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Non so a chi sia venuta l’idea del gelato, ma dopo un pomeriggio in quella afosa aula magna ho davvero voglia di qualcosa di fresco. Ci avviamo tutti insieme, io rimango un po’ più indietro perché mi sento in imbarazzo. Poi noto che Liam è accanto a me.
«Ciao!» lo saluto.
«Ciao! Sei già stata qui?»
Scuoto la testa. Stiamo andando verso un locale a pochi passi dalla scuola. Non mi sono mai accorta che è anche bar e gelateria. Una delle tante cose che mi sono persa per strada.
Ci mettiamo un po’ di tempo perché tutti vengano serviti, ma nonostante questo davvero non riesco a decidermi su quale dei 36 gusti voglio nel mio cono. Mi innervosisco, perciò alla fine prendo il fiordilatte come sempre. Liam ordina dopo di me, con molta sicurezza chiede una coppetta al cioccolato con un cucchiaino, il cioccolato liquido e i confetti al cioccolato. Tutto d’un tratto, il mio cono con una singola pallina di fiordilatte mi sembra deludente.
Tutti gli altri sono usciti e sono andati a sedersi, li seguiamo, ma Liam si ferma a un tavolino un po’ in disparte rispetto al resto del gruppo. «Qui è perfetto.» La sua voce sale di tono come se stesse facendo una domanda. Annuisco e mi siedo accanto a lui. Guarda il mio cono.
«Prendi sempre il fiordilatte?»
«Sì, spesso. Ormai è un’abitudine.»
«Ti piace il cioccolato?»
«Uhm. Non saprei.» Esito.
«Dai, assaggia. Non puoi prendere sempre il fiordilatte. Cambia. Corri il rischio.»
Sorrido. È molto convincente. «Ok. Ma solo un po’.»
Cerca di infilarmi in bocca un’enorme cucchiaiata di gelato, ma mi ritraggo e tengo la bocca chiusa finché alla fine mi permette di tenere in mano il cucchiaino da sola. Mando giù un boccone, un po’ rumorosamente, perché ne ho ingoiato troppo e mi fanno malissimo i denti per il freddo.
Mi scoppia a ridere in faccia, mentre la mia faccia torna normale. Ho le lacrime agli occhi per il freddo. «Quindi, cosa ne pensi? Forza, ammettilo che ti piace.»
«È... ecco, è intenso!» Le mie parole mi colgono di sorpresa. Non sono parole che direi normalmente. Il gelato mi ha dato un’improvvisa sensazione di fiducia in me stessa. «È indefinibile, e complicato.»
Liam mi guarda con un enorme sorriso. «Intenso? Indefinibile? Complicato?» Ride di nuovo. «Sono sorpreso che non ti piaccia. Perché se è intenso, indefinibile e complicato, è proprio come te.»
Non so cosa rispondere. È serio, o mi sta prendendo in giro? Non riesco a capirlo, perciò lo guardo per qualche secondo. Alla fine, nella lingua dei segni gli chiedo cosa intenda. Vedo che è preoccupato.
«Oh, no, non è una brutta cosa.» Sta decisamente tornando sui suoi passi. Crede di avermi offesa e cerca di rassicurarmi. «Voglio dire, indefinibile, intenso e complicato in senso buono.» Mi sorride. Ora mi sta prendendo in giro.
Cerco di abbozzare un sorriso, ma probabilmente ancora non gli sembra sufficiente, perché cerca di spiegarsi ancora.
«Credevo sapessi di risultare un po’ complicata al primo impatto. Il fatto che non ci senti, insomma.» Fa un cenno verso il mio apparecchio acustico. «E poi all’improvviso, dal nulla, scopriamo che sei bravissima nella recitazione e ti metti a lavorare sodo per lo spettacolo...»
Mi guarda di sbieco, con un sorriso. «Un giorno vai in giro con Shalini e quella gentaglia e poi, d’un tratto, diventi una persona diversa. Ti sei anche opposta ad Angela. Di chi è il merito?» Mi guarda come se dovessi finire la sua frase. È una domanda e vuole che risponda.
Per un attimo, sgrano gli occhi. Sento il mio stomaco rovesciarsi e il viso perdere colore. Non mi aspettavo affatto una domanda del genere.
Sono paralizzata. Liam vuole sapere chi sono e da dove arrivo, ma non posso dirgli la verità. Se sapesse il vero motivo per cui sto partecipando allo spettacolo – che cioè non avevo altra scelta, perché altrimenti sarei stata sospesa – di sicuro non gli piacerei più. Lui è il ragazzo che ama così tanto il teatro e che si è arrabbiato con i suoi amici perché avevano fatto dei graffiti nei bagni. Cosa penserebbe di me? E se dicesse agli altri ciò che ho fatto, anche gli altri non mi vorrebbero più. Cosa direbbe Gabby? Vorrebbe ancora essere mia amica? Non posso correre questo rischio.
Per ora, i miei segreti sembrano al sicuro. Nessuno ne è al corrente e nessuno parla di me. Se venisse fuori che ero presente quando Shalini ha cercato di distruggere l’aula, sarebbe la fine. E ogni passo in avanti fatto per cambiare me stessa in questo periodo sarebbe stato inutile, perché nessuno mi vorrebbe più.
Ho le mani sudate per la tensione, ma non posso fargli capire a cosa sto pensando. Cerco di distrarlo applicando ciò che io chiamo “annebbiamento”, cioè mi comporto volutamente in modo vago, evitando di rispondere a tono e poi cambiando argomento. Con mamma lo faccio spesso.
Mi metto a ridere. «Tutti pensano che le persone sorde siano complicate.» Mi esce una risata acuta e nervosa, cerco di riabbassare il tono. «Dev’essere a causa dell’Auslan. Gli altri credono che siamo un po’ pazzi solo perché sappiamo parlare con le mani. Ma tu dovresti saperlo, anche tu parli Auslan.» Come l’hai imparato? gli chiedo con le mani.
Vedo il volto di Liam riaccendersi. Ha già dimenticato la sua domanda ed è felice di parlare di se stesso, e anche io sono felice di lasciarlo fare. Qualunque cosa, pur di distogliere l’attenzione da me.
«In realtà, è una cosa fighissima. Avevamo dei vicini, erano venuti a vivere nell’appartamento accanto al nostro quando avevo sette o otto anni. Avevano un figlio di qualche anno più grande di me che era completamente sordo. Sai, non sentiva proprio nulla. Aveva circa nove anni, e io mi annoiavo da morire perché mia sorella era troppo vecchia per giocare ancora con me.» Fa una smorfia. «Sai, le ragazze... Oooops, scusami!»
Sorrido. «Lui parlava Auslan?»
«Sì. Tutta la famiglia. Io volevo qualcuno con cui giocare, perciò ho iniziato a frequentarli e in qualche modo l’ho imparato anche io. Cioè, non sono molto bravo e ora sono di sicuro piuttosto arrugginito, ma all’epoca era sufficiente per giocare a cricket nel cortile tutti i pomeriggi.»
«Come mai sei arrugginito?»
«Non lo uso da un po’. Si sono trasferiti quando avevo più o meno undici anni.»
Ci penso. «Che bella cosa.» Perché la è davvero. Anche io avrei voluto avere un amico come Liam, quando avevo otto anni. C’è un’altra cosa che vorrei sapere, ma non so bene come chiederla.
«Non ti sentivi, insomma... scoraggiato?» Non mi è semplice parlare. «Alcune persone, quando vedono un apparecchio acustico o qualcosa di sbagliato...» Con le dita mimo delle virgolette sulla parola “sbagliato”. «Cioè, a molti non interessa...»
Liam sembra sorpreso. «No. Cioè, all’inizio è stato un po’ strano, ma anche lui voleva avere un amico e alla fine è sempre il cricket che vince, no?» Mi sorride. «Forse è una cosa da ragazzi.»
«Forse.» Forse per le ragazze è diverso.
«Tu hai fratelli o sorelle? Qualche giocatore di cricket in famiglia? È palese che hai un talento per lo sport, non sei niente male con la pallamuro.»
Scuoto la testa. «No, siamo solo io e mamma. E non pratichiamo nessuno sport.»
«Ah. Che peccato! Probabilmente saresti brava nella corsa. Mio padre mi porta sempre a correre, facciamo tre chilometri tutte le sere.»
«Il mio non correva mai,» gli dico sorridendo. «Ma guardava l’atletica in TV. Vale lo stesso?»
«Ahah!» C’è solo un breve silenzio tra noi. «Non lo vedi più molto spesso, vero?»
Il mio volto si fa teso. Non volevo tirare in ballo papà. Stavo cercando di tenere una conversazione leggera e interessante, e invece ora sono qui, ad affrontare proprio l’argomento di cui non voglio parlare.
«Uhm. No.» Abbasso la voce. «È morto quando avevo nove anni.»
Un altro momento di silenzio. Liam sembra preoccupato e questo mi mette ancora più a disagio.
«Ah. Mi dispiace. Tu stai bene?»
Sollevo la testa e mi sforzo di sorridere. «Sì, grazie. Sto bene. È stato molto tempo fa. Sono cose che succedono, giusto? E comunque, parlare sempre di queste cose risulta noioso per gli altri.»
«Sì, credo...» Mi sembra confuso. «Credo di sì.»
Certo che sì. Devo fare attenzione. Se mi dovesse chiedere altro, probabilmente inizierei a parlarne. C’è un palloncino di tristezza nel mio petto, che cerca sempre di salire verso l’alto e di liberarsi, ma io devo tenerlo lì dov’è. Non posso parlarne. Non voglio farlo, perché quando racconti agli altri i tuoi problemi, loro ti lasciano. E tutto d’un tratto ho capito che non voglio che Liam mi lasci. Perché lui mi piace davvero tanto tanto.
Alzo le spalle. «Non importa.» Non ho un tono arrabbiato, ma è abbastanza per fargli capire che voglio cambiare discorso. E lui lo capisce. Prende una cucchiaiata del suo gelato.
«Ne vuoi ancora?» Mi porge il cucchiaio. «Il cioccolato è... mmm!»
«No, grazie. Rimango col mio fiordilatte,» gli dico a bassa voce, tirando un breve sospiro di sollievo dentro di me. Ma non è ancora finita, Liam ha ancora una domanda per me.
«Non vorrei essere maleducato, ma posso chiederti com’è successo? Com’è morto?»
Non voglio rispondere per nessuna ragione al mondo, ma c’è un’enorme pausa e Liam non parla. Devo dire qualcosa. Con tutte le energie che ho in corpo, lascio uscire qualche parola.
«Io ero piccola. Ero al mare con la mamma e lei ha ricevuto una telefonata in cui le hanno detto che era morto. Immagino che sia successo più o meno così.» Cerco di mantenere la calma. Probabilmente do l’idea di essermi distaccata.
«No, intendo se era malato. Se è stato un incidente, ad esempio.» Sembra confuso.
«Un attacco di cuore, credo.» Resto sulla difensiva. «Ero piccola. Non conosco tutti i dettagli. E poi è stato molto tempo fa.»
Improvvisamente Liam si riprende. «Mi dispiace. Evidentemente è una cosa del tuo passato. Non avrei dovuto chiedere.» Mi sorride.
Cerco di ricambiare il suo sorriso. Preferisco che creda che mi sia passata, piuttosto che dovere rispondere ad altre domande.
Tiro fuori il telefono per controllare l’ora. «Cavoli. Devo andare, si è fatto tardi!»
Lui posa la sua mano sulla mia. «Prima che tu vada, posso darti una cosa?» Sta toccando la mia mano, e io mi sento tremare dentro.
«Penso di sì. Dipende cos’è.»
Non risponde alla mia domanda e cerca invece nel suo zaino, tirando fuori un sacchetto di plastica con alcune cose color argento all’interno. Ne tira fuori una, sembra un pezzo di cioccolato con una forma strana, incartato in una cartina argentata. La mette nella mia mano.
«È un bacio... un bacio di Hershey. È americano. Mio padre è stato a una conferenza negli Stati Uniti e me li ha portati. La cosa più buona che abbia mai assaggiato.»
«È cioccolato?»
«Certo, te l’ho dato io! Cos’altro potrebbe essere?!? Provalo! Credo ti piacerà.»
Chiudo la mano, col bacio dentro. «Ah, grazie.» Mi giro e mi avvio verso la fermata del bus. «Ci vediamo!»
«Grazie!» dice anche lui. E credo vorrebbe aggiungere qualcos’altro, ma devo andare. Mamma probabilmente sta iniziando a preoccuparsi. Vado via, a un certo punto non lo vedo più ma ho ancora il bacio nella mano. Sento che inizia a sciogliersi, perciò lo metto in bocca. Scivola dentro di me come una pozione magica. Una pozione intensa, indefinibile e complicata.