Capitolo 15

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Ha iniziato a piovere e sono corsa a ripararmi, infreddolita, sotto una piccola pensilina grondante acqua su un lato dell’edificio di arte. Stiamo tutti aspettando che suoni la campanella per rientrare in classe e stare finalmente all’asciutto. La pioggia ha iniziato a scendere prima fine e sottile, poi si è fatta più fitta e il “plin plin” delle gocce d’acqua sulla copertura di metallo sopra di me è diventato un “ding ding” che mi attraversa le orecchie e mi arriva dritto in testa.

Liam, Dan e le gemelle sono schiacciati accanto a me, insieme ad altri ragazzi del nostro anno che si stanno affollando vicino a noi, anche loro nel tentativo di rimanere asciutti. Tutti stanno parlando e il brusio intorno a me cresce progressivamente. Sto abbracciando il mio zaino, schiacciata contro il muro dell’edificio, cercando di non essere spinta sotto l’acqua che scende dalla grondaia rotta sopra di me. Un lato della mia gonna è fradicio, mi abbasso per cercare di strizzarlo e all’improvviso vedo qualcuno che davvero non avevo nessuna voglia di vedere.

Tyra. Sta correndo con lo zaino sulla testa, cercando di proteggersi dalla pioggia. Inspiro profondamente. Anche se ho sempre saputo che lei, Rae e Shalini sarebbero tornate, prima o poi, avevo dimenticato che questo sarebbe successo davvero, o forse avevo solo lasciato quell’idea in un angolo remoto della mia testa perché desideravo che non accadesse.

Invece, eccola lì. La seguo con gli occhi e la vedo raggiungere un altro riparo dall’altra parte del cortile, Rae è con lei. Strizzo gli occhi, cerco anche Shalini ma non la vedo. Forse è in mensa, o in bagno. Poi realizzo che la mia prossima lezione è storia. E lei è nella mia stessa classe di storia.

Vedrò Shalini tra meno di cinque minuti.

Il mio cuore sta battendo all’impazzata, sovrastando il suono della pioggia. Mi sento pallida e debole, come se avessi bisogno di sedermi. Ho la gonna fradicia che mi gocciola sulle gambe. Ma poi improvvisamente Gabby è lì davanti a me, inzuppata fradicia e senza fiato, che mi agita un plico di buste colorate davanti alla faccia.

Faccio fatica a capire ciò che mi sta dicendo a causa del rumore, ma mi mette una busta umida e rosa in mano.

«Mfio betto planno!» mi dice, o almeno è questo ciò che mi sembra di capire. «Eni vero?»

Fa così tanta confusione e io sono ancora così frastornata che non riesco a distinguere bene le sue parole. Cerco di capire cosa c’è nella busta, mentre la guardo in faccia per decifrare le sue parole. Proprio quando riesco a concentrarmi abbastanza per leggere le sue labbra, la campanella suona, tutti spariscono e Gabby mi saluta correndo lungo il vialetto. Rimango lì, da sola, con un bordo della mia gonna bagnata in una mano e nell’altra il mio zaino e una busta rosa bagnata e spiegazzata.

Il terrore che sento al pensiero di rivedere di nuovo Shalini rende l’aula di storia buia, fredda e tetra. L’aula si sta riempiendo e io continuo a guardare verso la porta e i ragazzi che stanno entrando. Trattengo il respiro, mi aspetto di vederla da un momento all’altro. Poi i banchi si riempiono uno dopo l’altro e il Signor Davis, l’insegnante, entra nell’aula, chiude la porta e inizia a fare l’appello.

«Shalini non c’è? Non doveva tornare oggi?»

Resto in silenzio, immobile, in attesa di sentire la risposta. Poi Gavin Toombs, uno dei ragazzi con cui lei a volte va in giro, interviene. «No, signore. Ho sentito dire che non tornerà, rimarrà da suo padre.»

Il Signor Davis inarca un sopracciglio. «Uhm. Va bene, verificherò più tardi con la segreteria. Comunque, oggi parleremo di nuovo degli Aztechi. Tirate fuori i libri e andate a pagina 134.»

Ricomincio a respirare. Sono estremamente sollevata... Shalini non tornerà più! E Rae e Tyra non faranno nulla, senza di lei. Tutto andrà a posto. Nessuno saprà nulla delle coreografie distrutte. E il mio segreto rimarrà al sicuro. Sorrido, quasi senza accorgermene, e rilasso le spalle. Poi mi guardo la mano e osservo la busta rosa che mi ha dato Gabby. Me ne ero completamente dimenticata.

La apro non appena il Signor Davis inizia a divagare. Mai una volta che riesca a rimanere sull’argomento previsto per la lezione! Io sono seduta in fondo all’aula. Quando inizia con le sue elucubrazioni, di solito si appoggia sullo schienale della sua sedia, con le braccia incrociate e un gesso in mano. Sto molto attenta a tenere le mani sotto al banco. Non voglio finire nei guai... non ho idea di come potrebbe reagire il Signor Fellowes, se finissi di nuovo nel suo ufficio.

Sulla parte davanti della busta, Gabby ha scritto a mano il mio nome con mille punti esclamativi. Ora è leggermente rovinato a causa della pioggia, ma doveva essere di sicuro quasi un’opera d’arte quando lo ha decorato, con almeno cinque pennarelli diversi.

Sul lato posteriore, ha scritto “Se lo apri 6 un grande!”. Stavolta i punti esclamativi hanno dei cerchietti al posto dei punti. Infilo il dito sotto la linguetta e strappo leggermente la busta per tirare fuori il foglio all’interno. È un A4 ripiegato, ricoperto di stampe e disegni a pennarello, ed è qualcosa che non vedevo da moltissimo tempo: l’invito a una festa di compleanno.

Senza volerlo, inspiro profondamente. Riesco a trattenermi a malapena dall’emettere un vero e proprio gemito di sorpresa, ma è tutto il mio corpo che vuole reagire a questo invito e io non riesco a controllarlo.

Ehi ragazzi! Siete tutti invitati alla più fantastica (e intendo davvero la più fantastica!!!) festa di compleanno dell’anno. E ovviamente è la mia!!! Yeeeeesss ragazzi!!! Portatevi delle torce, perché giocheremo fino a notte fonda!!! Dalle 5:00 fino a chissà quando!!!

Leggo tutto il foglio. In alto c’è il disegno di alcuni babbuini con dei sorrisi enormi, e sotto la scrittura tonda di Gabby. Riesco a sentire la sua voce in ogni riga.

Controllo due volte che ci sia il mio nome sul biglietto. E anche quando ci faccio scorrere sopra le dita un paio di volte e lo rileggo per assicurarmene, continuo a girarlo e rigirarlo tra le mani per controllare che da qualche parte non ci sia scritto “Pesce d’Aprile” o “Ahah! Sfigata!”, perché non mi sarei mai aspettata di essere invitata a una delle cose di Liam o dei suoi amici.

Lasciare che qualcuno ti parli a scuola perché sei una persona gentile è diverso da invitare qualcuno al tuo compleanno. E anche se Gabby è sempre gentile con me, non ho mai pensato che qualcuno potesse davvero volermi alla sua festa, specialmente qualcuno che ha tanti amici ed è così estroversa come Gabby.

Quando arriva l’ora di pranzo, la pioggia ha smesso di cadere. Mi sto dirigendo verso il nostro solito posto e Gabby salta fuori da chissà dove con un enorme sorriso in faccia.

«Ehi, Jazmine! Hai letto l’invito allora? Pensi di venire? Cioè, so che manca poco, ma sono riuscita a convincere mia madre solo ieri! Cosa ne dici? Ti è piaciuto quello yeeeeesss? È un po’ come “Yuuuuuuhhuuuuuuu! Sono una teenager!!”...» Poi solleva le mani in aria. «Oh yeah, baby!»

Sembra così sciocca che mi scappa da ridere. Ma lei subito torna a guardarmi, ripetendo la domanda. «Tua madre ti darà il permesso, vero? Cosa dici?»

Sono nervosa. «Ma... sei sicura? Cioè, non devi invitarmi se non ti va...» La mia voce si fa più debole.

Mi guarda con una espressione stranita, come se non capisse, e aggrotta leggermente la fronte, scrollando le spalle. «Sì, certo!» Poi torna alla sua solita espressione. «È per questo che ci ho messo il tuo nome, sull’invito. E anche sulla busta. Se una persona mette il tuo nome sull’invito, è perché vuole che tu vada.» La sua voce sale di tono alla fine, come se fosse una domanda.

«Scusami, non intendevo...» Cerco di giustificarmi, ma Gabby vede le gemelle ed Erin e saltella verso di loro per chiedere anche a loro se andranno alla sua festa. Mi sento a disagio e stupida per avere avuto quei dubbi. Spero che non pensi che in realtà non ho voglia di andarci, alla sua festa. Sto arrossendo.

Il fatto che mamma resti stupita quanto me non aiuta. Mentre torno a casa con l’autobus, tiro di nuovo fuori il biglietto e lo rileggo più volte. Passo col dito sopra al mio nome e sento di nuovo lo stesso imbarazzo, quindi lo infilo tra le pagine del mio diario e lo lascio lì fino a quando mamma va a recuperare il contenitore vuoto del pranzo dal mio zaino. Mentre lo sta svuotando sul tavolo della cucina, il mio diario scivola fuori e il biglietto cade sul pavimento. Non lo raccoglie, ma vedo che si gira a guardarlo. I suoi occhi si muovono mentre lo legge e vedo che la sua fronte si increspa leggermente.

«Hai ricevuto un invito?» Cerca di rimanere tranquilla, ma mi accorgo che sta cercando di non suonare troppo sorpresa.

«Sì, è di Gabby.» Non so cosa fare e non so cosa lei si aspetti da me. Resto lì seduta e guardo il biglietto.

«Posso?» Mi fa un cenno con la testa, verso il biglietto. Sembra sempre un po’ esitante, come se non volesse spaventarmi. O come se fossi io a spaventarla. Alzo le spalle, come se la cosa non mi disturbasse.

Nella tranquillità silenziosa della nostra cucina, la scrittura roboante di Gabby sembra urlare direttamente dalla carta e i punti esclamativi sembrano ora almeno il doppio.

«Babbuini.» Mamma aggrotta la fronte e mi guarda. Io la guardo, con la stessa espressione.

«Cosa significa “dalle 5:00 fino a chissà quando” ? Dovresti rimanere a dormire lì?»

«No. Ha detto che suo padre non le darebbe il permesso. Dovrebbe finire verso le dieci, credo.»

Sono nervosa. È troppo tardi? Non so bene cosa potrebbe dire mamma.

«Vuoi andarci?» Sta volontariamente tenendo il tono della conversazione più leggero possibile. Come se non fosse chissà quale avvenimento. Come se non fosse la prima festa di compleanno a cui vengo invitata da quattro anni. O forse anche di più.

Improvvisamente, sento rimontare uno dei miei vecchi attacchi di panico. Vorrei scomparire. Se ora le rispondo di sì, poi dovrò andarci, e io ne sono terrorizzata. Perché dovrò essere socievole, parlare con le persone, essere normale. Ma non posso nemmeno rifiutare l’invito, perché non mi piace essere sola, in silenzio e a disagio. È più facile non scegliere. Vorrei scomparire, diventare invisibile e non sentire più la paura, fuggire via, ma poi improvvisamente sento una voce nella mia testa. È limpida e molto tranquilla, e mi dice solo: “Di’ di sì”.

Mi sento come se avessi ricevuto un pugno, ma in un modo buono. Respiro. La paura se ne è andata e la tranquillità di quella voce ha raggiunto le mie gambe e le mie braccia. Tutta la confusione e i dubbi che avevo in testa sono stati ripuliti e buttati nel cestino.

Apro la bocca. Le parole volano fuori da sole. «Sì, voglio andarci.» Guardo le mie parole che ancora ondeggiano come piccole nuvole nell’aria e mi stupisco di quanto suonino sicure e decise. Non ho detto “penso di sì” o “forse”, o cose del genere.

Anche mamma rimane sorpresa. Mi guarda sbattendo gli occhi. Fa così ogni volta che non sa cosa rispondere. «Bene. È una bella cosa. Ok. Quindi... questo ti servirà.» Mi porge il biglietto. I babbuini mi sorridono, ma sono sorrisi felici. Mi sembra addirittura che uno mi faccia l’occhiolino, come a dire “ottima scelta!”.

«Grazie.» Sorrido a mamma. Lei ricambia il mio sorriso. «Ringrazia te stessa,» mi dice. Poi se ne va in corridoio e quindi in camera da letto. Vedo che quasi balla, mentre apre la porta.

Più tardi, mentre guardiamo la TV, mamma si sporge verso il mio lato del divano e mi tocca la mano. Di solito ritraggo la mano, ma stavolta gliela lascio tenere per qualche minuto. Guarda le mie dita e con dolcezza passa la punta delle sue dita su ognuna delle mie unghie.

«Hai delle mani eleganti, Jaz. Proprio come quelle di tuo padre, anche lui aveva delle dita lunghe. E hai delle bellissime unghie.»

«Davvero?» Mi sento in imbarazzo. Non mi era mai capitato di pensare alle mie unghie.

«Sì, guarda.» Solleva una mano. Non vedo molto, alla luce della lampada. «Le mie sono come triangoli, le tue invece sono perfettamente rettangolari.»

Non ci avevo mai fatto caso, ma è vero. L’unghia del pollice di mamma è triangolare, completamente diversa dalla mia.

«Non l’avevo mai notato.» Mi faccio più vicina a lei. Lei sembra piacevolmente sorpresa. Poi restiamo lì sedute insieme, a guardare il suo programma finché non arriva il momento di andare a letto.