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Sabato
Caro papà,
sto per dare di stomaco. Sono stata invitata alla festa di Gabby – che è oggi – e vorrei andarci, ma sono terrorizzata. Non riesco a calmarmi. La paura si sta arrampicando lungo le pareti del mio stomaco e sta salendo verso la gola. Provo a tenere a freno queste sensazioni mangiandomi le unghie. Ho anche fatto una lista di pro e contro per cercare di vedere meglio la cosa.
Pro:
- Gabby mi ha invitata.
- È una festa, quindi dovrei divertirmi... giusto?
- Se andrò a una, poi andare alla seconda sarà più facile.
Contro:
- Sono nervosa da morire!
- Potrei mettermi in ridicolo.
- Forse in realtà Gabby non voleva invitarmi davvero. Forse l’ha fatto solo perché si sentiva in dovere, perché sono nello stesso gruppo con lei, Liam e tutti gli altri. Ma forse non le piaccio davvero, non più di tanto.
Cosa devo fare?
Un bacio, Jazmine
Sono a sedere in silenzio sul letto, mentre dentro la mia testa si sta scatenando un incontro di wrestling. Per un momento penso che dovrei rinunciare e restare a casa. Potrei darle un colpo di telefono e dire che sono ammalata. O potrei non dire nulla e ignorare l’argomento quando rivedrò Gabby a scuola.
Tocco con le dita il regalo che le ho preso questa mattina. Mamma voleva convincermi a comprarle un braccialetto o una collanina, ma non c’era nulla che mi sembrasse adatto. Poi sono entrata in un negozio di giocattoli e lei mi è sembrata piuttosto frustrata.
«Non credi sia un po’ troppo grande per questo genere di cose?» In realtà, io sapevo esattamente cosa cercare. Mi sono guardata intorno per un po’ prima di trovarlo, ma poi eccolo lì: un piccolo babbuino di plastica, che si nascondeva dietro le zebre tra gli animali africani.
«Davvero? Ma sei sicura?» Io sapevo bene che quella era la scelta giusta. Gabby lo avrebbe adorato.
Continuo a guardare il piccolo animaletto nero seduto sul mio comodino, pronto per essere incartato. Se fosse reale credo scapperei via a questo punto, perché sono cose che mi terrorizzano. Ma questo ha uno sguardo amichevole e degli occhi gentili.
Guardandolo, capisco che devo fare una scelta. Devo scegliere a quale voce dare retta: a quella che urla, o a quella più tranquilla? Io so che voglio andare a quella festa, lo voglio davvero. Perciò inspirò profondamente e guardo il babbuino, poi me lo metto in tasca ed esco in giardino a strappare le erbacce. I miei girasoli stanno crescendo. Li osservo e scavo un po’, ripulendo lo spazio intorno. Questo mi fa stare un po’ meglio, e la sensazione di nausea diminuisce di nuovo. Quindi mi vesto e incarto il babbuino. Riesco a fare tutto.
Mamma mi lascia davanti a casa di Gabby qualche minuto prima delle cinque. Mi ha tenuta d’occhio tutto il pomeriggio, sa che sono nervosa per questa cosa, e ora non sa se deve entrare con me o meno. In realtà apprezzo che si preoccupi per me, anche se non riesco a dirglielo. Provo a toccarle una mano. Sta guardando la casa e accennando dei movimenti incerti, come se non sapesse se scendere o no dall’auto, ma io so che questo renderebbe le cose ancora più strane, perciò la saluto e scendo da sola, col babbuino in tasca. Mi incammino lungo il vialetto della casa di Gabby e vado a bussare alla sua porta.
Per mezzo secondo, il mio colpo sulla porta sembra rimanere sospeso nell’aria e mi chiedo se qualcuno risponderà. Ma poi Gabby viene ad aprirmi in una grande folata d’aria e squittisce per la felicità, saltando avanti e indietro e portandomi le braccia al collo.
«Entra, entra, entra!» La porta si richiude ancora prima che possa girarmi a salutare mamma. Ora sono alla festa, non posso più tornare indietro.
La casa di Gabby è grande e spaziosa, molto più pulita e ordinata della nostra. C’è vetro ovunque, tutto è coordinato e sembra nuovissimo. I nostri mobili invece sono tutti di seconda mano, alcuni addirittura recuperati in discarica. Non credo che la famiglia di Gabby sia mai stata alla discarica!
Sento della musica provenire allo stereo e ci sono dei palloncini attaccati a ogni maniglia e ogni lampada. Ci sono foto di babbuini ovunque.
«Ahah! Ti piacciono?» Gabby si mette a ridere, quando glieli indico. «Ho pensato che fossero simpatici... chi mai farebbe una festa con il tema dei babbuini?»
«Questo mi fa venire in mente...» Cerco il suo regalo nel mio zainetto. «Ecco. È solo un pensierino, ma ho pensato che ti sarebbe piaciuto.»
«Ohhh graaaazieee!!!» Prova a tastare il pacchetto prima di aprirlo e vedo che probabilmente ha intuito di cosa si tratta, ma non ne è ancora sicura. Scioglie il fiocco e strappa la carta, poi inizia a saltare su e giù, baciando il piccolo babbuino.
«Oh, è così carino!» Vedo che lo pensa davvero. «Mi piace! Mi piace da morire! Grazie! Sarà la mia nuova mascotte! Guarda, mamma!» Corre urlando in cucina a farglielo vedere. «Guarda cosa mi ha regalato Jazmine! Ma quanto è carino!»
Il campanello suona di nuovo e Gabby corre ad aprire, gridando di nuovo quando trova le gemelle. «Entrate, entrate, entrate!» Ci sono altri commenti sui palloncini e sulle decorazioni coi babbuini, poi mostra loro il piccolo babbuino che le ho portato. «Me l’ha regalato Jazmine!» Le saluto timidamente, come se ancora non pensassi di meritare di essere lì, e all’improvviso mi sento di nuovo nervosa. Respiro profondamente e mi guardo intorno, in cerca di qualcosa da fare.
Sulla libreria in fondo alla stanza ci sono alcuni portafoto, tutti con la faccia di Gabby. Sono foto di tutte le scuole in cui è stata finora e si può vedere come è cresciuta nel corso degli anni, passando dall’essere la bambina con le guance tonde e i codini dell’asilo fino a diventare la ragazza del liceo, più magra, con la coda di cavallo e l’apparecchio ai denti.
Ma noto una cosa: in ogni singola foto, Gabby indossa una diversa uniforme scolastica.
Gabby viene verso di me, per vedere cosa sto guardando. «Oh, non guardarle! Mamma! Avresti dovuto metterle via! Sono così imbarazzanti!»
«Sei stata in tantissime scuole...»
«Sì. E prima della scuola elementare, sono stata in tre scuole materne diverse.» Non capisco se se ne sta facendo un vanto, o se invece se ne sta lamentando. La sua voce è un po’ più dura. Me le elenca una ad una. «Questa è la Cowra Public, questa è la Blackburn, e questa era Ashbury.» Per un attimo, sembra pensierosa. «Questa non me la ricordo. Ehi, mamma!» Sua madre sta mettendo dei panini su un vassoio, nella loro cucina nuova e luccicante. «Che scuola era questa? Quella a cui sono andata il quarto anno...»
«Di che colore è l’uniforme?» le domanda, pulendosi le dita e andando verso di lei. Sembra una donna gentile e materna, con il suo grembiule. «Ah, sì! Credo sia la Glenhaven Public.»
«Ah, ecco!» dice Gabby. «Io non riesco a ricordarle tutte.» Scrolla le spalle e se ne va. Vorrei dirle che credo sia fantastica, ma potrebbe sembrare strano. Come può essere così socievole e avere così tanta fiducia in se stessa, se viene spostata da un posto all’altro di continuo? Vorrei tanto essere come lei... Stanno arrivando altri ragazzi e Gabby li abbraccia uno ad uno ed è sempre allegra e felice. Non riesco a capire. Qui stasera devono esserci almeno venti suoi amici. E deve averli conosciuti tutti in questo ultimo anno. Io per tutto il pomeriggio non sono nemmeno riuscita a pensare di andare a una festa senza il timore che avrei dato di stomaco.
Ma ora è il momento di mangiare. La madre di Gabby ha portato sulla tavola alcuni vassoi con dei panini e della pizza e tutti si stanno avvicinando per mangiare. Non sono abituata ad avere così tante ragazze intorno, e il rumore che fanno chiacchierando e ridendo è intenso. Mi concentro sul cibo e mangio lentamente, cercando di non sembrare troppo fuori luogo.
Improvvisamente Gabby mi è davanti e mi parla di un libro che sta facendo leggere a tutti. «Sta per uscire il film, hai sentito?» Ha un’espressione così felice che non posso non sorriderle.
«Davvero? Quando?»
«In novembre, credo. Tu l’hai già letto?» Ha un sopracciglio inarcato, forse sono nei guai. Non me la sento di dirle che nelle ultime quattro settimane non ho letto nulla a parte Il Giardino Segreto e che sul mio comodino c’è solo la copia ingiallita e un po’ spiegazzata che ho trovato in biblioteca. Il prestito è già scaduto e io l’ho già letto due volte, ma ancora non voglio restituirlo, perché ogni volta che lo riprendo in mano scopro qualcosa di nuovo. Non riesco a farmi uscire Mary dalla testa. Continuo a pensare a come sarebbe oggi, con degli abiti moderni addosso. Potremmo diventare amiche, se venisse nella mia scuola? Cosa farebbe lei al mio posto, in una rumorosa festa di ragazze?
Ma non ho il tempo di darmi delle risposte, perché Gabby ci sta trascinando verso un parco dall’altra parte della strada.
«Non scordatevi le torce! Dobbiamo giocare a nascondino!»
Tutti iniziano a correre da tutte le parti, mi sento come la protagonista di uno di quegli spot televisivi dove tutto si muove intorno a te a una velocità superiore mentre tu rimani immobile e senza parole. Sono come in un altro fuso orario. Ma poi Gabby mi prende per un braccio e la vedo sorridere, mi concentro su tutte le facce intorno a me e anche loro stanno sorridendo, stanno ridendo, e stiamo uscendo tutti insieme e io faccio parte di questa cosa. Mi sento come se lo spot si sia fermato e io posso tornare a camminare normalmente e anche sorridere, e quindi lo faccio, e poi mi metto addirittura a correre per tenere il passo di Gabby, e non mi sento strana o diversa o timida o triste. Mi sento solo come una ragazza a una festa di compleanno con i suoi amici.
Anche la torta è a forma di babbuino. Seriamente. Quando viene portata in tavola, Gabby scoppia a ridere e ridere. «Stupenda! Chi altro ha mai avuto una torta a forma di babbuino? È fantastica, la adoro!»
Inspira profondamente, ma Olivia la blocca. «Aspetta, Gabby! Sai che devi spegnerle tutte insieme, vero?!?»
«Esatto. Altrimenti significa che hai un fidanzato,» dice Caitlin.
«Però io non ce l’ho!!!» replica lei. Riesco a percepire tutti i punti esclamativi alla fine delle sue frasi. Ma è arrossita, e ha un mezzo sorriso agli angoli della bocca.
«Però ne vorresti uno,» la incalza Erin, sorridendo. «D-A-N...» Mima le lettere con la bocca, ma non pronuncia il nome.
Gabby inspira di nuovo e soffia, muovendo la testa fino a spegnere tutte le tredici candeline. L’odore della cera bruciata mi pizzica il naso. Non sento l’odore delle candeline di compleanno da almeno quattro anni, a parte le mie.
«Ha! Visto?» Alza le mani come a dire: “Non ne ho lasciata accesa nemmeno una”. Erin sembra un po’ delusa, mentre le gemelle sono più sollevate.
Tutti cantano, e anche io. La mamma di Gabby porta un coltello con un grosso fiocco blu e lei si mette a tagliare la torta, ma delicatamente, senza raggiungere il fondo.
«Toccare il piatto porta sfortuna.» Annuisce con la testa, come se conoscesse tutte le regole che riguardano le torte e la fortuna.
«E invece porta fortuna mangiare le orecchie dei babbuini,» mi dice porgendomi un pezzo dell’orecchio che ha messo in un piattino per me. «Ecco qua.»
È una mudcake alla vaniglia, sto mangiando un pezzo di fortuna e sa di felicità. Non è un vero e proprio sapore, ma so che è vero. Chiedo addirittura un secondo pezzo, e questa è una cosa strana per me perché di solito non ho molto appetito, ma ora sono felice e stanca per le risate e le corse e perché sono viva, e tutto questo mi fa venire fame.
La mamma di Gabby accende la musica in giardino. Spinge un interruttore e improvvisamente dei fili di splendide luci prendono vita nell’oscurità. Fa un po’ freddo, vedo il mio fiato diventare una piccola nuvola di vapore magico che vola via. All’improvviso, tutto sembra più vivo e più elettrico. E anche se la festa sembra tranquillizzarsi un po’ mentre tutti escono in giardino, sento ancora un mormorio di energia strisciare tra noi, un’energia che vorrei respirare per sempre.
Le altre persone si muovono intorno a me, mettendosi a sedere o rimanendo a chiacchierare in piccoli gruppi. Non so a chi aggregarmi, ma poi Gabby si butta a terra accanto a me con una manciata di dolciumi. Anche io mi metto a sedere e lei me ne offre uno. Scelgo una caramella gommosa di colore rosa.
«Mmm... quelle le adoro!» mi dice, approvando la scelta.
«Anche io!» Poi mi sento un po’ a disagio, perciò le dico: «Davvero una bella festa.»
«Figo!» Si sdraia sull’erba e guarda verso il cielo. «Sono felice che tu sia venuta. Non ero sicura che ne avessi voglia.»
«Perché?»
«Mi sei sembrata un po’ sorpresa, quando ti ho dato l’invito...»
«Oh, no! Non lo ero, ma...» Non so cosa dire.
«Sì, ho pensato che forse non volevi venire perché non volevi davvero essere mia amica...» Per un momento, la sua voce è diventata leggera e flebile. Sembra quasi insicura.
«Oh, no! No! Affatto!» Sono sorpresa. Davvero. Non avevo affatto idea che potesse sentirsi in quel modo. Vorrei farla stare meglio, perciò provo a spiegarmi.
«È solo che...cioè...» Cerco più volte di mettere insieme le parole giuste, non riesco a farle uscire. «È che non ho dei veri amici da molto tempo. Voglio dire... tu, Erin, le gemelle, Dan e... Liam...» Abbasso la voce, quando dico il suo nome. «Voi siete probabilmente le prime persone gentili che incontro da... beh, da sempre.»
Incespico ad ogni parola, non sono abituata a dire questo genere di cose. «E ovviamente tu mi piaci molto. Cioè, come potresti non piacermi? Sei sempre così socievole e così sicura di te. Ho solo pensato che probabilmente avevi altri milioni di persone che avresti preferito invitare al mio posto.»
Gabby rimane in silenzio per un po’. Restiamo entrambe a guardare i nostri respiri, sospesi nell’aria come piccole nuvole d’argento.
È pensierosa. «Sai, posso anche sembrare sicura di me stessa, posso fare tanto casino e fare la stupida, posso amare i babbuini, che è una cosa che fa sempre ridere tutti. Ma io non sono davvero così. Sono timida, invece. Ma lo tengo nascosto.»
Mi sento confusa. Dice seriamente? Non ho mai visto Gabby in quel modo. Dovrei dire qualcosa per farla stare meglio? Sento che la mia bocca vorrebbe parlare, ma il mio cervello non riesce a formare nemmeno una parola. Perciò resto in silenzio.
Lei continua. «Probabilmente pensi che sono pazza. E forse lo sono davvero.» Ride un po’, come per scusarsi. Ma sembra nervosa. «Cerco di piacere alle persone facendo casino, facendo tutte quelle cose stupide e divertenti.»
Emetto un suono strozzato che sembra quasi un “Oh”, ma devo bloccarmi per non fare ancora più rumore e mettermi in imbarazzo.
«Non credo di essere davvero così, dentro. Hai visto quelle foto. Sono stata in sette scuole diverse. Non ho mai avuto un amico per più di un anno. Probabilmente dovrò partire anche alla fine di questo anno, quando si chiuderà il contratto di mio padre. E allora dovrò farlo di nuovo: sembrare sicura di me stessa, conoscere nuove persone e cercare di non sembrare una sfigata totale. Ogni volta che mi sposto, devo ricominciare da capo. È per questo che sembro sicura di me, perché ho visto che funziona. Ma vorrei tanto non doverlo fare.»
Ora sono curiosa. Ho una domanda da farle. «Quindi quando è che ti senti davvero te stessa?»
Ci pensa un momento, prima di rispondermi. «Quando sono sola nella mia stanza, probabilmente. Ho alcuni vecchi giocattoli e oggetti che mi porto dietro in ogni casa in cui vado. Li metto nel mio zaino, quando traslochiamo, e sono le prime cose che tiro fuori quando arriviamo nella casa nuova. Poi mi metto lì a sedere, in silenzio, con le mie cose.»
Siamo ancora sdraiate sull’erba. Sento il freddo penetrarmi nelle ossa, ma ora il cielo sembra più vicino e le stelle sembrano più grandi.
Gabby continua a parlare. Ma ha la voce più bassa e la sua solita energia sembra essersi un po’ sopita. Indica il mio apparecchio acustico. «Forse è per questo che mi piaci. Se non indossassi quello, non potresti sentire tutto il casino che faccio. È come se tutta la confusione, il rumore e tutto ciò che faccio non fossero poi così importanti per te. Tu sei diversa. Scusami, ovviamente non voglio offenderti.» Mi guarda con un’espressione preoccupata. Io non mi sento affatto offesa, perché è la verità. «Tu sei diversa. E anche io sono diversa. Forse siamo la coppia perfetta.»
«Forse.» Incredibile come una semplice parola può suonare così bella, quando è detta ad alta voce. «Forse lo siamo.» E per un momento, io e Gabby sembriamo sole al mondo, ma non sole davvero, perché siamo una con l’altra sotto un cielo enorme.
Poi quel momento finisce. Gabby si gira e si mette a ridere. E la sua vitalità torna fuori. «Ecco, ora sono in imbarazzo. Non ho mai detto queste cose a nessuno. Pensi che sia strana?»
«No. Certo che no.» E lo penso davvero. Come potrei ritenerla strana? Qui quella più strana sono io, di gran lunga. Ma sento un calore dentro di me, anche lì sulla terra fredda, perché Gabby pensa che ciò che penso io conti qualcosa.
«È strano,» mi dice. «Io so di potermi fidare di te. So che non tradirai i miei segreti.» Sorride.
«Sì.» E penso, tra me e me, che non rivelerò il suo segreto. Lo terrò stretto a me. Perché nessuno mi ha mai affidato un suo segreto. E mi sento come se fossi io a compiere gli anni, perché Gabby mi ha dato il più bel regalo che io abbia mai avuto.
Cara Jaz,
grazie per il babbuino. È carinissimo!!!!! Ed è la mia nuova mascotte!!!
E grazie per avermi ascoltata, ovviamente. Sei un’amica fantastica!!!! La mia amica del cuore. Per sempre!!!
Gab xxxxxx
Se dovrò partire, ti manderò delle e-mail e degli sms tutti i giorni!!!