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Ornamento di separation

«Dio ti benedica, tesoro, Dio ti benedica», ripeto, perché Sunshine è qui e ha portato i miei libri. «Tu sia benedetta!» Visto che non si siede, le chiedo di scegliere tra il comò e una poltrona lurida. Sapendo quanto la mia amica sia schizzinosa, sorrido quando decide di sedersi sul letto accanto a me. Ha paura di toccare qualcosa di sporco, ma non vuole neanche offendermi. Le faccio vedere quanto sono forte spostandomi da sinistra a destra, per dimostrarle che non deve essere così titubante nei confronti del mio corpo. Poi le dico che se fosse venuta prima avrebbe incontrato l’uomo che mi ha soccorso. Le descrivo la mia ultima seduta con il fisioterapista, per farle capire come lui riesca ad allinearmi i fianchi. Le racconto in che modo cortese mi chiede di «stringere i glutei», mentre mi preoccupo di non fare uscire inavvertitamente dell’aria durante quegli sforzi fisici. Sarò vecchia, ma non mi ridurrò mai a fare rumori molesti in pubblico. Se ci riuscirò.

Sunshine ride e io scherzo sul povero uomo che deve occuparsi di una vecchia come me. Non sto confondendo il modo in cui mi tocca con un flirt, né voglio flirtare con lui. Ma quest’ultima affermazione non è vera. Sto già flirtando, quando scherzo sulle mie ginocchia scricchiolanti e sulle articolazioni irrigidite, sperando che mi faccia i complimenti per quanto sono in forma. E, che lui sia o meno consapevole che mi piace quando si congratula con me per la mia forma (ma sto scherzando? Certo che lo sa), mi nutro delle sue lodi, facendo diligentemente tutti gli esercizi che mi assegna, e anche di più.

«Se lo avessi incontrato vent’anni fa», dico a Sunshine, «si sarebbe innamorato. Un’occhiata al mio sedere sodo e a ai miei fianchi prosperosi e non avrebbe potuto resistermi. Si sarebbe tatuato il mio nome sul petto.»

«E tu, dove te lo saresti tatuato il suo?» chiede Sunshine con un sorriso.

«Be’, sotto i pollici. Simbolicamente.» Rido. «Parlando di tatuaggi, si è offerto di presentarmi il suo tatuatore.»

«Vuoi farti un tatuaggio?»

«Sì.»

Sunshine è sconcertata. «Vuoi dire che mentre tento di convincere Zach che i tatuaggi non sono più di moda, tu, la sua nonna putativa, stai per fartene uno?»

«Credi che non ne abbia già uno?»

«Ce l’hai?»

«No», rispondo ridendo. «Ma sai, quando ero giovane, tutti avevano tatuaggi. Intendo i segni sulla faccia che indicano da dove vieni. Non tatuaggi nel senso moderno del termine, sebbene avessimo anche quelli. A volte le donne avevano questi tatuaggi verdi all’interno delle braccia. Erano modi per decorare il corpo. Ma quando sono nata, i segni sulla faccia e i ‘tatuaggi d’amore’, come li chiamo io, erano considerati primitivi. Volevo un tatuaggio, ma non mi permettevano di farmelo. E ora i tatuaggi sono ovunque, tutti si scrivono sul corpo.»

«E tu ne vuoi ancora uno, sulla faccia?»

«No, non in faccia, tesoro. Troppe rughe, e comunque serve una pelle elastica per un buon tatuaggio. Ma ci sono tanti altri posti adatti sul mio corpo.»

«Tipo?»

«Tipo che devi aspettare e vedrai», sorrido. «Ma ora dimmi: come state tu e i miei bambini senza tatuaggi?»

Mi preoccupo per Sunshine qualche volta, nella sua famiglia di uomini e bambini. Mi piace Ashok, ma temo che lei sia troppo condizionata da quello che dice e troppo preoccupata di accontentarlo. Vedo qualcosa di me da giovane in Sunshine e tento di incoraggiarla a pensare di più con la sua testa. Però cerco anche di non essere invadente.

Quando Morayo mi chiede come sto, le dico che sto bene. «Anche se Ashok sta ancora tentando di convincermi a tornare sui banchi.» Mi fermo, sperando che Morayo mi dica che Ashok si sbaglia e che non devo essere spinta ad andare all’università. Ma non commenta, così mio malgrado ricomincio a parlare dei bambini. Le dico quanto Avi sia preso dalle «rivoluzioni» del Nuovo Anno, il che la fa sorridere. Poi le parlo di Zach, che sta iniziando canottaggio quindi, tre volte alla settimana, di mattina presto, lo accompagno in macchina fino a Marin e poi lo riporto a casa. Tiro fuori il telefono per mostrarle delle foto recenti. Morayo, che mi ha visto controllare l’orario, mi dice che non sono costretta a stare con lei. Mi sento in colpa e le assicuro che non ho fretta.

«Lo so, cara», dice. «Cercavo solo una scusa per iniziare a leggere questi libri bellissimi che mi hai portato.» Mi fa l’occhiolino, poi sbircia nel sacchetto. «Auster e Angelou: non sono deliziosi?» mi chiede, guardando con ironia gli altri. «Cosa sono questi?» chiede indicando il cofanetto. «Sembrano romanzi rosa.»

«Devi dirmelo tu», replico con un sorriso. «Li ho trovati vicino al tuo letto.»

Penso che Morayo si stia solo fingendo sorpresa, invece sembra davvero non riconoscerli.

«Ah», fa dopo un po’. «Devono essere della domestica. Hai mai incontrato Tina? Sia benedetta. Sapeva che mi piacciono i libri, così me ne portava sempre di nuovi, solo non del tipo che prediligo. Ovviamente, non potevo buttarli, perché se ne sarebbe accorta. Ma ora che me li hai portati, forse li leggerò.»

«Hai una donna delle pulizie?»

«Certo, da molto tempo. Lo so: so che la mia casa è messa un po’ male ora, ma stare qui mi ha dato tempo per pensare. È divertente, sai, invecchiare: ti vedi diventare come i tuoi genitori. Quando mio padre andò in pensione, mi ricordo che stava a casa e non voleva fare altro che sentire la radio. Non voleva occuparsi di niente, così la sua casa divenne sempre più disordinata. Quindi, hai ragione: la mia casa ha bisogno di una sistemata e anche di un’altra bella pulita. Lo farò, te lo prometto.»

«In effetti… l’ho già fatto per te.»

«Oh, Sunshine! Non avresti dovuto!»

«Non c’è problema. È solo che c’erano tante cose in casa che richiedevano attenzione. Per esempio, c’era una lettera della Motorizzazione civile, ricordi? Un mucchio di bollette e anche qualche operazione bancaria. Ashok e io ci siamo un po’ preoccupati per una di queste.»

«Sì», mi interrompe Morayo. «So quello che puoi aver visto. I pagamenti a una certa organizzazione benefica che si è rivelata una truffa?»

Annuisco, sentendomi sollevata perché almeno se n’è resa conto.

«È stato uno stupido errore, Sunshine e, sebbene sia imbarazzata, sono felice che tu ora lo sappia. Sono sollevata che tu lo sappia. Avrei dovuto stare più attenta, ma ci sto lavorando, cara. Ho parlato con la banca e non succederà più.»

«Non c’è niente di cui imbarazzarsi; Dio solo sa quante cose imbarazzanti ho condiviso con te in questi anni. Ma avresti dovuto dircelo, ti avremmo aiutato. Ashok passa tutto il tempo a risolvere cose di questo tipo.»

«Lo so, Sunshine. In genere sono attenta, ma quella particolare email mi ha fregato. Non sembrava spam, nessun errore buffo o saluti formali, quindi non mi è passato per la testa che potesse essere rischiosa. E sai quanto sono rimasta male per tutto quello che sta succedendo ultimamente in Nigeria. Perciò, quando è arrivata quella email, ci ho creduto. Credevo che i soldi sarebbero andati alle vittime. Poi, ovviamente, quando ho capito di avere sbagliato, non volevo infastidirti: hai già abbastanza da fare per conto tuo. Starò più attenta, te lo prometto.»

«Ma io ci sono sempre per te, Morayo, e lo stesso vale per Ashok.»

«Lo so, cara, e te ne sono grata.»

«Senti», aggiungo, cogliendo l’occasione al volo. «Ti ricordi quando hai detto che la tua casa ha bisogno di una pulita? Il che significa che non lo penso solo io, che sono un’ossessiva compulsiva… Così, mentre eri in ospedale, ho chiesto a un mio amico di aiutarmi a liberarti delle cose che non usi.»

«Quali cose?»

«Per lo più giornali vecchi. Il fatto è che, purtroppo, c’è stato un piccolo malinteso, e alcuni dei tuoi libri – pochi soltanto – sono stati buttati via.»

«I miei libri!» esclama Morayo.

«Solo alcuni. E soltanto quelli che cadevano a pezzi. Avevi i topi in casa, Morayo, e stavano mangiando i giornali e anche parte dei libri.» Esito un attimo poi, accorgendomi di quanto è tesa, continuo a parlare. «Ho chiesto a Francisco di buttare i giornali vecchi perché erano in pessimo stato. Ti ricordi che li avevamo ordinati l’anno scorso? Ma dopo, purtroppo…»

«Non avresti dovuto buttare delle cose senza dirmelo!» esclama piangendo, con l’espressione stravolta dalla delusione.

«Non volevo farlo, Morayo, ma non era igienico e desideravo solo aiutarti.»

«Aiutarmi?» urla. «Perché non mi hai aspettato? Come potevi sapere cosa era importante per me e cosa no? È la mia vita, Sunshine! Sono i miei libri!»

«Mi dispiace, Morayo, mi dispiace tanto. Stavo cercando di aiutarti. Avevi accumulato così tanti libri… Di alcuni avevi perfino più di una copia.»

«Certo! Come te, che hai dozzine di leggings, rossetti e scarpe. Come ti sentiresti se qualcuno prendesse tutta la tua ‘roba’ e buttasse tutto quello che considera un doppione oppure inutile? Solo perché tu non compreresti più di un solo fottuto libro non significa che altri non potrebbero farlo. Non significa che non c’è una buona ragione per fare quello che faccio!»

«Non è quello che volevo dire», balbetto, sconvolta dal suo linguaggio. «Ripeto: mi dispiace. E ho fatto di tutto per rimediare. Non so cos’altro dire.»

«Ma come hai intenzione di farti perdonare? Come hai potuto pensare di aiutarmi in questo modo? È stato incosciente da parte tua. Stupida e incapace di pensare.»

«Incapace di pensare?» ripeto in lacrime, afferrando la borsa e le chiavi della macchina. «Va bene. Sono stupida e avventata, e tu starai molto meglio con un tutore.»