Per una guida all’arrampicata

Qualcuno tiene alla tua vita mantenendo una corda. Qualcuno assicura la salita, sorveglia la discesa.

Arrampicare è uno sport, un gioco all’aria aperta, ma con il vuoto squadernato sotto, pronto a far valere la sua severa legge di gravità, senza eccezioni.

Quel vuoto è pieno: di metri scalati, di moschettoni messi in un occhio di metallo e di corda infilata, e desiderio in via di esaudimento.

Le dita pensano, toccando rientranze, sporgenze, fessure. Le dita pensano al corpo che deve seguirle. Poi i piedi aprono la spinta che si assesta sulle prese seguenti. Il corpo che scala è una fisarmonica che si apre e si chiude tra le punte dei piedi e delle mani.

Una scalata è pure uno spartito eseguito da uno strumento a fiato che va con la sua musica su una tastiera cieca.

Scrivo queste righe per accompagnamento a una guida di arrampicata e divago pensando a come queste poche osservazioni si possano applicare senza uso di rocce e di strapiombi. Mi comporto così anche senza scalare? Qualche volta avverto il vuoto sotto i piedi, un avanzare a bordo di precipizio. Da qualche parte mi sta sorvegliando una persona cara, ma non regge una corda. Proseguo lungo il tratto esposto, vado a istinto e penso che ho conosciuto vuoti più violenti, con superiore forza di attrazione terrestre. Mi spingeva una volontà di stare in quei posti e in quei tempi, uno sbaraglio assunto perché sì, e perché il no valeva diserzione.

Oggi in un vuoto esposto alla malora, a una rovina, penso che sono pratico di precipizi. Pure senza equilibrio di funambolo, so di che tratta la legge detta della gravità. Tratta di cose gravi, che hanno un peso ma non sono zavorra, mentre al contrario sono sostanza, voce costituente della mia persona.

È PERICOLOSO SPORGERSI, dice il cartello ufficiale dei tempi correnti. È necessario farlo.