Avrò detto mille volte al domestico di non disturbarmi con le telefonate mentre mangio. Eppure, eccolo, proteso sul tavolo, che mi dice che c’è una certa Sunshine che mi cerca.
«Fatti lasciare un messaggio», urlo. «Quante volte devo ricordarti di non interrompermi mentre mangio? Specialmente quando sto cenando con un buon amico.»
«Ma…» Solomon si blocca.
«Cosa?» scatto, fissando infastidito una pallina di eba che ho in mano, ormai troppo fredda per mangiarla. Non è la prima volta che il mio domestico mi fa arrabbiare, oggi. Stamattina era in ritardo con la colazione e la macedonia sapeva di cipolla, segno che non aveva lavato bene i coltelli. Cosa stava accadendo? Aveva forse trovato un altro lavoro? Quel pensiero ora mi disturba. Pur essendo fastidioso come solo Solomon può essere, un domestico di cui fidarsi è difficile da trovare, a Lagos. Così abbasso i toni e gli dico che, a meno che sia il presidente americano, questa Sunshine può aspettare. D’altronde, che nome è, Sunshine?
«Sì, signore. Mi faccio lasciare un messaggio.»
Sospiro, scuotendo la testa, mentre il mio amico ride alla vista di Solomon che se ne va. «Sinceramente, a volte mi interrogo sull’intelligenza di queste persone. Dove eravamo rimasti?» Ma, neanche il tempo di inzuppare la mia eba nella salsa, Solomon torna.
«Mi scusi, signore, ma la persona in questione sta cercando la signora.»
«Fatti lasciare un messaggio per la signora, allora!»
«Ma…»
«Ma cosa?»
«Questo è per la signora Da Silva. Non per la signora.»
«Per l’amor del cielo!» Lotto per togliermi il tovagliolo, allacciato troppo stretto intorno al collo. Lo tiro, ignorando i tentativi di aiutarmi del mio amico. L’ultima cosa che voglio è che noti i miei problemi. «Porta il telefono in ufficio», urlo a Solomon, continuando ad armeggiare per sciogliere il tovagliolo e tentando di nascondere il tremore alla mano destra.
Una volta in ufficio, strappo il telefono dalle mani del domestico e gli ordino di chiudere la porta. Quello che sento all’altro capo del telefono è un accento americano, e riesco a decifrare solo alcune parole. Tento di mettermi l’apparecchio acustico, ma la mia mano trema così tanto, e questo maledetto affare fa un tale rumore, che ci rinuncio, e urlo a questa persona di parlare più forte. Finalmente, dopo che con mille giri di parole la donna mi informa che di fatto Morayo non è morta, mi torna la voce.
«Chi è lei, che mi chiama dall’America? Potrebbe dirmi chi è prima di informarmi che mia moglie è in un letto d’ospedale? Che modo di iniziare una conversazione è? E poi, che cavolo di nome è Sunshine? Mi ascolti: mai telefonare a qualcuno senza presentarsi prima, senza spiegare bene le cose, senza metterle in un contesto prima di dire: ‘Quindi ha avuto un incidente’. Mi ascolta? Quello che avrebbe dovuto dire all’inizio è che era ricoverata, invece lei ha detto ‘incidente’ e ‘ospedale’, quindi cosa avrei dovuto pensare? Che qualcuno mi chiama dall’America nel mezzo della notte per dirmi che mia moglie, la mia ex moglie, è morta? Perfino ora, non so ancora chi è lei. Comunque, chi è lei, che mi fa urlare? È la sua badante o cosa?»
«Bene, Caesar, se mi lasciasse rispondere…»
«Ambasciatore, prego.»
«Ambasciatore, la chiamo solo per sapere se mi può aiutare. Mi chiedevo se conoscesse alcune delle organizzazioni benefiche nigeriane che Morayo finanzia o che ha finanziato nel tempo.»
«Cosa?»
Resto seduto per un attimo, sconvolto dal fatto che questa donna abbia il coraggio di attaccarmi il telefono in faccia. Come si permette?! E come osa chiedermi degli affari di Morayo? È una specie di truffa? Sono anni che non sono più in contatto con Morayo, sebbene avessi pensato a lei da poco, come faccio sempre per il suo compleanno. «Stupido», mi sorprendo a mormorare. Perché non ho pensato di chiedere il numero a quella donna? Non avrei dovuto essere così scortese. Proprio questa settimana avevo cercato Morayo su Google per vedere se ci fosse qualcosa di nuovo e se il suo libro di testo fosse ancora in circolazione. Ricordo quanto era fiera quando lo aveva pubblicato, un anno dopo il suo master. Anch’io ero fiero di lei, ma pure geloso del fatto che sembrasse più a suo agio nel suo nuovo mondo accademico che nella vita dell’ambasciata, che speravo di condividere con lei.
Il mio errore è stato non incoraggiarla. Se soltanto non capissi troppo tardi i miei errori… Un giorno, all’improvviso, mi dice che se ne va. Sono tornato dal lavoro e lei aveva già impacchettato le sue cose. «Vattene!» le ho urlato, più per la sorpresa che per la rabbia. Per anni l’ho accusata della nostra separazione; quando le persone mi chiedevano perché se ne fosse andata, rispondevo che aveva avuto un esaurimento nervoso, come sua madre, dovuto alla morte del padre. Era più facile incolparla, che esaminare come l’avevo persa, soprattutto quando le voci sul suo passato sono venute a galla.
Qualcuno ha detto che si era trasferita a San Francisco perché si era innamorata di una donna. Se così fosse stato, non avrei potuto fare niente per salvare il nostro matrimonio. Se fosse stata sempre attratta dalle donne, che differenza avrebbe fatto che io fossi già stato sposato prima o che non potessi darle dei bambini o che il mio lavoro avesse perso interesse per lei? Significa che la sua attrazione iniziale per me doveva essere basata su qualcosa di diverso dall’amore. Forse mi considerava solo un mezzo, un modo per vivere all’estero, fuori dalla Nigeria, e per girare il mondo.
Ma nel profondo di me sapevo che non potevo cavarmela così facilmente. Che i pettegolezzi fossero veri o falsi, so che c’è stato un momento in cui ci amavamo. Ricordo il modo buffo che aveva di ridere dal naso. Le sopracciglia: maliziose, sensuali. Ricordo le sue mani calde e i piedi freddi. Quei piedi che cercavano i miei sotto le coperte. Siamo stati insieme per più di quindici anni. E, dopo la nostra separazione, non si è risposata. Credevo che l’avrebbe fatto, ma non è stato così. Mi fanno male gli occhi, e d’istinto, li strizzo fino a chiuderli, e con la mano cerco il collirio nella tasca della camicia. Butto la testa all’indietro per mettermelo e… sorpresa: gli occhi sono già bagnati.