Il mio primo bacio fu su ordinazione. Mandai a chiedere alla ragazza se ne accettava uno da me. Era un pomeriggio d’estate, l’appuntamento fissato in una stanza, età nostra quattordici anni. Il sudore dell’attesa si asciugò all’istante. Mi avvicinai, lei stava in piedi, le braccia lungo i fianchi, sull’attenti. Dimenticai i baci visti al cinema. Alla distanza di un passo mi fermai e cominciai ad allungare il collo. Avevo calcolato male lo spazio tra noi, il collo non bastava, lo stirai al massimo della prolunga.
Mi sporgevo sullo spazio libero, un vuoto capace di vertigine. Le sue labbra erano appena schiuse, le mie tese ci finirono sopra per caduta. Fu un atterraggio di fortuna, nell’impatto scomposto le baciai gli incisivi. Ritirammo le teste per rimbalzo.
Il mio cuore le restò sulle labbra, canta De André il bacio di un ragazzo cardiopatico: a me non solo il cuore, pure il resto del corpo. Solo i piedi restarono al loro posto. Lei fu generosa, me ne offrì un secondo, chiudendo la distanza, vestito suo contro camicia mia, sue morbidezze contro mio costolame sporgente. Avvicinò le labbra e sulle mie si posò il loro peso squisito. Respirai il suo fiato. So da allora che il bacio è la cima dell’intimità amorosa. Da lassù si può poi scendere nella rissa felice dei corpi che si avvinghiano, si accoppiano. Ma il bacio è sommità raggiunta, il perfetto traguardo. Lo sanno bene e meglio le puttane che vendono tutto il corpo tranne il bacio, lasciando la clientela a bocca asciutta.