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La copia digitale del manifesto di carico era esattamente ciò che Selma aveva sperato di ottenere e, subito dopo che Sam e Remi le avevano inviato via email le pagine trovate a Port Royal, lei iniziò le ricerche sulla flotta che aveva fatto vela dalla Giamaica. Il mattino dopo, li richiamò per comunicare quanto aveva scoperto.

«Buone notizie, spero», disse Sam.

«Quasi tutte», ribatté Selma. «Sono riuscita a collegare l’imbarcazione inabissatasi di fronte all’Isola dei Serpenti al furto del carico del capitano Bridgeman nel periodo da lui trascorso in Giamaica. Cosa più importante, collegando questo nome alla nave affondata si riempiono un sacco di vuoti. In particolare, ora che sappiamo che con essa si è inabissato anche il disco cifrante.»

«In che senso?» chiese Sam.

«Bridgeman era lo pseudonimo del pirata Henry Every.»

«Every?» chiese Remi. «È una coincidenza che Every e Avery si somiglino tanto?»

«No», rispose Selma. «Inizialmente, potrebbe essersi trattato di una trascrizione errata, ma i due nomi vengono usati in maniera interscambiabile in buona parte dei documenti che ho trovato sulla storia di Every. Henry Every, o Avery, non è altri che il capitano Henry Bridgeman. Aveva iniziato da mercante di schiavi e poi, a quanto pare, si è trasformato in pirata. A mio parere, non c’è grande differenza tra le due cose.»

«E che n’è stato di lui?» volle sapere Sam.

«Sparito. Avvistato per l’ultima volta alle Bahamas, potrebbe essere partito per l’Inghilterra finendo per vivere e morire nell’ombra. A quel punto, era decisamente un ricercato. La cosa interessante è che, prima che voi trovaste queste pagine scomparse, non esistevano documenti ufficiali in grado di dimostrare che Bridgeman o la Fancy fossero mai giunti in Giamaica. È chiaro che questo rientra nelle informazioni che Avery stava cercando di tenervi nascoste.»

«Cos’altro stava cercando di nascondere?»

«Due cose. Una: non era la prima volta che Every attaccava la Mirabel. Due: l’identità degli investitori inglesi interessati alla Mirabel

«Investitori? Quindi c’era più di un armatore?»

«L’armatore forse restava uno solo, ma c’erano più investitori. Il che significa che la nave era sotto il controllo di altri. Dalla testimonianza di quel membro dell’equipaggio sappiamo che l’oggetto che ipotizziamo fosse il disco cifrante fu rubato in occasione del primo contatto di Every con la Mirabel al largo delle coste spagnole, qualche anno prima. Lui aveva cercato proprio quella nave, quindi sapeva della presenza del disco a bordo. Inoltre, ha risparmiato la nave e la vita del capitano e dell’equipaggio invece di farli colare a picco o di sequestrare l’imbarcazione inserendola nella sua flotta di navi pirata.»

«Voleva andarsene in fretta», commentò Sam. «Il secondo contatto è stato in Giamaica?»

«La Mirabel lo ha seguito lì. Secondo la testimonianza, in Giamaica è stato sottratto a Every qualcosa di enorme valore. La Mirabel è fuggita, presumibilmente insieme al disco cifrante, e lui l’ha inseguita fino all’Isola dei Serpenti a bordo della Fancy. Il resto della storia lo conoscete. Una volta che la Mirabel si è inabissata, lui ha dovuto rinunciare al disco ed è forse questo il motivo per cui improvvisamente ha abbandonato la pirateria.»

«Se da allora non ci sono più stati suoi avvistamenti ufficiali, può essere che abbia catturato la Mirabel, ma che sia colato a picco con la nave dopo che era finita contro gli scogli?» chiese Sam.

«Sarebbe un’ipotesi plausibile se non ci fosse quella mappa che illustra nel dettaglio dove trovare il disco cifrante di fronte all’Isola dei Serpenti», disse Selma. «Ho la sensazione che Every si sia assicurato di documentare l’ubicazione del disco, nel caso in cui prima o poi fosse riuscito a tornare per recuperarlo. Purtroppo per lui, il suo pseudonimo Bridgeman era stato scoperto e la Royal Navy aveva unito le forze con la Compagnia delle Indie Orientali per dargli la caccia. Probabilmente, ciò gli ha impedito di fare ritorno all’Isola dei Serpenti. Alcuni storici sostengono che è tornato in Inghilterra ed è morto povero, costretto a vivere nell’ombra senza poter accedere al suo tesoro. Lazlo crede che sia tornato in Inghilterra e che abbia speso ciò che restava delle sue ricchezze nella ricerca del disco cifrante originale.»

«Siamo sicuri che non abbia mai recuperato il disco originale?» chiese Remi. «Anzi, siamo sicuri che esista?»

«Certo», ribatté Selma. «Tanto per cominciare, se l’avesse recuperato, Charles Avery non gli darebbe la caccia. Sembra conoscere bene la storia della sua famiglia. In secondo luogo, la ricerca di Lazlo conferma l’esistenza dell’originale. Every-Bridgeman è morto o è stato catturato prima di poterlo cercare. Purtroppo, non aveva documentato l’ubicazione esatta, né nelle mani di chi si trovasse, sempre che conoscesse questi dettagli. Comunque sia, Charles Avery dispone delle informazioni contenute nel manifesto di carico. Sarà certamente sulle sue tracce.»

Sam si protese in avanti, sparpagliò le copie digitalizzate che avevano ottenuto al museo marittimo e le studiò. C’erano solo alcune pagine della deposizione in tribunale che avevano letto agli archivi di Kingston. «Quindi stiamo ancora cercando la persona a cui è stato originariamente sottratto il disco cifrante?»

«Crediamo di aver ristretto il campo a un paio di investitori della Mirabel. Guarda caso, entrambi si trovano in Inghilterra, il che ci facilita le cose. È quella la vostra prossima destinazione.»

Sam guardò Remi. «Che ne dici di un viaggio nelle Isole Britanniche?»

«Adoro la Gran Bretagna in questo periodo dell’anno.»

 

 

Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, atterrarono al London City Airport e il mattino successivo si alzarono presto. Selma aveva fornito loro due nomi con relativi indirizzi. Uno era di una certa Grace Herbert, appena fuori Bristol, e l’altro di un certo Henry McGregor, più a nord, nei pressi di Nottingham. Purtroppo, Selma non era riuscita a restringere ulteriormente il campo, quindi mentre attendevano il parcheggiatore con la loro auto Sam lanciò una monetina. «Testa, Herbert. Croce, McGregor.» Intercettò la moneta al volo e la coprì con la mano.

«Testa», disse Remi. «Ho sensazioni positive su Bristol.»

«Se non troviamo lì quello che stiamo cercando, dovremo fare un lungo viaggio in macchina fino a Nottingham.»

«Chiamalo intuito femminile. Testa, Bristol.»

Sam sbirciò la moneta. Croce. Se la mise in tasca e sorrise a Remi. «Perché lasciar fare al caso? Mi fido del tuo intuito.»

«È uscito croce?»

«Già.» Quando arrivò la macchina, Sam guardò sua moglie. «Tu guidi e io faccio da navigatore?»

«Ah! E dovrei fidarmi che tu presti attenzione alla mappa?»

«Ci siamo mai persi per colpa mia?»

«C’è stata quella volta a...»

«Lascia perdere.» Diede la mancia al parcheggiatore e prese le chiavi. Finalmente, si lasciarono Londra alle spalle e lungo la strada le case si fecero sempre più sporadiche, a mano a mano che le fattorie iniziavano a punteggiare il paesaggio. Scese una leggera bruma e Sam attivò i tergicristalli. Nelle due ore successive, la situazione non cambiò.

Remi sospirò alla vista delle dolci colline verdi. «Che splendore.»

«Se ti piace l’umidità.»

Lei gli scoccò un’occhiataccia. «Preferiresti il caldo umido della Giamaica?»

«In realtà, pensavo alla brezza calda di La Jolla.»

«Ogni cosa a suo tempo.» Studiò le indicazioni stradali sul telefono. «Ancora una cinquantina di chilometri. Al prossimo incrocio, svolta a destra.»

Procedettero su una strada asfaltata a due corsie che serpeggiava tra pascoli e terreni agricoli. Alla fine, trovarono lo sterrato da cui si accedeva alla casa colonica degli Herbert, che Remi vide in lontananza. Una voluta di fumo saliva dal comignolo di un grosso cottage, oltre il quale si scorgevano diverse dépendance. Quando raggiunsero la casa, udirono il verso delle oche e le galline si sparpagliarono per poi riprendere a becchettare il terreno poco più in là, alla ricerca di larve.

Sam parcheggiò e scesero, attraversando il viale in ghiaietto fino al portone. Bussarono. Ad aprire fu una donna sui cinquantacinque anni, i capelli castani corti brizzolati sulle tempie, e gli occhi grigi seri.

Li scrutò. «Dovete essere i Fargo, vero?»

«Sì», rispose Sam. «La signora Herbert?»

«Herbert-Miller, per la precisione. Ma chiamatemi pure Grace. Entrate, prego. Ho il bollitore sul fuoco, se vi va un tè.»

«Grazie», disse Remi.

La donna li condusse nel salotto e Sam dovette chinarsi per varcare la soglia bassa. Si accomodarono e Grace tornò dopo qualche minuto con un servizio di porcellana da tè su un vassoio d’argento. Sam, ancora stanco per il volo transatlantico, avrebbe preferito una tazza di caffè forte, ma accettò il tè, declinando l’offerta di latte o zucchero. Quindi si appoggiò allo schienale della sedia, prestando ascolto alla signora Herbert-Miller che prese a spiegare quanto fosse rimasta sorpresa nell’ereditare la collezione di manufatti.

«La telefonata è giunta inaspettata», disse, mescolando lo zucchero nella tazza. «Un avvocato di Londra, nientemeno. Voleva sapere se fossi Grace Herbert degli Herbert di Milford.» Posò il cucchiaino sul piattino, sollevò la tazza e bevve un sorso. «Ovviamente, abbiamo messo in vendita la tenuta. Non riesco a immaginare di vivere in un vecchio castello pieno di spifferi, anche se Milford è un posto splendido, o almeno è quello che ho sentito dire. Non credo che potrei convincere mio marito a trasferirsi lì nemmeno se volessi.»

«È una bellissima zona», disse Remi. «Ci sono stata una volta, tanto tempo fa.»

Sam, che voleva procedere più speditamente, decise d’intervenire: «C’era qualcosa di storicamente significativo in ciò che ha visto? Al di là del castello, intendo».

«Non saprei dirlo con certezza. Non me ne occupo personalmente. Io ho ereditato il castello, mentre mio cugino di Nottingham, Henry McGregor, ha ereditato una piccola tenuta lassù. È possibile che sappia qualcosa; però anche lui, come me, ha affidato al museo tutto ciò che c’era di storico. Il museo era molto interessato, sebbene sia emerso che sir Edmund Herbert era un figlio illegittimo.» Sollevò un piatto di biscotti. «Gradite?»

Remi declinò.

Sam ne prese uno. «Grazie.»

La donna risistemò il piatto al centro del tavolo. «L’unica prova che ho del fatto che io e mio cugino siamo davvero parenti è una vecchia Bibbia di famiglia tra gli oggetti che mi sono stati lasciati. Se ho letto bene l’albero genealogico, siamo secondi cugini dell’ultimo erede maschio conosciuto.»

«Questi oggetti storici... Esiste una sorta di lista?» chiese Sam.

«Sì, volete vederla?»

«Sì, grazie.»

La donna si alzò, attraversò la stanza ed estrasse una busta imbottita da uno scrittoio ricoperto di bollette e scartoffie della tenuta agricola. Prese un fascio di fogli dalla busta e lo passò a Sam, risedendosi. «Non che si capisca granché. È tutto all’asta e credo che a breve scatteranno fotografie di ogni cosa. Io ancora non le ho.»

Remi si chinò in avanti per dare un’occhiata ai fogli mentre Sam li studiava con attenzione. «È una lista corposa», commentò.

«S’immagini una come me che piazza un clavicembalo in questo salotto. Oppure un’armatura. Anche se avessi spazio, preferisco venderli e usare i proventi per la tenuta agricola. Qualche oggetto, però, l’ho tenuto.»

«Ah, sì?» disse Remi.

«Questo servizio da tè, tanto per cominciare. È proprio carino.»

Remi fece scorrere un dito sul delicato bordo del piattino. «Ha ragione.»

«E anche qualche quadro.» Indicò due paesaggi bucolici appesi al muro. «Mi sembrava che non fossero troppo bizzarri per una semplice fattoria. Lo stemma di famiglia, almeno. Vanità pura e semplice. Non è cosa di tutti i giorni scoprire di essere una lontana parente del figlio illegittimo di un nobiluomo, anche se il padre di quel figlio era un piccolo feudatario. Più sotto, sulla parete, c’è lo scudo di cuoio che risale all’epoca di sir Herbert. Lo conservo soprattutto perché l’incisione del nodo celtico nel mezzo è splendida.»

Remi posò la tazza sul tavolo. «Le dispiace se do un’occhiata più da vicino?»

«Faccia pure.»

Si avvicinò mentre Sam sfogliava la lista, notando che c’erano svariati scatoloni di oggetti assortiti. «Queste scatole. Ha idea di cosa contenessero?» chiese.

«Cianfrusaglie. Un sacco di carte, libri e poi una scatola dentro cui sembrava che qualcuno avesse smontato un’intera armatura. Il perito era convinto che una parte di quelle cose avesse un valore storico. Ecco perché io e mio cugino abbiamo deciso di dare l’intera collezione in prestito al British Museum di Londra. Non so se ci sia qualcosa di valore o no... Altro tè?» chiese, notando che la tazza di Sam era quasi vuota.

«No, grazie.»

Lei rabboccò la sua. «Non siamo ricchi. Semplicemente, non abbiamo bisogno di nulla. Preferiamo che tutti quegli oggetti stiano in un museo piuttosto che in una collezione privata. Il prossimo fine settimana, ci sarà una specie di galà di raccolta fondi e per l’occasione verrà esposta la collezione.»

«Raccolta fondi?» chiese Remi, tornando al proprio posto. «Dovremmo andarci.»

«Temo siano esauriti i posti», disse Grace. «Da settimane.»

«Un vero peccato», commentò Sam. «Pensa che potremmo visionare quegli oggetti prima dell’evento?»

«Certo. Vi darò il nome del referente al museo.»

Lesse ad alta voce il nome e il numero della persona in questione, e Sam ne prese nota sul suo cellulare. Parlarono ancora per qualche minuto e poi, quando fu chiaro che non c’era altro da sapere, la ringraziarono per l’ospitalità.

Mentre uscivano, Sam indugiò davanti ai quadri appesi accanto alla porta. Non riconobbe il nome degli artisti. Lo stemma, invece, lo intrigò e si voltò a chiedere: «Le dispiace, se faccio delle fotografie?»

«Nient’affatto.»

Sam scattò un paio di foto con il telefono e le controllò per assicurarsi che lo stemma di famiglia e lo scudo rotondo di cuoio fossero abbastanza chiari, in modo da inviare gli scatti a Selma. L’intricato nodo celtico inciso sull’umbone d’ottone al centro dello scudo sembrava cozzare con l’evidente retaggio inglese dello stemma di famiglia appeso poco sopra. Se c’era qualcuno in grado di trovare una spiegazione, quel qualcuno era Selma. L’età aveva logorato alcuni simboli incisi sull’umbone dello scudo e il flash impediva di scorgere ciò che restava visibile. Dunque, Sam riprovò senza flash. La stanza era buia, purtroppo, ma i simboli araldici dello stemma si leggevano almeno in parte. Abbastanza da fornire una base di partenza a Selma. «Grazie ancora», disse, facendosi scivolare il telefono in tasca.

La donna aprì la porta per farli uscire e rivolse loro un sorriso. «È stato un piacere. Mi dispiace che mio marito non abbia potuto conoscervi. Sapete, ha scoperto improvvisamente che c’era una staccionata da riparare. Credo però che i visitatori che abbiamo avuto ieri lo abbiano un po’ contrariato.»

«Visitatori?» si stupì Remi.

«Come voi, volevano sapere dell’eredità. Onestamente, non capisco cosa ci sia di tanto speciale. Se vedeste il castello, capireste. Un ammasso di pietre, lo chiama mio marito.»

Sam si fermò sulla soglia. «Si ricorda i nomi? O sa a che cosa fossero interessati di preciso?»

«Credo di non averlo capito ma, come voi, erano interessati a quegli scatoloni che sono finiti al museo.»

Una volta saliti in macchina, Sam passò il telefono a Remi. «Fammi un favore», le disse, mentre girava la chiave per avviare il motore. «Invia a Selma le foto che ho scattato.»

«Uno stemma molto interessante. Considerando che l’antenato di quella donna era il figlio illegittimo di un esponente di secondo piano della nobiltà terriera, lì sopra di simboli araldici ce ne sono parecchi...»

«È proprio quello che pensavo.» Svoltò, percorse il vialetto fino alla strada di campagna, quindi diede un’occhiata nello specchietto retrovisore. Il sole fece capolino tra le nuvole, riflettendosi sul cofano di un’auto che si dirigeva verso di loro, lungo il pendio. Inforcò gli occhiali da sole.

«Fatto», disse Remi, prima di posare il telefono tra i sedili. «Immagino che non debba sorprenderci il fatto di non essere stati i primi a venire qui, giusto?»

Sam rallentò per affrontare una curva. «Sono stufo di essere un passo indietro rispetto a quella gente.»

«Speriamo che il museo veda quei furfanti per quello che sono o che, almeno, chieda un documento prima di consentire a qualcuno di entrare a visionare i manufatti.»

«Mi piace pensare che il British Museum abbia dei protocolli di sicurezza. In ogni caso, da’ un colpo di telefono. Di’ che domattina saremo lì.»