Quando nessuno si attende il miracolo, il miracolo avviene.
Yui aveva incontrato per la prima volta la bambina quella mattina. Dopo averne sentito parlare per più di due anni, adesso la guardava negli occhi, le teneva la mano. Era docile e tranquilla, un perfetto esemplare di ragazzina di sei anni. Ancora pochi mesi e sarebbe entrata alle elementari.
Quando Yui, invece di suonare il clacson, aveva accostato ed era scesa dalla vettura per farglisi incontro, Hana le aveva sorriso con un piccolo inchino. Pareva sapere perfettamente lei chi fosse e perché si trovassero tutti e tre insieme lì.
Yui aveva guidato con una cautela aggiuntiva, lanciando brevi occhiate allo specchietto retrovisore per controllare che Hana, nel seggiolino che avevano affittato appositamente per il viaggio, fosse a proprio agio.
Lo avevano installato dietro il sedile del guidatore e Takeshi viaggiava accanto a lei.
Avevano fatto la solita sosta al Lawson di Chiba, Hana aveva comprato un budino al gianduia e una bottiglietta di latte al cacao. Andava matta per la cioccolata e quando l’oceano fu in vista, Yui allungò la mano indietro per porgerle una scheggia della sua tavoletta. Nonostante non avesse provato più nemmeno uno spasmo, continuava ad acquistarla, tanto era ormai abituata a quel rito.
«Vedo il mare e la salivazione aumenta, ma solo perché sono diventata golosa» aveva commentato divertita. «Un disastro.»
La cioccolata la voleva a prescindere. Anche lei la adorava.
«Se abitassi sul mare peserei un quintale.»
Hana si era abituata subito a Yui, come ci fosse sempre stata tra loro. Si vedeva che le piaceva.
E quando la bambina uscì dalla cabina e corse incontro alle ginocchia del padre e le abbracciò forte, quando si commossero entrambi e Yui fece per lasciarli da soli, fu proprio Hana ad afferrarle l’orlo della giacca, risalendo alla manica e infine alla mano, a tirandola verso di sé.
Era il momento giusto. Sempre quando accade qualcosa di bello lo è.
Il padre, prima ancora della figlia, doveva essere pronto. Takeshi finalmente lo era. E Hana parve capirlo.
Fu così che quando Takeshi si chinò per abbracciare la bambina e quella affondò la testa nel collo del padre iniziò a parlare di nuovo, e disse solo cose normali. Cose da bambina, cose proporzionate alla sua età.
Aveva fame, e pure un po’ sete. No, il vento non la disturbava anche se effettivamente era forte. Era bellissimo là.
E benché Hana non si sarebbe mai trasformata in una chiacchierona, nel viaggio di ritorno commentò quanto le piacesse la cioccolata, ed entrambe, lei e Yui, al kombini che incontrarono sulla strada, acquistarono una montagna di dolci. Sotto gli occhi divertiti di Takeshi scartarono, succhiarono, masticarono, scrocchiarono, sbriciolarono, leccarono ogni possibile prodotto che avesse la parola choco sulla confezione.
Yui raccontò di come sua madre, da bambina, le comprasse sempre una doppia ciambella. Una per ora, una per chi lo sa. Come se la fine della felicità proprio non gliela volesse insegnare.
«Ora che la finisci, vedi che c’è l’altra, mi diceva. E puntualmente accadeva che lo spazio nello stomaco per un’altra ciambella proprio non c’era e quella povera ciambella invecchiava nella credenza, senza che nessuno la toccasse.»
Ci si poteva permettere il lusso di avere più fame, oppure di meno.
«In ogni caso ce ne sarebbe stata sempre un’altra.»
Hana spalancò la bocca ammirata.
«Anche tua mamma ne comprava tantissime» intervenne Takeshi. «Molte più di quante si riuscisse a mangiarne.»
«Magari la nostra passione per i dolci dipende da quello» commentò Yui.
Come se le due memorie fossero allacciate in qualche maniera, Yui recuperò un giorno di aprile, la bocca piena di sua figlia, le guance tese e la sua prima frase compiuta in assoluto: Voglio tanta torta. Era il compleanno di Yui, la bambina traslocata per il rito delle candeline sulle ginocchia, addosso la sensazione calda del suo corpo irrequieto. Il dito goloso che si infilava nella panna, sventrava la forma e la portava alla bocca.
«Cosa è rimasto nella busta?» domandò Yui, indicando con gli occhi il sacco del kombini. Il ricordo della figlia preferì tenerlo per sé.
«Ancora? Ma quanto mangiate?» avrebbe ripetuto quella sera più volte Takeshi, fingendosi sazio, ma solo per guardare Yui e Hana mettere in bocca qualcosa e sentirle esclamare: Buono! Che buono! Non ti pare il migliore di tutti? Croccantissimo sì. Sarebbe il massimo un po’ riscaldato al microonde. Magari con la panna sopra! Sì, la panna fresca sopra! E polvere di cannella! E di cacao? Sì anche di cacao, hai ragione!
A Takeshi divertiva il modo che aveva Yui di trovare nuove parole per descrivere il cibo, come i personaggi alla tv che inventavano parabole altissime per nominare un solo bignè. Soprattutto lo emozionava la voce cristallina della bambina: si posava sulle cose, su parole normali, facendole vibrare di suoni eccezionali. Parevano polpastrelli sui tasti di un pianoforte.