Una normale donna straordinaria

di Chiara Piaggio

Il Vidya Bookstore è una libreria spaziosa, con l’aria condizionata che regala un po’ di sollievo dal caldo, dalla polvere e dal rumore della strada. Si trova in una piccola traversa di Oxford Street, la via più commerciale di Accra. Tutt’intorno, si susseguono fast-food, mercati, caffetterie, alberghi e le migliori boutique.

Scorro con lo sguardo le coste colorate sui ripiani, nel reparto «autori africani». Sono molti i libri dell’epoca postcoloniale, scritti nella seconda metà del XX secolo, altrettanti quelli degli autori contemporanei di successo, noti in tutto il mondo e pubblicati per lo più in Europa o in America, dove ormai risiedono. Meno numerosi sono i volumi di case editrici africane.

Il libro di Sarah Ladipo Manyika lo trovo per caso. Mi incuriosisce la copertina dai colori vivaci e l’immagine stilizzata di un fiore con due petali cadenti, come in un romantico «m’ama, non m’ama» di cui non si conosce l’esito.

Ma soprattutto, vedo subito che il libro di Manyika è stato pubblicato da Cassava Republic Press, una casa editrice nigeriana che ha da poco aperto un ufficio anche a Londra. Creata nel 2006, è una delle più importanti in Africa, continente che non ha una lunga tradizione nella produzione di libri. Sebbene sulla sua scena letteraria stiano avvenendo importanti cambiamenti (secondo la Nigerian Publishers Association, l’industria editoriale africana starebbe crescendo al ritmo del 6 per cento l’anno), ci vorrà ancora del tempo perché la letteratura arrivi ad attirare davvero l’immaginazione popolare, un po’ come successo con Nollywood (l’Hollywood nigeriana).

Lo leggo. E penso subito che mi piacerebbe portarlo in Italia.

Nigeriana, ma residente da anni a San Francisco, Manyika ha pubblicato il suo primo libro (In Dependence, 2008) in Inghilterra, ma per il secondo ha deciso di tornare nella sua Nigeria. Perché? «A oggi, il mondo della produzione resta ancora radicato in Occidente, e gli editori africani si trovano più spesso a comprare i diritti, che a venderli. Anche quando si tratta di autori locali. Insomma, i custodi delle cosiddette storie africane stanno fuori dal continente», mi dice Sarah in una telefonata via Skype. Il suo volto mi appare a pieno schermo, sorriso contagioso e occhi espressivi. «Cedere i diritti mondiali a Cassava Republic Press significava prendere posizione, mettere un argine a questo squilibrio di potere. Ma c’è di più. Significava anche, paradossalmente, non essere etichettata come ‘autrice africana’, perché un editore nigeriano non sente il peso degli stereotipi quando decide come debba apparire un ‘libro africano’. La copertina che hanno disegnato, per esempio, non rappresenta un tramonto, un baobab o un’acacia. Che sono immagini bellissime, ma sono dei cliché».

Certo: una casa editrice africana non si rivolge a un pubblico che ricerca l’africanità. Vista da dentro, l’Africa non è un «genere» stretto in un’etichetta, bensì il mondo che sta intorno.

Inoltre, come spesso succede nei mercati giovani, l’editoria africana si libera dalle convenzioni stilistiche e propone spontaneamente forme di innovazione o, se vogliamo, di bibliodiversità. Il libro di Manyika ne è un chiaro esempio. Distribuito in diversi Paesi africani, oltre che in America e in Inghilterra, e tradotto in sei Paesi europei (Francia, Germania, Olanda, Norvegia, Spagna e Italia), è stato selezionato nel 2016 per il Goldsmiths Prize, premio che vuole celebrare l’audacia creativa, la narrativa fuori dagli schemi e lo spirito di innovazione.

«Questo libro è nato come un racconto, si intitolava Morayo», continua Sarah, «poi è diventato un romanzo breve, e la trama è un po’ cambiata. Come storyteller, prendo ispirazione dai personaggi che incontro. Nella mia vita ho incontrato tante donne anziane straordinarie, dalle vite e dai caratteri sfavillanti, con storie eccezionali, vibranti, divertenti, sexy. Come una che ho incontrato recentemente, infermiera centenaria, che di fronte a un rifiuto per un lavoro ha esclamato: ‘Non mi sento ancora pronta per essere tagliata fuori!’ O una mia vicina di casa, cantante lirica ottantenne, interessata a sapere se mio padre fosse single. Ma nel mondo letterario, era come se queste donne non esistessero.»

È proprio dall’interesse verso personaggi inediti che nasce questa storia. Come ama ripetere Sarah, citando Toni Morrison: «Se c’è un libro che vorresti leggere, ma ancora non è stato scritto, scrivilo tu». E se una donna anziana è un soggetto sottorappresentato nella letteratura, ancora di più lo è una donna anziana africana che vive in America. Perché invecchiare non è uguale ovunque: in America domina il culto della giovinezza, in Africa la senilità è tutt’altro che una perdita di valore, vuol dire saggezza, autorevolezza.

Quando ho proposto a Frassinelli di pubblicare questo libro in Italia, la reazione è stata subito entusiasta, proprio per la normale straordinarietà del personaggio. Morayo è una donna nigeriana di settantacinque anni, che si è trasferita in California dopo aver vissuto in India e in Europa. Ricca, colta, cosmopolita, divorziata, indipendente, mondana, si relaziona con grande leggerezza e savoir-faire con donne e uomini americani più umili di lei. D’altronde, la povertà non è prerogativa dell’Africa, così come il benessere non è prerogativa dell’America. E il personaggio Morayo lo sa bene. Come lo sa la sua creatrice, che, in un breve saggio pubblicato sulla Los Angeles Review of Books, osserva brevi scorci di vita di alcuni senzatetto in una libreria di Los Angeles. Lo fa senza pregiudizi o, meglio ancora, consapevole dei propri pregiudizi: «Sapevo di vederli nel modo in cui li poteva vedere un turista, in particolare quel tipo di turista che non avevo mai approvato, quello che va in Africa o in Asia con una sola storia negativa in mente».

Ma non è soltanto la ricerca di personaggi invisibili ad aver ispirato Sarah: «Con il passare del tempo, cerco storie che mi ispirino. Ecco, vorrei diventare come Morayo. Vorrei rimanere avventurosa, ottimista, avere la joie de vivre. E sai una cosa? Ho scritto parte di questo libro all’Isola d’Elba, e quando penso a questo libro penso all’Italia: Morayo è un personaggio che ama vestirsi bene, mangiare bene, ama il piacere dei sensi, credo che sarebbe contenta di vivere da voi».

Il suo stesso nome, mi dice Sarah, rappresenta questo suo amore per la vita: Morayo significa «vedo la gioia» in yoruba, lingua parlata principalmente in Nigeria, ma anche in alcune zone del Togo e del Benin, e arrivata fino alla Repubblica Dominicana, a Cuba e al Brasile.

Sarah ha scelto di farla nascere a Jos, città nel centro della Nigeria nella quale lei stessa ha vissuto dai sei ai quindici anni. Una scelta dettata forse da una nostalgica amarezza per i cambiamenti avvenuti in quel luogo nel giro di poco: un tempo città tranquilla, tollerante, meta di vacanze, oggi teatro di scontri interreligiosi tra comunità cristiana e islamica.

Nata nella capitale Lagos da mamma inglese e papà pastore anglicano nigeriano, Sarah, come Morayo, in seguito ha vissuto altrove: Kenya, Francia, Inghilterra, prima di sposarsi in Zimbabwe e prendere un PhD in California. Per questo dice di sé: «Sono una scrittrice africana, una scrittrice inglese, una scrittrice americana, una scrittrice globale, una scrittrice donna, una scrittrice seria, una scrittrice sciocca e… tutto questo per dire che il mio essere africana è una parte importante della mia identità, ma ne è solo una parte».

Morayo potrebbe dirci la stessa cosa. Non rappresenta l’Africa e non vuole farlo. Porta in sé i ricordi e il calore della sua infanzia trascorsa a Jos, il rumore e il caos della capitale Lagos, i pagne colorati che indossa solo d’estate, il tutto amalgamato alle culture, alle lingue e alle esperienze di altri luoghi, senza idealismi e senza retorica.

Forse è proprio l’aver vissuto altrove che la rende un personaggio intriso di saggezza, con uno sguardo aperto che insegna a lasciar andare e riporta una galleria di ritratti inaspettati, di incontri che restituiscono il sorriso, di riflessioni sulla vecchiaia, sulle relazioni che contano e sull’importanza degli incontri casuali di ogni giorno.

Un personaggio dolce, stravagante e familiare, di quelli che, come direbbe la stessa Morayo, lasci entrare in casa, anche se sei in vestaglia.

Chiara Piaggio è un’antropologa con una lunga esperienza nel settore dello sviluppo in Africa occidentale. Si occupa di filantropia e promozione della cultura contemporanea africana.