Discorso alla gioventù

All’età vostra il mio futuro era a forma di flipper,

una molla mi buttava in salita

nel corridoio di lancio.

Sbucavo sulla pista, partivano i rimbalzi.

Poi nella ressa dei minuti primi

il futuro non somigliò più a niente.

All’età vostra una mano di ragazza

tenuta sotto il tavolo

mi faceva immaginare i figli.

Le ore della scuola erano un carro,

io un cavallo da tiro,

le redini nel pugno di un cocchiere alle spalle.

I capelli sbiancati degli anziani

era neve perenne,

spettava a loro un’epoca glaciale.

All’età vostra la parola oceano

mi riempiva la bocca di saliva.

Era diverso il pianto dei bambini,

senza capriccio, stizza, serviva a riscaldare,

anche al dolore serve una temperatura.

All’età vostra il secolo chiudeva

i battenti e i battuti,

malgrado l’avviso di chiusura

sono rimasto dentro,

è da lì che vi sbircio.

All’età vostra il nervo della giustizia

scorticava la gola.

Se vi capiterà, non fatevi autoscatto

con quello strappo in faccia,

così più in là negli anni non vi sgomenterete

di chi foste.

All’età vostra c’erano le navi con i viaggiatori,

andavano lontano.

Quelle di ora girano una pista,

vanno in crociera, fanno il girotondo.

All’età vostra si partiva di schiena

sulla strada sterrata della fine

dei film di Charlot.

Spedivano denari da laggiù, nessuna cartolina.

Ritornavano in pochi.

Non vi offendete per le differenze,

servono a misurare il tempo

meglio di calendari e di orologi.

All’età vostra: formula balorda,

si è coetanei solo di se stessi.

Non ho avuta la vostra,

c’è stata un’età mia,

una camicia di cotone blu,

si macchiò di vernice

da non poterla mettere.

Non l’ho data via, sta nell’armadio

appesa con le altre.

Sulle spalle sarebbe l’abbraccio di mio padre.

È stata così tanto tempo fa,

quella camicia, età,

da essere suo figlio.

È durata qualche viaggio notturno

nello scompartimento affumicato,

Torino Porta Nuova-Napoli Centrale,

per un appuntamento

col terremoto dell’autunno ’80.

È durata una notte di maggio del ’69,

l’amore avuto senza sapere che farci.

È stato migliore di ogni sapere che farci.

Ancora mi lodo per l’incompetenza

di avere lasciato l’amore dov’era.

Vi saluto

dal basso e non dall’alto,

dalla distanza che non è esperienza,

dallo schiaffo del flipper

per non andare in buca.