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Ornamento di separation

I bambini sono andati a letto e io e Ashok torniamo al lavoro. È così che funziona di sera, durante la settimana, in casa nostra. Ashok è davanti al computer al tavolo della cucina, che controlla documenti legali e invia email, mentre io rimetto in ordine. Per fortuna stasera ci sono molti avanzi, e questo mi evita di dovere preparare i panini per il pranzo dei bambini. Suddivido la pasta in due porzioni uguali, le metto in contenitori di plastica e le cospargo di parmigiano; di più per Zach e meno per Avi, il più esigente. Poi ammiro la mia creazione: fusilli integrali, a chiazze rosa e verdi, con pancetta e zucchine. Sono brava a cucinare e sto ancora pensando di trasformarlo in un lavoro. Ma lo yoga è ancora quello che mi piace di più sebbene, tra tutte le mie idee imprenditoriali, è quella che piace meno ad Ashok e alla sua famiglia. Nonostante Ashok dica che posso fare quello che voglio, so bene cosa vorrebbe. Lo status è importante per lui, quindi si vanterebbe della laurea di Sunshine ma non della sua abilitazione all’insegnamento. Non per lo yoga, almeno. Il che è ironico, considerando che lo yoga mi avvicina all’India, ma credo non nel modo che la sua famiglia altolocata vorrebbe. Prendo il contenitore di pomodori rossi, ne taglio alcuni a metà e li posiziono in modo artistico sopra la pasta… e il pranzo è pronto. Nel frigorifero, con una mela rossa per ciascuno.

«Cioccolata?»

Prendo la barretta da Ashok, stacco un quadratino e gliela restituisco. Le sue spalle sono curve, così gliele massaggio e poi lo bacio sul collo. Eccitato, mette via il computer, girandomi per darmi un vero bacio.

«Non andare via», implora, il suo braccio che mi tiene per la vita.

«Non sto andando via», sussurro, «è solo che…»

Lui si incupisce, mentre mi libero.

«Sto cercando di aiutare Morayo con tutte queste carte», dico sparpagliandole sul tavolo della cucina. Ashok annuisce, ma so che è arrabbiato. Mi chiedo se dovrei spiegargli che non è che non voglio fare l’amore, solo che dopo una lunga giornata passata a pensare agli altri ho bisogno dei miei spazi. E anche se farlo volesse dire continuare a pensare agli altri, è una mia scelta, anziché uno dei miei doveri di madre. Ma abbiamo già avuto questa conversazione, quindi resto con Morayo. «Hai mai sentito del centro Abdul Rahim per il diritto all’istruzione? Non ho trovato niente online e sono preoccupata perché pare che Morayo lo abbia finanziato molto.»

«Sembra una truffa», mormora.

«Ma solo perché non trovo niente online, non devo essere sospettosa, vero? Voglio dire, è nigeriana, quindi forse è un centro piccolo, magari di un suo parente… Devo trovare qualche informazione, da qualche parte.» Picchietto la matita sul tavolo, mentre continuo a pensarci. Forse Ashok ha ragione, ho un senso del dovere eccessivo. Forse avremmo solo bisogno di fare l’amore più spesso. Forse mi dovrei preoccupare meno di svegliarmi presto per portare i bambini a scuola. Permettere loro di essere in ritardo qualche volta. Lasciarli mangiare cereali anziché pane tostato. Lasciarli andare a scuola spettinati e senza essersi lavati i denti e aver passato il filo interdentale. Ma stiamo scherzando? Mettere le cose in ordine è ciò che faccio meglio. È ciò che sono.

Quando Morayo mi ha chiesto per la prima volta di essere la sua esecutrice testamentaria, ho scherzato dicendo che lei sarebbe sopravvissuta a me. Si era sempre tenuta in forma, con tutte quelle camminate e lo yoga. Ma certo, le ho detto, sarò la tua esecutrice testamentaria.

Così ho letto il testamento e ho provato sollievo nel vedere che non mi lasciasse niente. Avrebbe dato tutto in beneficenza. È quello che avrebbe dovuto fare, mi sono detta. Eppure, una parte di me sperava che mi lasciasse qualcosa. Non perché ne avessi bisogno, ma cercavo qualcosa che fosse mio, una somma da poter depositare sul nostro conto comune e dire ad Ashok: «Guarda, baby!»

Ho trovato il testamento di Morayo in uno schedario e ho iniziato a sfogliarlo tornando in cucina. Non si parla di un centro Abdul Rahim e non c’è niente che rimandi alla Nigeria, a parte il luogo nel quale è stato scritto «In caso di morte o di incapacità di intendere e di volere il mio ex marito, Caesar Da Silva, dev’essere informato». Resto seduta per qualche minuto, fissando con sguardo assente la prima pagina, nella quale Morayo è classificata come «residente nella città e nello Stato di San Francisco, California». Considerando tutti i luoghi in cui ha vissuto, mi stupisco di come si sarebbe sentita se avesse letto quella frase o le frasi della sezione «informazioni personali», che ricordano che è single e non ha figli. Mi aveva detto quanto avrebbe voluto avere figli. Immagino sia stato un grande dolore per lei non averne avuti.

«Non pensi di avere già fatto abbastanza per lei?» chiede Ashok, guardando il computer.

«No, in confronto a quello che lei ha fatto per noi. Pensa a tutto quello che ha fatto per i bambini.»

«Lo so», sospira, «e le sono grato, amore, ma ci saranno altri amici che possano aiutarla, non credi?»

«Non amici intimi, ai quali affidare la gestione delle sue finanze. Nessun altro che viva qui.»

«Quindi perché non ha nominato un tutore o qualcosa del genere?»

«Un tutore? Stai scherzando?»

«Te lo sto spiegando.»

«Spiegando cosa? Che dovrei abbandonarla? Stai dicendo questo?»

«Sai che non sto dicendo questo.»

«Quindi cosa intendi dire?»

«Sto solo dicendo che non puoi fare tutto per lei. So che hai il cuore più grande di tutti, Sunny, ma non puoi fare tutto per tutti. È per questo che sei così stanca.»

«Se non vuoi che sia così stanca, potresti aiutarmi. Per esempio facendo la lavatrice ogni tanto. O andando a prendere i bambini a scuola. O portandoli a scuola. Anche solo raccogliendo i tuoi calzini. Sarebbe bello.»

Ashok chiude gli occhi e scuote la testa, poi dice: «Senti dolcezza, mi dispiace che pensi che io sia un cattivo marito». So cosa sta pensando. Sta pensando: Quindi è a questo che arriviamo dopo cioccolata e baci. Questo è quello che ottengo quando ti chiedo di assumere una governante; di prendere una babysitter. C’è qualcosa che posso fare per renderti felice? E tu, ti sei mai chiesta come mi sento io? Cosa significhi essere l’unico che porta il pane a casa? Essere quello su cui tutti contano?

«Non ho mai detto che sei un cattivo marito, sai che non sto dicendo questo. Sto solo dicendo che non c’è nessuno che possa aiutare Morayo. Sicuramente nessuno che sappia delle sue cose in Nigeria.»