Arrivata l’ora di chiusura, Genziana congedò gli operai e salutò Giovanni: «Ho da fare» gli disse senza nessuna spiegazione, e lui non fece domande. Si accomodò nell’ufficio del padre e cominciò a leggere. Il cuore le si riempì di tenerezza: quelle pagine descrivevano scene di vita familiare, raccontavano riflessioni, speranze, desideri, considerazioni. Teneva il segno con il dito e con l’altra mano si soffiava il naso e si asciugava le lacrime. La nostalgia accompagnava il ricordo degli ultimi anni trascorsi con la sua famiglia e le suscitava un dolce rimpianto. Piangeva, sì, ma non provava dolore, semmai una malinconia struggente e la consapevolezza che tutti erano vivi nella sua memoria e avevano contribuito a far di lei quella che era.
... Un mistero! Affascina, attira, lega, avviluppa, e soprattutto migliora. Che cosa sarei io senza Viola? Un vecchio frequentatore di casini che non ha mai posseduto davvero una donna.
Genziana rilesse questo passaggio più volte, forse non aveva capito bene. Ma poi si convinse che... sì, suo padre stava discettando di femminilità. Lo aveva sempre considerato un rude commerciante di caffè, non riusciva a credere che fosse così sensibile e attento.
Ho inseguito per tanto tempo il mistero che si cela nel corpo di una donna. L’ho assaggiato, gustato, talvolta divorato, senza mai comprenderne appieno il significato. Una sorta di frenesia muoveva le mie mani sui loro seni, sulla loro pelle, ma solo Viola mi ha permesso di conoscere la sua natura, e mi ha lasciato intuire la complessità di quell’ordito di fili che attraversa il suo corpo e si raccoglie in un nodo centrale, che ora si stringe per trattenere e ora si allenta per lasciar passare un pensiero, un gesto, un sospiro. Accarezzo il suo piccolo grumo...
Arrossì, intuendo di cosa parlava suo padre.
Sono le donne a rendere il mondo migliore, se quegli stupidi che passano ogni mattina dalla mia putìa potessero immaginare cosa si perdono...
La ragazza si ricordò di tutte le discussioni che mortificavano suo padre e facevano infuriare sua madre.
Sono morbide e accoglienti, delicate e voluttuose, ma sono forti, in modo speciale, come la balena di Moby Dick. “La forza non ne è esclusa, anzi è parte integrante dell’incantesimo.”
Il libro di Melville! Genziana si ricordò di averlo visto sul comodino del padre e si ripromise di leggerlo. La copertina le era rimasta impressa: un cielo rosso fuoco sopra a un cupo mare in tempesta, tra i marosi una balena candida dalla fronte corrucciata.
Genziana al contrario della madre possiede una natura selvaggia, irruente, trainante, me ne sono accorto appena l’ho avuta tra le braccia.
Si fece ancora più attenta, si parlava di lei. Ecco perché il quaderno iniziava con la sua data di nascita! Lasciò che i ricordi del padre venissero a galla, si era accanita a rievocare solo Viola, e nel frattempo l’immagine di Roberto si era sbiadita fin quasi a scomparire. “Che peccato che sia morto, chissà quante cose avrei potuto imparare da lui. Ho sempre pensato che fosse la mamma il centro della famiglia.”
Riprese a leggere.
Se è vero che la diversità è ricchezza, non capisco perché tanti torrefattori usino una sola varietà di caffè. Passi per i brasiliani: coltivano l’arabica, è giusto che non vogliano spendere soldi per comprare da altri coltivatori, ma a me che me ne importa? Non è che me la regalano... E allora chi mi impedisce di mischiare arabica e robusta insieme? Così, primo risparmio, che la robusta costa di meno, secondo faccio una cosa nuova. E vuoi vedere che alla fine il caffè risulta pure migliore?
Dunque era quello il segreto del padre, una miscela di due componenti così distanti. Ecco spiegato perché il primo caffè fatto a Foddicchio era venuto così buono: aveva usato chicchi diversi.
Però la ragazza non riusciva a capire perché la miscela portasse il suo nome. Girò pagina, piena di curiosità:
... È l’essenza di Genziana che ho cercato di riprodurre nel caffè che porta il suo nome. Lei è un misto di virtù e vizi maschili, il coraggio, la forza, la sfrontatezza, la prepotenza; ma anche femminili, la sensualità, la resistenza, l’adattabilità, la caparbietà e la determinazione. Molto più complessa della madre e più versatile dei suoi fratelli, è l’esempio di come il mio sangue mescolato a quello di Viola abbia dato risultati meravigliosi.
È stata Genziana a perfezionare la mia fortuna. Il suo profumo, la pelle ambrata, il pianto vigoroso... tutto in lei parlava di dolcezza, come i chicchi di una preziosa qualità arabica, e di tenacia, come la migliore delle robuste. È bastato mescolarli insieme, quei chicchi, per tirar fuori il caffè che porta il suo nome.
«Lo sapevo che c’entravo in qualche modo!» esclamò allora con aria trionfante. Eccitata per la scoperta, Genziana volle subito sperimentare la ricetta che trovò annotata nella pagina seguente. Sebbene fosse piena notte, accese la caldaia, diede fondo a tutta la legna pur di raggiungere temperatura e pressione in breve tempo e cominciò a tostare con frenesia.
Caricò la tramoggia, e quando l’aria della putìa si arroventò aprì i rubinetti e lasciò scorrere il caffè, che sprofondò nelle viscere del drago come un fiume interrato. Guardava intanto con attenzione gli occhi asimmetrici che cambiavano colore, il vapore usciva dai bocchettoni con un sibilo sottile. Sudava mentre spingeva la tostatura al massimo. Il suo corpo morbido vibrava all’unisono con Orlando, come fossero amanti collaudati. Provava un piacere voluttuoso che cresceva velocemente. Il momento giusto lo sentì nel ventre. “Ora!” pensò, e aprì la tendina: una cascata bronzea si riversò nella padella, le pale di raffreddamento cominciarono a girare e le ventole forzarono il fumo fuori.
La fragranza del caffè si diffuse nel quartiere quando ancora era buio pesto, molti si alzarono prima del tempo e si stupirono che, a dispetto del profumo, il sole non fosse ancora sorto. Altri rimasero nel letto pensando di sognare.
Quindi Genziana indossò i guanti, prese tra le mani una manciata di chicchi: erano lucidi, scuri, setosi come la sua pelle. Chiuse gli occhi e ne saggiò l’aroma, era quello della sua terra, arancia e gelsomino. Macinò i chicchi ancora caldi, caricò la napoletana e attese senza spazientirsi.
All’alba si riempì la tazza con il caffè che portava il suo nome e uscì dalla putìa. Raggiunse la scalinata di Santa Caterina e si sedette a godersi il caffè alla luce chiara del mattino.
Con le mani chiuse a coppa accostò la tazza al viso, l’aroma era generoso, nobile, rigoroso. Bevve il primo sorso, il profumo di gelsomino invase il palato, fu assalita dalle immagini di quella lontana giornata di giugno in cui la madre le aveva permesso di assaggiare il caffè per la prima volta. Lo stomaco si strinse in una morsa, una pozza di rimpianto si allargò nel petto: in tanti anni nulla come quel sapore ritrovato le aveva fatto sentire così tanto la mancanza della madre, della sua famiglia, di se stessa ragazzina. Restò immobile coi gomiti sulle ginocchia, lo sguardo fisso, la tazza stretta fra le mani.
Poi si riebbe e corse da Lalla, era eccitata, aveva bisogno di parlare. Si sedettero in cucina e Genziana tirò fuori dalla tasca alcuni chicchi: «Prova questi» le disse. Insieme gustarono quel caffè dalle note delicate, mentre la ragazza raccontava per sommi capi gli avvenimenti della notte. L’amica l’ascoltava con attenzione.
«L’aveva detto la mamma» concluse così il racconto.
«Che cosa?»
«La tua fortuna saranno le femmine, la tua sicurezza il caffè.»
«Manca qualcosa alla realizzazione della profezia, o sbaglio?», l’amica la guardò con un sorriso malizioso.
Per giorni Genziana annusò il caffè tostato tenendolo a lungo tra le mani, impregnandosene i palmi. Il profumo dei diversi chicchi, alla luce di quanto scoperto, era capace di evocare in lei ricordi antichi, sensazioni nuove, emozioni sconosciute. Percepiva il battito del proprio cuore con continuità e quando si smarriva in pensieri disordinati tornava con pazienza al respiro. Lì incontrava di nuovo se stessa. Il suo ventre era pieno di una vitalità fertile. Faceva mille ipotesi e diverse prove per perfezionare la miscela Genziana, ma era mossa da un’ambizione segreta: inventarne una nuova, migliore di quella del padre, che avesse dentro il profumo e i sentori di una nuova vita, solo sua. Decise che Orlando doveva essere ripulito dopo ogni ciclo di tostatura e non alla fine della giornata come si faceva di solito. Ordinò quindi agli operai di lavarlo e asciugarlo tutte le volte che caricavano la tramoggia.
«Vedete queste muddichedde nere che restano nella padella? Se non vengono lavate, continuano a bruciare e il caffè viene fuori amaro.»
Quelli la guardarono strabiliati.
Fece una prova con due diverse qualità di robusta di provenienza africana dal leggero aroma di medicina. Selezionò i chicchi uno per uno, scartando quelli che sapevano di tappo. Alzò ancora di più la temperatura e tentò una tostatura estrema. Il profumo della nuova miscela era legnoso e speziato, il caffè che ne risultò era concentrato, terroso come l’acqua reflua delle miniere d’oro, carica di preziosi minerali. Aveva un gusto di cioccolato e pan tostato: al primo sorso allappava, ma poi restava un piacevole amaro e una sensazione astringente.
“Una miscela decisamente maschile” considerò Genziana.
Provò a mischiare arabica e robusta in proporzioni diverse. Cercando di privilegiare la morbidezza, abbassò la temperatura di Orlando e tostò con delicatezza quei chicchi piccoli e diafani. La nuova creatura aveva un profumo leggero ed esitante. Le prime gocce erano amare, e subito dopo una dolcezza antica, a lungo desiderata, attraverso la bocca raggiunse il cuore. Quel caffè somigliava a una tempesta di vento che, calando, lasciava addosso una essenza di viola e mughetto. Ah, quella delicatezza che ci si aspetta da una donna anche mentre esercita la sua forza!
Certi giorni Genziana si riteneva soddisfatta, altri era disorientata. Se la miscela del padre rappresentava una femminilità ancora acerba, adesso toccava a lei trovare il giusto equilibrio tra arabica e robusta, in modo che si esprimesse a pieno un’essenza di donna matura.
“E se fosse questo il significato della previsione della mamma?”
Provò a parlarne con Lalla, che non fu d’accordo: «Guardati intorno» le suggerì. «Secondo me la fortuna portata dalle femmine è un’altra.»
La sua amica da qualche tempo conduceva una battaglia contro il coefficiente Serpieri che, a parità di ore di lavoro, assegnava alle donne un salario più basso del 40 per cento rispetto a quello maschile.
«Secondo me Viola pensava a qualcosa di diverso» continuò Lalla.
«Ma a cosa?» sbottò Genziana.
«Aiuta anche tu le altre donne. Lei lo faceva con i fondi di caffè, tu puoi farlo con la torrefazione.»