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La settimana successiva, tutto inizia a cambiare.
Il primo giorno a scuola, dopo avermi rivolto la parola durante le prove per lo spettacolo, Liam mi sorride ancora durante l’ora di matematica e poi di nuovo lungo il vialetto che porta alla mensa. È con il suo gruppo di amici e io mi sento in imbarazzo. Accenno un timido sorriso, abbasso la testa e li guardo mentre mi passano accanto. Liam esce sempre con altri due ragazzi, Daniel e Connor, e alcune ragazze. C’è Erin, che ha i capelli biondi corti e sorride spesso. Ci sono due gemelle, così identiche da non riuscire a distinguerle. E poi c’è un’altra ragazza – Gabby, credo – che è nuova a scuola. Sembrano sempre così felici e affiatati che subito sento la paura prendermi lo stomaco. Posso avere piantato un giardino e posso partecipare alla produzione di uno spettacolo, ma non sarò mai capace di essere amica con qualcuno in quel modo.
I pensieri si accumulano nella mia testa mentre le paure si dimenano nello stomaco. A chi potrei mai piacere, io? Sono silenziosa, probabilmente noiosa e le persone non capiscono questa cosa dell’apparecchio acustico. È già tanto che non mi prendano di mira, che mi lascino in pace.
Torno lentamente dalla mensa verso il cortile e cerco un posto libero dove sedermi a mangiare il mio panino. La panca su cui mi sedevo con Shalini e le altre nel frattempo è stata occupata da un gruppo di altri ragazzi. Ho provato a tornare lì, il giorno dopo il disastro, ma i ragazzi più grandi facevano troppo chiasso e una delle ragazze continuava a guardarmi dall’alto al basso come a dire: “Cosa ci fa lei qui?”. Perciò da allora ho deciso di cambiare posto.
Dall’altra parte del cortile, vedo Liam e il suo gruppo di amici. I ragazzi ed Erin stanno giocando a pallamuro, mentre le altre tre ragazze stanno chiacchierando e guardando un ipod, poco distanti da loro.
Li osservo, senza volerlo. Sembrano così carini e sereni, così... normali. Sono come magneti per i miei occhi, non riesco a non guardarli.
Improvvisamente, Liam manca la palla e perde. Vedo il suo amico alzare le braccia in segno di vittoria e Liam calciare il terreno, ma in un modo buffo. Mentre si sposta da un’area all’altra gira la testa come se stesse cercando qualcosa, finché la palla non viene lanciata di nuovo e lui ricomincia a giocare, saltare e ribattere la palla e il suo sorriso va da un orecchio all’altro. Ma ogni volta che deve uscire o c’è una pausa nel gioco, si guarda intorno di nuovo alla ricerca di qualcosa.
Continuo a guardarli, proprio non riesco a smettere. Sono seduta dietro a un cespuglio un po’ spelacchiato, mezza nascosta. Io riesco a vedere lui, ma non voglio che lui veda me, perché non voglio che pensi che sono strana. E lui è così felice, così vivo e così leggero...
La palla viene colpita troppo forte da uno dei ragazzi e qualcuno va a cercarla. Poi, con un balzo in gola, capisco finalmente cosa sta cercando Liam, perché i suoi occhi smettono di vagare e si fermano: su di me!
Il mio viso diventa un pezzo di marmo e per un momento perdo la sensibilità nella dita. Eppure, non riesco a distogliere lo sguardo. È come se il tempo si sia trasformato in un liquido denso e pesante e io ci stia rotolando dentro, incapace di uscirne. La testa mi dice “Presto, guarda altrove, o penserà che tu sia pazza”, ma i muscoli non si muovono. Non è così per la mia faccia, perché sento l’imbarazzo e il rossore salire dal collo e in meno di un secondo sono già bollente e, probabilmente, rossa come la palla con cui Liam sta giocando.
Io sono in imbarazzo, ma stranamente lui non lo è. Anzi, sembra felice, e vedo un sorriso allargarsi sul suo viso e uno sguardo nei suoi occhi che sembra dire “Oh, figo!”. Poi lo vedo fare un passo verso di me, ma fermarsi perché Dan sta tornando con la palla e lo sta chiamando, e la sua testa si gira verso il suo amico, poi verso di me, poi di nuovo verso il suo amico, come se non sapesse che fare. Dan inizia a giocare e Liam sta per tornare alla partita, ma prima di farlo alza la testa come per salutarmi. Ha le dita per aria, tutta la mano sembra chiedere conferma al suo saluto. Torna a girarsi, ma appena prima che lo faccia io riesco a mettere in moto la mia mano e rispondere al suo saluto. C’è solo un brevissimo mezzo secondo in cui vedo i suoi occhi saltare e il suo sorriso formarsi, prima che abbassi di nuovo la mano e torni alla sua partita.
Sono ancora impietrita, ma in un modo felice, e avrei voglia di ridere e saltare se solo fossi in un posto più tranquillo dove nessuno può vedermi. Decido di conservare quel salto per dopo – troppo imbarazzante – ma noto che le mie dita si stanno agitando e stanno saltando da sole. Sono io che le muovo, e non riesco a fermarmi.
Il giorno dopo, Liam mi rivolge di nuovo la parola.
Ha da poco smesso di piovere e sto andando dalla mensa al cortile. Ho appena avuto un’ora di scienze in cui ho lottato con un becco Bunsen. Scienze non è mai stata la mia materia preferita, perché bisogna stare molto attenti ed essere molto, ehm, scientifici, e non ci sono storie da seguire. Ho scoperto che le storie mi piacciono molto.
Comunque, stavo litigando col mio zaino sul vialetto e ho visto più avanti Liam con il suo gruppo di amici. All’improvviso, mi sono sentita a disagio, così mi sono fermata per fingere di sistemare la cerniera. Ho visto Liam girarsi, come se stesse di nuovo cercando qualcosa. Ho abbassato velocemente la testa, ma lui mi ha vista e ha chiesto ai suoi amici di aspettarlo un attimo. I ragazzi si sono fermati e Dan e Connor hanno iniziato a calciare le erbacce ai lati del vialetto, buttando le gocce d’acqua sulle ragazze che si sono messe a gridare, li hanno spinti e poi sono corse via, usando gli zaini come scudi per proteggersi da loro.
Non so che fare. Non posso rimanere qui per sempre, perché capirebbe che sono in imbarazzo e che sto solo facendo finta di avere problemi con lo zaino. Non posso nemmeno girarmi e tornare verso la mensa, perché ho una bibita al cioccolato in mano e arrivo proprio da lì, quindi non ha senso che debba tornare indietro. L’unica opzione che mi rimane è continuare a camminare, ma a quel punto dovrò passargli accanto, e non sono sicura di riuscire a farlo senza arrossire del tutto. È difficile camminare, devo continuare a guardare il vialetto per assicurarmi che i miei piedi non vadano di nuovo a inciampare su qualcosa perché sarebbe davvero super imbarazzante, ma non voglio nemmeno dare l’impressione di volerlo evitare. Nel frattempo, il cuore mi batte così forte che sono sicura che tutti intorno a me possano sentirlo.
Sono ormai a due metri da loro. Gli altri due ragazzi ora stanno cercando di prendere in bocca l’acqua che scende dalle grondaie, mentre le ragazze si asciugano dall’acqua con cui sono state schizzate. Liam è lì fermo e mi guarda mentre cammino. Solleva di nuovo la mano per salutarmi e mi fa un mezzo sorriso. Non mi viene in mente nient’altro da fare che ricambiare il saluto, ma alzo la mano così velocemente che sembra stia scacciando un insetto, perciò devo subito riabbassarla. Anche il mio sorriso è innaturale, ma lui non sembra notarlo.
«Ehi!»
«Ciao di nuovo!» gli dico. «Cioè, non di nuovo, ma...» Mi blocco, confusa. La testa non mi funziona molto bene. Siamo entrambi sul vialetto. Dan, Connor e le ragazze ci guardano. Una delle gemelle ha gli occhi sgranati e Dan sta sorridendo.
«Stai andando in cortile?» mi domanda Liam. Si tocca la spalla col pollice.
«Eh...» Non riesco a farfugliare nulla. Ora è la mia voce a non funzionare. «Voglio dire, è ora di pranzo.»
Ora sembra sia lui a sentirsi stupido.
«Sì, in effetti...»
Improvvisamente mi dispiace per lui e il mio imbarazzo svanisce. Si mette a ridere, e anch’io mi metto un po’ a ridere, con un suono che sembra più uno stupido “heh heh”. Poi mi fa un cenno con la fronte che sta a significare “Ti va di venire con noi?”. Alzo appena le spalle e sorrido, come per dire “Sì, perché no?”. Mi unisco a lui e i suoi amici e insieme ci avviamo tutti verso il cortile.
Dan e Connor sono alla testa del gruppo, si colpiscono l’un l’altro con lo zaino per gioco. Poi ci sono le quattro ragazze, che camminano insieme occupando tutto il vialetto e che parlano tutte insieme. Sento la voce di Gabby emergere sul guazzabuglio di voci, ma soprattutto percepisco la vicinanza di Liam a me. Non mi sta toccando, ma è quasi come se lo stesse facendo, perché mi si sono rizzati tutti i peli delle braccia. È come se il mio corpo sia diventato magnetico o sia all’interno di un campo di forze. Semplicemente, lo sento lì vicino a me.
Quando arriviamo nel cortile, i ragazzi si dirigono verso il loro solito posto a sinistra, dove si trova il campo di pallamuro. Improvvisamente mi sento di nuovo insicura e mi sposto un po’ verso destra, quando Liam mi chiama.
«Jazmine?»
Mi giro, con un movimento molto goffo. Altro che camminare lungo il vialetto, se c’è un momento perfetto per cadere a terra e mettermi in ridicolo è sicuramente questo. Ma per fortuna riesco a mantenere l’equilibrio e finisco quasi davanti a lui, un po’ stordita e sorpresa.
«Sì?» Sembro un cane che abbaia.
«Uhm, tu giochi a pallamuro?» mi chiede Liam, alzando le spalle.
«Direi di no,» gli rispondo delusa. «Non l’ho mai fatto.»
Il suo viso si illumina. «Ah, ma questo non è un problema. C’è sempre una prima volta, no?»
Rimugino. «Immagino di sì, ma...»
«Va benissimo. Puoi imparare con noi.» Si gira verso i suoi amici. «Ehi, ragazzi, questa è Jazmine! Vuole imparare a giocare dai migliori!»
E così, imparo a giocare a pallamuro. Metto giù la mia bibita al cioccolato, mi metto in un quadrato e cerco di mandare una piccola palla negli altri quadrati. Una volta riesco a eliminare Liam, ma è solo un colpo di fortuna, e il più delle volte la colpisco male o non la prendo nemmeno. Ma Liam mi dice cosa fare e io rido e lui ride, e anche i suoi amici ridono, ma non stanno ridendo di me. Ridono perché a loro piaccio, o perché si stanno divertendo, o qualcosa del genere, e sento un calore dentro, un senso di sorpresa, e poi sento che forse non sta succedendo davvero e mi do un pizzicotto per provare a tornare alla vita reale, dove non ho amici e non piaccio a nessuno. Quando c’è qualche pausa nel gioco, mi pizzico di nuovo. Di nascosto, così che nessuno possa vedermi. Ma non succede nulla e io sono ancora qui, a giocare con Liam e i suoi amici.
Quando alla fine siamo stanchi di giocare e alzo le mani in segno di sconfitta, perché la pallamuro è davvero difficile, smettiamo di giocare. Dan raccoglie la palla e Liam si butta sul prato vicino al tavolo a cui sono sedute le ragazze.
Io resto lì ferma in piedi, goffamente, senza sapere che fare. Non so se dovrei raccogliere il mio zaino e dire “Ok, ci vediamo” o qualcosa che non sembri troppo stupido. Faccio per chinarmi, quando all’improvviso mi arriva una gran ventata d’aria e un suono forte nell’orecchio e la ragazza nuova, Gabby, mi salta addosso e inizia a parlarmi. Ha uno zaino viola con appeso un portachiavi a forma di animale, una grossa scimmia.
«Ehi, ma il tuo nome è davvero Jazmine?» mi chiede, in un unico respiro, come se avesse appena finito di correre. Ha la voce molto alta e un sorriso interrogativo sul viso.
«Uhm, sì.» Non sono sicura che voglia davvero parlare con me, perciò mi guardo intorno per vedere se c’è qualcun altro di nome Jazmine dietro di me. Ma non c’è. E lei ha già un’altra domanda.
«Voglio dire, Jazmine con la Z? Ho visto il tuo nome scritto sul registro e ho detto a Caitlin e Olivia che l’insegnante probabilmente deve averlo scritto sbagliato, perché di solito è con una S. Giusto?»
«Sì sì.» Annuisco velocemente. «È una Z.»
«Wow! Che figata!» Si gira verso le altre a confermare. «È davvero una Z!» Non mi molla. «Quindi, sei completamente sorda? Perché hai quella cosa nell’orecchio?»
La sua voce è alta e mi sembra di averla a pochi centimetri dalla mia faccia, ma in realtà non mi dà fastidio. Continua a sorridermi ed è gentile, perciò mi sento tranquilla.
«Uhm, non sono completamente sorda. Sento parzialmente, ma l’apparecchio mi rende tutto più nitido e mi aiuta a percepire i dettagli.»
Caitlin e Olivia si avvicinano. Caitlin sembra in imbarazzo. «Gab!» dice Olivia, sconcertata. «Non puoi chiederle una cosa del genere! È scortese!»
Gabby sembra sinceramente sorpresa. «Scortese? Davvero? Ma le stavo solo chiedendo...» Fa un gesto verso il suo orecchio.
«Sì,» dice Caitlin. «Si chiama apparecchio acustico. E non dovresti parlare di cose del genere, mette a disagio le persone!» Si gira verso di me, con un’espressione sul viso che dice solo “Per favore, perdona quell’ignorante della mia amica”.
«Mi dispiace!»
Gabby sembra non notarlo. «Ma è così carino!» Sembra un po’ un cucciolo vivace e giocherellone. «Ma se vuoi, puoi anche spegnerlo e perderti tutta la lezione di matematica? Oppure puoi alzare il volume e sentire le cose che si sussurrano le persone? Deve essere fantastico, è come avere un tuo microfono interno!»
Ha un sorriso così grande e i suoi occhi sono così vivaci che non posso non sorriderle anch’io.
«Se lo spengo, quando sono a casa, mia madre mi rimprovera. E se il volume si alza troppo, tutti i suoni vengono distorti, quindi non posso usarlo per spiare gli altri.» Scrollo le spalle. «Ma credo vada bene così.»
Vedo le espressioni di Caitlin e Olivia nei confronti di Gab, ma non c’è cattiveria. Gab è iperattiva, ma è gentile ed è di fatto la prima persona che mi chiede qualcosa del mio apparecchio acustico.
«Ma com’è, essere sorda? Voglio dire, ti fa sentire diversa? Le persone ti parlano dietro, o ti trattano in modo strano?»
«Gab!» la richiama Liam dal prato, girandosi verso di noi. «Non puoi dire queste cose! Non è carino! Mi dispiace, Jazmine!»
«No, davvero, non è un problema!» li rassicuro, guardando l’espressione dispiaciuta di Gabby. Quando parla la sua coda di cavallo si muove da una parte all’altra e ora sì è ammosciata insieme a lei.
«Ma io non voglio essere scortese. Vorrei solo sapere! Non ti sei offesa, vero?»
Mi guarda con un’espressione così contrita che scoppio a ridere.
«Non credo.» Ad essere sincera, nessuno mi ha mai chiesto nulla del genere. Non so proprio cosa rispondere. Certo, a volte è una scocciatura quando gli altri si aspettano che capisca tutto e io invece mi perdo dei pezzi, ma non succede così spesso e in fondo ormai ci sono abituata.
«Per me è una cosa normale.» Riesco a tirare fuori un sorriso e il viso di Gabby passa dal preoccupato al sollevato in meno di un secondo.
«Vedi?» risponde a Liam. «Non le dà fastidio!» Va a dargli un calcio su una gamba, ma lui si gira velocemente e si tira su in piedi con un unico movimento.
«Questa è Gabrielle,» mi dice, inchinandosi verso di me e facendo un gesto verso di lei come a presentarla con tutti gli onori. «Vuole sapere tutto di tutti e ti farà ogni domanda che le verrà in mente in quella grossa testa. Pensiamo che dovrebbe diventare una giornalista o qualcosa del genere, perché davvero non capisce quando deve fermarsi.» Poi indica il suo zaino e il suo portachiavi con la scimmia. «Ah, e per qualche ragione ama i babbuini.»
Lei gli dà un pugno sulla spalla, ma è un pugno amichevole e ride. E quando la campanella suona e tutti prendiamo i nostri zaini per tornare a lezione, Gabby si assicura di rimanere accanto a me per tutto il tragitto.
«Che lezione hai adesso? Io ho lettere. La Signorina Branton. Bleah.» Fa un’espressione come se stesse per vomitare.
«Io ho lavorazione del legno. Tecnologia.»
Il suo viso si illumina. «Il Signor Hallivand? È così carino, vero?»
«No. Il Signor Symonds. È vecchio e pelato. Ma è ok.»
Liam e le gemelle stanno andando dritto. Gabby deve girare a sinistra e io invece devo attraversare la mensa e andare verso l’ala di tecnologia. Sono già a metà strada quando mi sento chiamare.
«Ehi, Jazmine! Ci vediamo a pranzo!»
Mi giro, sorpresa. Gabby mi sta salutando, così anch’io alzo la mano e ricambio il saluto. «Buone costruzioni!» urla, e subito sparisce con il suo portachiavi a forma di scimmia, una risata e un salto.
Più tardi, mentre copio dalla lavagna le regole di sicurezza per l’uso del trapano, sono stranamente e piacevolmente felice. Mai prima d’ora mi ero resa conto che quando qualcuno ti dice “ci vediamo a pranzo” è come accendere la luce del sole.