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Lunedì
Caro papà,
questa cosa dello spettacolo non sarà una bazzecola. Anzi, la Signorina Fraser mi sta facendo lavorare sodo! Leggere il copione era la parte facile, ora devo aiutarla a fare delle cose come preparare i fiori di carta o riparare una vecchia sedia a rotelle per una scenografia.
Ogni volta che mi danno qualcosa di nuovo da fare mi viene l’ansia, ma ogni volta la Signorina Fraser mi guarda e mi dice: «Ce la farai senz’altro, questa cosa è compito tuo.»
Quando sono a casa, tolgo le erbacce e innaffio la terra (ancora niente germogli!). Lì mi sento in grado di fare qualsiasi cosa. Ma quando sono fuori sono sempre piuttosto spaventata e timida.
Un’altra cosa che mai mi sarei aspettata: per qualche motivo, la Signorina Fraser mi ha detto che dovrò fare da suggeritore. Io, la ragazza sorda! «Ma è sicura?» le ho chiesto, la prima volta che me l’ha detto, ma lei mi ha guardata in un modo che diceva solo: «Qual è il problema?» Perciò sono andata a sedermi nella prima fila, dove mi aveva indicato. Probabilmente pensa che, se non riesco io a sentire le battute, sicuramente non le sentirà nemmeno il pubblico.
Angela ha la parte di Mary. Ti ho già parlato di lei? Lei sa tutto, fa tutto ed è sempre in giro con i ragazzi più popolari. E non parla mai con quelli che non sono abbastanza fighi. Come puoi immaginare, io non sono tra quelli, perciò non mi rivolge mai la parola.
Ad essere onesta, devo ammettere che è una brava attrice. È abbastanza credibile quando è sul palco a interpretare Mary, ma credo che abbia l’aspetto sbagliato. Troppo abbronzata e bionda. Mary dovrebbe avere la pelle bianca e dei capelli color biondo opaco, lei invece è troppo bella. Ma non ho mai sentito di qualcuno che può diventare più brutto per uno spettacolo, soprattutto non Angela. Credo potrebbe morire se dovere essere meno che perfetta.
Sto dimenticando di scrivere i miei sentimenti.
Ehm.
Oggi mi sono sentita confusa quando non riuscivo a piegare bene la carta, impegnata nel cercare di migliorare l’aspetto della carrozzina ed esausta quando sono arrivata a casa.
Jazmine
PS. Forse sono un po’ gelosa di Angela, se devo dire la verità. Non volevo ammetterlo, ma è così.
PPS. Non è una cosa interessante, non so perché lo sto scrivendo, non è importante e non mi interessa, ma anche Liam Costa è nello spettacolo. Fa la parte di Colin.
Io questo lo sapevo già, ma oggi mi sono trovata a dovergli parlare. E lui non mi ha ignorata. Gli ho dovuto suggerire una battuta e lui mi ha guardata (ha guardato me!) per sapere cosa doveva dire dopo.
Non ho mai raccontato a nessuno questo genere di cose, prima d’ora. Avere un diario è una cosa utile. Chi l’avrebbe mai detto?
PPPS. Liam ha gli occhi azzurri.
Mercoledì
Caro papà,
oggi è stata una giornata strana. La Signorina Fraser stava lavorando sui costumi durante le prove dello spettacolo e, dato che ora sono il suo “braccio destro”, la stavo seguendo ovunque, prendendo e portando le cose di cui aveva bisogno. Stava scegliendo delle cose per Angela, quando mi ha detto: «Jazmine, per favore, vai a prendere il copricapo che abbiamo lasciato nell’aula di teatro. Ci serve qui nell’armadio dei costumi, per quando dovremo provarlo col vestito.»
L’ho guardata con un’espressione interrogativa. Quello era il copricapo che per poco non era stato distrutto da Shalini e le altre, e lei voleva che proprio io lo andassi a prendere dall’altra parte della scuola e lo portassi lì in teatro!
Subito non ho capito che era seria, perciò non mi sono mossa. Ma alla Signorina Fraser non piacciono le persone che perdono tempo, mi ha guardata e mi ha detto: «Forza, vallo a prendere. Ci serve adesso, non domani!» Perciò sono andata di nuovo in quell’aula, dove solo pochi giorni prima sembrava che la mia carriera scolastica fosse arrivata alla fine.
Sono entrata e mi sono sentita davvero strana, come se non dovessi essere lì. Alcuni dei danni fatti alla lavagna erano ancora evidenti, nessuno li aveva ancora sistemati, e il mio stomaco si è girato un po’ sottosopra e ho sentito un po’ di nausea. Quando ho preso il copricapo dal fondo della stanza, mi aspettavo di trovarlo distrutto e di essere improvvisamente circondata da altre persone che mi indicavano col dito e mi urlavano: «Ha! Guarda cos’hai fatto, sfigata!» Non riuscivo quasi a credere che fosse ancora perfetto e tutto intero.
E lo era, davvero. Persino mentre lo portavo in teatro, vedevo tutti i gioielli incollati lì sopra catturare i raggi del sole e rifletterli tutto intorno. Questo attirava l’attenzione degli altri su di me. Riuscivo a vedere sui loro visi le domande che avevano per la testa: «Cosa sta facendo? Dove va? Cos’ha in mano?»
Non mi importava che mi guardassero per la bellezza di quell’oggetto. Anzi, mi faceva sentire piuttosto orgogliosa, come quelle volte che mi mettevo a fare le piroette davanti a te, in quel tutù che nonna mi aveva regalato quando avevo sei anni. Allora mostrarmi con qualcosa di bello addosso mi faceva sentire scintillante, e probabilmente anche oggi mi sono sentita così.
Sopra ad ogni cosa, però, mi sono sentita davvero felice che la Signorina Fraser si fidi ancora di me per quel copricapo. Come se si sia dimenticata (o stia ignorando) il fatto che sono lì ad aiutarla proprio perché sono in punizione. Lei mi sta trattando come chiunque altro.
Mi sento quasi senza fiato, forse riuscirò davvero a fare qualcosa di importante... Forse. E senza rimanerne schiacciata.
Credo di essermi sentita proprio così, schiacciata, da quando sei morto. Come se mi avessi fatto un torto. So che non è giusto. Voglio dire, non è colpa tua se sei morto. Ma io mi sento ancora così.
Jazmine
Giovedì
Caro papà,
ho riletto ciò che ho scritto finora sul diario. Mi sono resa conto che le parole che uso per parlare dei miei sentimenti sono sempre molto semplici. Voglio dire... Esausta? Confusa? Timida? Mi sento noiosa e strana, come se non fossi come tutti gli altri.
Oggi a scuola ho visto Angela parlare con i suoi amici in cortile. Ha ricevuto dei messaggi sul suo cellulare e li ha mostrati a tutti, e tutti urlavano e saltavano di qua e di là. Cinque minuti dopo, tutti si sono messi a ridere.
Non credo di avere mai saltato, urlato o riso dopo che sei morto. Credi che io non sia normale? Perché io non mi emoziono così per le cose? Perché non rido?
Ho anche pensato che, quando scriverò dei miei sentimenti, cercherò di ricordare anche come mi sentivo un tempo. Forse può essere utile. Non credo di volere diventare anche io una ragazzina sciocca che ride e urla in quel modo, ma è anche vero che forse mi sto perdendo qualcosa.
Ecco alcuni dei ricordi che mi stanno tornando in mente.
Ti ricordi, papà, quando avevo circa quattro anni e tu ti facevi cavalcare da me? Quella era una cosa che adoravo. Tu ti mettevi sulle ginocchia e io dicevo “Trotta cavallino!” e mi aggrappavo alla tua camicia come fossero delle redini. A volte cadevo sul tappeto blu che mamma aveva messo in soggiorno quando voleva più colore in casa. Poi tu cadevi di fianco a me ed entrambi rimanevamo lì sdraiati a ridere. Ricordo ancora la sensazione che si ha quando credi di non potere smettere di ridere e pensi che, se non lo farai, ti aprirai in due, e questo ti fa ridere ancora di più, ti fa pensare di esplodere, e quando finalmente ti fermi sei così stanco, ma stanco e felice.
Ricordi, papà, quelle sere che non riuscivo a dormire, o in cui facevo un brutto sogno e venivo nella vostra camera? Tu mi dicevi “Vieni qui con noi” e io mi infilavo in mezzo nel vostro letto, e mi addormentavo con te e mamma, e poi la mattina eravamo tutti caldi e al sicuro e vicini l’uno all’altro, e il piumone era così bianco e soffice. Mi sentivo così bene, quelle mattine, così bene che probabilmente avrei potuto uscire volando dalla finestra e poi appollaiarmi sulla punta degli alberi.
Ti ricordi, papà, quando mi hai accompagnata a comprare il mio primo apparecchio acustico? Quando lo accendevo, tutto sembrava così vicino e così improvviso, così tanto da spaventarmi. Era una sensazione che mi arrivava fino in fondo allo stomaco e il mondo mi sembrava improvvisamente enorme. Ricordo che mi tenevi la mano e nella lingua dei segni mi dicevi “Tutto andrà bene, ti abituerai, te lo prometto”, e poi ho iniziato a vedere i segni e a sentire la voce e a capire che erano la stessa cosa, e tu mi hai fatta sentire meglio.
Ricordi, papà, quando ti sei ammalato la prima volta? Ti ho fatto un disegno di noi al mare. Tu l’hai guardato e hai guardato me, ma i tuoi occhi erano come vuoti. Hai sorriso, ma quello non era il tuo solito sorriso divertito. Era come se non mi volessi lì. Tu non lo sai, ma quella volta mi sono arrabbiata così tanto che ho scarabocchiato con un pastello quel disegno e l’ho gettato nel cestino. E poi ho fatto un disegno di me seduta in una scatola.
Ricordi il giorno del tuo funerale, papà? È stato così lungo e faceva così caldo. Quando le altre persone mi vedevano, sorridevano e si asciugavano le lacrime, accarezzandomi la testa. Io non riuscivo a sentire nulla chiaramente, a meno di non concentrarmi molto e leggere le loro labbra. C’erano moltissime persone in casa, tutti piangevano e io volevo solo che loro se ne andassero e che tu tornassi da me e tutto tornasse come prima. Mi sentivo come se qualcuno mi avesse tirato fuori le budella. Il cuore mi faceva molto male, come se ne fosse stato strappato via un pezzo. Mi faceva così male che quasi non riuscivo a stare in piedi.
Vorrei che non fossi morto.
Vorrei che ora tu fossi qui con me.
Se tu non fossi morto, io ora potrei essere come Angela. So che non potrei mai essere bella come lei, ma potrei almeno avere un amico e qualche volta potrei ridere.
Mi sono sentita così ferita quando sei morto. Come se tu fossi voluto uscire dalla mia vita di proposito. È una cosa sbagliata, ma è vera.
In questo momento, mi domando se mi sentirò mai una persona normale, una persona come le altre. Forse per me è troppo tardi. Ma almeno scrivere mi aiuta un po’.
Jazmine
Venerdì
Caro papà,
sentimenti di oggi: imbarazzo, sollievo, stanchezza, pace. Ora è tardi, te ne parlerò domani.
Ti voglio bene, credo.
Jazmine
Sabato
Caro papà,
sono piuttosto sorpresa e credo lo saresti anche tu, ma oggi mi sento davvero bene. Ieri sera non ne ero molto sicura, ma quando mi sono svegliata questa mattina è stato come se qualcuno avesse lavato le finestre e io potessi vedere tutto molto più chiaramente.
Ecco cos’è successo. Ero col gruppo del teatro e stavamo di nuovo lavorando ai costumi. Stavamo pensando a come vestire Mary per la scena del sogno, dove lei ricorda di avere visto una principessa in India quando era molto piccola. Nel sogno lei diventa una principessa e indossa dei vestiti bellissimi e, ovviamente, il copricapo.
Angela era dovuta andare al raduno degli Scout Nautici e quindi non era lì. La Signorina Fraser mi ha detto di mettere il suo costume. Ha detto che ho più o meno la stessa taglia di Angela e che loro avevano bisogno di una modella.
Perciò, mi sono infilata il costume e il copricapo.
Poi le cinque persone che stavano lavorando al costume si sono messe a sedere intorno a me e hanno iniziato ad osservarmi. E questa cosa mi ha terrorizzata.
Ho iniziato a sentirmi molto nervosa e strana, tremavo. La mia faccia probabilmente è diventata bianchissima, perché la Signorina Fraser mi si è avvicinata e mi ha sussurrato in un orecchio: «Va tutto bene, supererai anche questo.» Ho quasi avuto una crisi di panico e per poco non sono scappata via. Il tremore è iniziato dalla suola delle scarpe e poi è risalito lungo tutto il mio corpo, fin quasi al mento. Mi sono detta che dovevo rilassarmi e ricordarmi di respirare. Mi sono ripetuta che tutto sarebbe andato bene e, improvvisamente, il panico se ne è andato. Sono riuscita a rimanere lì, a fare da modella per il costume, e sentirmi normale.
Questa è stata la prima cosa. Ciò che è successo dopo è stato che la Signorina Fraser è venuta da me e mi ha chiesto come stavo. Dal nulla, sono esplosa in un pianto dirotto. All’inizio è stato un po’ come una specie di singhiozzo, poi ho iniziato a piangere e piangere. Per fortuna non c’era nessuno in giro, perché non riuscivo a fermarmi. Lacrime, naso che colava, singhiozzi e strani rumori, tutto il repertorio. La Signorina Fraser non ha detto nulla, nemmeno un “smettila di piangere” come avrebbero fatto in molti. Mi ha solo accompagnata in bagno, mi ha trovato alcuni fazzolettini e mi ha lasciata sfogare. Devo aver pianto per almeno 25 minuti.
Ero così spaventata, perché non riuscivo a smettere e tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che ero lì in quel bagno a versare fiumi di lacrime con un’insegnante che a un certo punto si sarebbe stufata di me e mi avrebbe mollata lì, lasciandomi sola con delle lacrime che non riuscivo a controllare.
Ma sai invece cos’è successo? Lei non se n’è andata. Anzi, sembrava quasi che non le dispiacesse restare con me. Solo alla fine, quando ho iniziato a fare degli strani rumori e a tirare su col naso, mi ha detto: «Sembra che tu non pianga da un po’.»
Questa cosa mi ha fatta pensare. L’ultima volta in cui avevo pianto è stato prima che io e mamma ce ne andassimo al mare, dopo che tu e mamma avevate litigato. Non ho pianto quando a mamma hanno detto al telefono che tu eri morto. Non ho pianto al funerale, non ho pianto dopo, e non ho mai più pianto da allora.
Mi sono sentita davvero strana. Avevo le guance bagnate, gli occhi fradici e il petto che continuava a saltare su e giù. Ma poi mi sono sentita un po’ meglio.
E ora credo di non essere più così arrabbiata con te.
Mi dispiace. Ti volevo così bene. E ti voglio ancora tanto bene, tanto tanto. Me ne sono solo dimenticata per un po’, perché ero arrabbiata. Ma ora non lo sono più. O almeno non credo.
Ti voglio bene, davvero
Jazmine
PS. Ricordi quella scatola in cui ero seduta? Credo che ora il coperchio si sia aperto.
Sabato
Caro papà,
non ci crederai, ma è successo. Quando stamattina sono uscita a controllare il giardino, ho trovato delle puntine verdi. Tremavo per il freddo e ho pensato che forse i miei occhi mi stessero ingannando, perciò ho guardato di nuovo ed erano ancora lì. Solo delle piccole puntine, ma decisamente verdi. Credo siano germogli. Penso che le mie piantine stiano nascendo!
Devo andare. Ho molto lavoro da fare per lo spettacolo.
Di corsa,
Jazmine xxx