Una copia del libro

Con il titolo in su e le pagine aperte verso il fondo, galleggiava sul mare una copia del libro chiamato Corano. Qualcuno lo aveva portato con sé nel poco bagaglio, un riassunto dell’indispensabile. Strana gente si mette in questi viaggi con un libro. Eccolo lasciato alle onde insieme alla vita. I libri galleggiano, gli uomini no. Si vede che i libri non sono ciambelle di salvataggio.

Il pescatore aveva tirato a bordo nella rete due scarpe diverse, un secchio di plastica, un imbuto, il libro. Chi va per mare questi pesci piglia. Il resto della pesca era stato uno scorfano, delle triglie, una stella di mare. Il pescatore appese il libro con la molletta a un filo, lo trattò da indumento. Serve a questo quando avvolge un uomo in preghiera. Anche con la musica succede.

In terraferma il pescatore andò con il libro al negozio accanto al porto, usato da Moschea. “Dev’essere vostro. L’ho pescato in mare,” disse a un uomo che accolse a due mani il libro ispessito di salsedine. “Sì, è nostro, è il Corano,” e lo baciò. In cambio offrì del tè. I due si conoscevano, per un passato imbarco su un peschereccio atlantico. Nella stanza Moschea i due uomini scalzi bevvero il tè.

“Per noi questo libro è tutti i libri. Hai salvato una biblioteca.”

“Non ho salvato niente se non ho issato a bordo chi l’ha perso.”

“Un giorno salverai chi l’ha perso.”

Il pescatore ci pensò, bevve un sorso e fece sì con la testa.

Fuori di lì il vento di maestrale sbatteva panni e insegne, rotolava un barattolo inseguito da un cane.

Qualcosa di antico accadeva in quel punto con la precisione della profezia, insieme alla pazienza di attenderla ogni giorno di lavoro in mare.