Stai per essere sospesa, e questo potrebbe avere delle serie ripercussioni sul tuo futuro. E solo perché tu non hai fatto nulla.»
Si avvicina di più a me. «Fai la scelta giusta, e rimettiti in carreggiata. Ora. O chissà dove finirai domani. Tu hai una vita sola. Solo tu puoi viverla, e puoi farlo solo una volta.»
Fa una pausa. «Smettila di annullarti. Fai qualcosa.»
Tutti in questa stanza mi stanno guardando. Gli occhi di mamma sono tristi, imploranti. Quelli del Signor Fellowes sono risoluti e con una punta di scetticismo. Mi concentro su quelli della Signorina Fraser. I suoi occhi mi dicono che per qualche strano motivo lei crede in me.
Questo mi basta. Ho ascoltato ciò che ha detto e so che ha ragione. Anche se non voglio crederci, so che non voglio per nulla al mondo continuare per la stessa strada su cui mi sembra di essere ora. Sono terrorizzata dalla pena che sta per piombare su di me, ma so che la situazione in cui mi trovo ora è anche peggiore. Qualcosa deve cambiare, e mi sento abbastanza disperata per farlo ora.
Alzo la testa leggermente. Rispondo, come se stessi leggendo da un copione. «Scelgo lo spettacolo, grazie.» Dentro, il mio corpo sta esplodendo e la mia testa sta girando vorticosamente. Ogni mia articolazione si è irrigidita. Ma ho preso la prima decisione degli ultimi quattro anni e mi sento un po’ come se finalmente potessi respirare.
Tutto il resto della giornata è un caos. Non vedo Shalini, Rae e Tyra durante le mie ore di lezione. Probabilmente sono state spedite dritte a casa e saranno di ritorno solo tra tre settimane. Anche mia madre se ne va a casa. Io ho una lezione di matematica e poi, all’ultima ora, quella di teatro.
Durante l’ora di matematica sento una nuova, piacevole sensazione di libertà in tutto il corpo, anche copiare dalla lavagna sembra più facile. È come se qualcosa si fosse sbloccato dentro di me, qualcosa che non mi aspettavo.
Andiamo alla lezione di teatro. Non nell’aula distrutta, ma nell’area del teatro dietro il palcoscenico. Tutti si stanno chiedendo perché abbiamo cambiato posto, ma nessuno sa esattamente cosa sia successo. Le chiacchiere sono incredibili, qualcuno addirittura sostiene che Shalini sia stata beccata a baciare un ragazzo dell’ultimo anno nell’aula di teatro. Io non intendo dire nulla. La Signorina Fraser è molto tranquilla e mi tratta normalmente, non l’avrei immaginato. Mi sento estremamente in imbarazzo e non riesco quasi a guardarla negli occhi.
La mia nuova sensazione di libertà però ha aperto una specie di vaso del coraggio dentro di me, e c’è una domanda che devo fare.
Quando suona la campanella, resto un attimo indietro e aspetto che tutti lascino l’aula, poi con esitazione vado verso la Signorina Fraser. Tremo leggermente, per il freddo e per la tensione. Lei alza gli occhi e mi guarda.
«Sì, Jazmine? Volevi dirmi qualcosa?» Pronuncia ogni parola distintamente. È così facile capirla.
Apro la bocca e poi la chiudo di nuovo, quindi finalmente riesco a tirare fuori le parole. «Non so come dirlo. Ecco, lo dirò e basta. Lei oggi è stata gentile con me. Perché l’ha fatto?»
Mi guarda pensierosa. «Ci sono diverse ragioni,» mi dice, picchiettando la penna sulla cattedra. Noto che il tappo è un po’ mangiucchiato. «Quando ero giovane, anche io ero un po’ come te. Poi qualcuno mi ha dato una opportunità. Ogni tanto penso a quella cosa, e mi chiedo cosa ne sarebbe stato di me se non l’avessi colta.»
«Ah.» Vorrei sapere cosa le è successo, ma non mi sembra carino chiederglielo.
«So cos’è accaduto a tuo padre. So che le cose sono state piuttosto difficili per te. Non sto dicendo che questa sia una scusa accettabile, non c’è mai una buona scusa per fare la cosa sbagliata, ma a volte le persone hanno bisogno di una mano in più, quando sono in un periodo difficile.»
Appoggia la penna e si alza in piedi, spostandosi davanti alla cattedra. «Ma la ragione principale è che ti ho osservata durante la lezione di teatro e ho visto i tuoi occhi illuminarsi mentre leggevi il copione o quando guardavi gli altri ragazzi recitare.» Mi sorride. «Tu sapevi che Shalini non era adatta a quella parte, vero?»
Annuisco.
Sorride di nuovo. «Vedi, io so che il teatro è una cosa per te, anche se tu ancora non lo sai. Lo so che stai cercando di nasconderti, ma ci sono cose da cui non puoi nasconderti per sempre.»
Mi giro per andarmene, ma lei mi chiede di aspettare. «Ho una cosa per te. Fa parte dei tuoi compiti.»
Va a cercare qualcosa nell’armadietto dietro la cattedra. Quando torna da me, ha in mano una specie di libro.
«Non ti preoccupare.» Sono un po’ titubante, non capisco cosa stia accadendo. «Non ti ucciderà. È solo un diario.»
Me lo porge. Io lo prendo e passo le mie dita sul dorso, che è rigido, fresco e liscio.
«Uno dei tuoi compiti sarà tenere questo diario. Ciò che devi fare è scrivere qui come ti senti. Ogni singolo giorno.»
Faccio un passo indietro, non capisco.
«So bene che ti sembra una cosa senza senso, ma non ho mai detto che avresti dovuto capire perché ti faccio fare certe cose.» Mi guarda con un sorriso di sfida. «Non ti preoccupare, non lo leggerò. Ma sarò in grado di capire se stai eseguendo i tuoi compiti semplicemente guardandoti in faccia.»
Infilo il diario nello zaino e mi avvio a prendere l’autobus.
«Ricordati: ogni singolo giorno!» mi ripete, mentre esco dalla porta.
Sono terrorizzata, ma sono anche emozionata per la prima volta. Mi sento quasi come se potessi volare se solo lo volessi. Il cielo è azzurro, l’aria è fresca e mi sembra che i miei occhi vedano più chiaramente.