Fare lo chef in una casa di riposo non è glamour. Non è come cucinare in un ristorante alla moda con quelli famosi che vengono e ti fanno sfondare. Non è niente di tutto questo. Nessuno famoso qui, a parte la madre di una cantante lirica, ma non l’avrei riconosciuta. L’unica persona dell’opera che conosco è Pavarotti, ed è morto, vero? Non c’è niente di glamour qui sul fronte della clientela, e neanche il cibo è raffinato. Niente caviale, niente foie gras, niente tartufi, anche se, ora che ci penso, sarebbero perfetti per le persone anziane: morbidi da masticare, facili da digerire. Ma io devo avere a che fare con ingredienti basici, e mi va bene. Non ho studiato al Cordon Bleu. Ho imparato da mia madre e poi sono stato aiutato da Dio. Ma la mia vera raccomandazione, la mia «raccomandazione della strada» viene da dove ho vissuto e da mia madre. Trasformare cibo ordinario in cibo da sballo è quello che faccio. Un solo morso e tornerete. Inoltre, le aspettative sono basse qui: non è difficile soddisfarle. E non c’è alcuna pressione: tutti mangiano la stessa cosa alla stessa ora. Tutto quello che devo fare è rispettare il budget ed essere certo che i pasti siano bilanciati dal punto di vista nutrizionale e che non facciano stare male nessuno. Le persone anziane con la diarrea non sono una cosa bella. Il direttore mi ha fatto sapere che quando cucino io nessuno si lamenta: niente lamentele nella scatola delle lamentele. Ma non ho bisogno che me lo dica lui. Posso vedere quanto amino il mio cibo dal poco che torna indietro. Sono lo chef più famoso, da queste parti.
«Merda!» sbotto, vedendo una donna spuntata dal nulla, all’improvviso accanto a me. Da quanto tempo è qui, mentre ero impegnato a dire queste stronzate a me stesso? «Mi scusi il francesismo, signora, ma non sapevo che fosse qui. Sta bene? Si è persa, per caso?»
«Non volevo spaventarla», dice, guardandomi come se il pazzo fossi io.
«Non mi ha spaventato… È solo che non me l’aspettavo.»
«Sono venuta a ringraziarla per la cena di stasera. Deliziosa.»
«Grazie», sorrido. «È la prima volta che qualcuno fa questo. Lo apprezzo.»
«Quindi qual è il suo segreto? Perché, da quello che sento, lei è il migliore, da queste parti.»
«Per quello che mi ha sentito dire prima?»
«No, per quello che tutti dicono.»
«Davvero? Semplicemente faccio felice la gente come so meglio, con il cibo. Comunque, mi chiamo Toussaint.»
«Piacere, Toussaint», dice, dandomi una stretta di mano decisa. «Sono Morayo, e mi piace il suo nome, Toussaint.»
«È merito di mia madre. Era un’insegnante di storia, quindi ha scelto questo nome. Lei non è di qui, vero?»
«No, sto solo facendo la riabilitazione.»
«Il suo accento sembra diverso.»
«Ah», ride. «Credevo che mi stesse chiedendo se vivo nella Casa. Vengo dalla Nigeria. Originariamente.»
«Davvero? Africa, mondo! Grandioso. Anche mia madre voleva portarci nella sua terra natale. Quindi com’è?» chiedo, spegnendo la radio. Poi cambio idea e cerco un’altra stazione. «Avrei sempre voluto conoscere l’Africa. Sento tutte queste cose, sa, ma non so come sia realmente.»
«È come ogni altro posto, Toussaint. È meraviglioso, folle, fantastico e frustrante… a volte tutto questo contemporaneamente.»
«E anche lì ci sono i razzisti?»
«No, no. In altre parti del continente ci sono, ma non nell’Africa occidentale. Deve andarci e visitarla, prima o poi, Toussaint.»
Dopo lo fa di nuovo, pronuncia il mio nome così bene, prima di dirmi altre cose sull’Africa. «Mi piacerebbe andarci», le dico, sorridendo quando vedo che i suoi piedi vanno a tempo di musica. «E avete buona musica in Africa, vero? Non è da dove viene Fela?»
«Senza dubbio», risponde, cantando la canzone che passa la radio.
«Conosce questa canzone?» chiedo, alzando il volume, mentre la osservo muovere i fianchi e schioccare le dita.
«Evelyn Champagne King!»
Si toglie le scarpe, vedo qualche anello alle dita dei piedi e mi chiedo quanto sia vecchia. La sua manica destra è scesa un po’ dalla spalla, mentre balla, così noto la spallina sottile di un reggiseno fucsia. Mi sto eccitando un po’ vedendola muoversi, il che mi spaventa e mi sorprende. «Quindi com’è il cibo in Africa?»
«Be’, non sono una cuoca, ma amo mangiare e c’è una grande varietà di cibo nel continente. Anche in Nigeria c’è talmente tanto buon cibo che è difficile decidere da cosa iniziare. Ma la maggior parte del cibo è piccante, per questo ho davvero apprezzato quello che ha cucinato stasera. A cosa si è ispirato?»
«Oddio, vorrei viaggiare di più e avere molte più fonti di ispirazione, ma per adesso posso solo imparare dalla cucina di mia madre e assaggiando cose diverse in posti diversi. Mi piace sperimentare e, in un certo senso, creare le mie ricette. Intendo dire che penso molto a cosa sarà buono e a come colpirà tutti i sensi. Il modo in cui il cibo profuma, il modo in cui lo presento sul piatto, sa. E cerco di rispettare le restrizioni nel cucinare in un posto come questo, che conosco perché ho vissuto con mia nonna. Se le persone usano le dentiere, il cibo non può essere troppo gommoso. Problemi di digestione impongono che il cibo non debba essere troppo speziato, e occorre andarci piano con le cipolle. Per questo, a essere onesti, se avessi dovuto cucinare il curry solo per me, sarebbe stato più piccante. Ma, per essere certo che andasse bene a tutti, l’ho smorzato un po’, ma comunque è venuto saporito.»
«Può scegliere cosa cucinare o deve seguire un menu prestabilito?»
«In genere lo chef titolare scrive il menu della settimana ma, visto che è via, tento di improvvisare un po’ di più, con gli ingredienti che abbiamo. A essere onesti, non mi piace il menu consigliato. È noioso e vecchio. La maggior parte delle volte cerco di cambiarlo. Tipo oggi…» mi fermo per recuperare il menu e farle vedere cosa intendo. «Oggi avremmo dovuto avere un’insalata verde alle erbette e un pollo alla griglia con le erbette, più una quiche di quattro cipolle e torta di mele. Ma, guardi, non potete mangiare due cose con le erbette e due torte! Non c’è varietà. Inoltre, nessuno potrebbe mangiare qualcosa con quattro cipolle qui, secondo me. Quindi l’ho cambiato un po’. La mia cucina è così: suona familiare, ma il gusto e il mix sono solo miei. Ho fatto un curry leggero e una macedonia. E mi piace anche proporre qualche cibo adatto al clima. Come per la cena di compleanno della prossima settimana: sarebbero previsti pesce fresco e noodle al burro, ma è troppo pesante. E secondo me il pesce non va bene con i noodle, quindi, se coprissi anche la prossima settimana, potrei fare qualcosa del tipo tacos di pesce affumicato con un dessert. Ma non la pesca melba, come suggerisce lui. Voglio dire, la gente è vecchia qui… non intendo lei, però gli altri sì. Ma ciò non significa che il cibo debba essere vecchio, giusto? Quindi potrei preparare una torta della foresta nera o qualcosa di simile.»
«Be’, se sarò ancora qui la settimana prossima vorrei davvero che ci fosse anche lei perché sarà il mio compleanno.»
«Davvero? Allora farò qualcosa di superspeciale. Cosa vorrebbe? Una torta di carote o una torta al cioccolato? Potrei preparare anche donut e pasticcini, se preferisce.»
«Sa cosa vorrei davvero, Toussaint?»
«Mi dica.» Penso che potrei farle una sorpresa con qualcosa del suo Paese, come qualche frutto africano del mercato musulmano o del negozio che vende cibo asiatico.
«Quello che davvero vorrei, dalla mia amica Amirah, è che mi facesse il baklava e che qualcuno lo andasse a prendere per me. Ecco cosa vorrei. Fa un baklava divino. Le piacerebbe, Toussaint.»
«Certo», le dico. «Sono sicuro che possiamo farlo.»
«Perfetto», replica, e ammicca.
«Perfetto», ripeto e, senza rendermene conto, ammicco anch’io.