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Sam si sforzò di restare immobile quando vide che Remi veniva spinta dentro la stanza, andando a sbattere contro il tavolo pieno di manufatti. Aveva una gran voglia di mollare un cazzotto in faccia a Ivan e di spezzargli il collo, ma sapeva che la cosa migliore era attendere. Era probabile che quell’uomo avesse solo due colpi a disposizione nella pistola di piccolo calibro che era riuscito a introdurre nel museo. Erano però pur sempre due colpi di troppo.

«Che succede?» chiese Fisk.

«Abbiamo un’ospite», rispose Ivan.

Fisk sospirò di frustrazione. «Non mi ascolta nessuno, qui?» Quindi si rese conto che la signorina Walsh si era distratta. «Continui a cercare, lei.»

La donna annuì, frugando frettolosamente tra cartelline e fogli.

Remi si chinò per recuperare le scarpe che le si erano sfilate.

Ivan la prese per un braccio e l’allontanò bruscamente.

«Lascia stare mia moglie», intervenne Sam.

«Altrimenti cosa?»

Sam fece per alzarsi, ma Marlowe gli si avvicinò di corsa e lo spinse nuovamente giù. «Resta lì, se non vuoi che ti tagli la gola.»

Remi guardò Sam accigliata, stringendosi al petto le scarpe e la borsetta. «Sto bene.»

Se c’era una cosa in cui erano bravi, era escogitare piani alternativi. Ne abbiamo davvero bisogno, pensò Sam, mentre osservava Ivan scortare Remi.

«Siediti», le ordinò, spingendola su una sedia.

Lei scoccò un’occhiata a Sam. «Vieni spesso qui?»

«Zitti, voi due», berciò Ivan, per poi attraversare la stanza e fermarsi in un punto da cui avrebbe potuto tenerli d’occhio.

La signorina Walsh, che in quel momento stava rovesciando sul tavolo il contenuto di un’altra scatola, scrutò il pugnale di Marlowe. «Deve proprio starmi così vicino con quell’aggeggio?»

L’uomo non disse nulla, limitandosi a fissarla. Lei tornò a concentrarsi sulla scatola: mentre passava in rassegna le carte, le tremavano le mani.

Fisk guardò l’orologio e poi la signorina Walsh. «Sicura di non aver visto nulla del genere tra i manufatti?»

«Se ci fosse, lo saprei. Non c’era.»

Fisk strinse gli occhi a fessura e le si avvicinò. «E allora cosa sta cercando? Perché non mi sembra che ci siano manufatti in quella busta.»

«Mi ha detto che era rotondo con dei simboli, no? Ricordo un disegno di qualcosa di simile.» Spinse la scatola verso di lui. «Non è un problema, se vuole controllare lei stesso.»

Fisk raccolse una pila di fogli e fece un cenno a Ivan e Marlowe. «Tenete d’occhio quei due.»

Sam guardò sua moglie. «Stai bene?»

«Tutto a posto. Sul serio.»

«Non saresti dovuta tornare.»

«Ero preoccupata. Non c’era nessuna ambulanza fuori.»

«Un espediente necessario», commentò Fisk senza alzare gli occhi dalle carte che stava passando in rassegna. «Ha funzionato.»

Remi lo ignorò. «Quindi ero un tantino in pensiero per la tua incolumità», proseguì rivolta al marito, osservando la fascetta che gli stringeva i polsi.

Sam le sorrise, poi rivolse un’occhiata alla signorina Walsh, che esaminava le carte con più attenzione rispetto a Fisk, certamente perché le stava più a cuore preservare la storia. O, forse, perché capiva che, una volta trovato quell’oggetto, il loro destino sarebbe stato segnato.

Fisk sollevò un documento ingiallito e fece un passo indietro. «Eccolo.»

La signorina Walsh si bloccò.

Sam aveva cercato di allentare la fascetta di plastica intorno ai polsi, mentre teneva sotto controllo Ivan, distratto da Fisk e in attesa di sue istruzioni. Fisk, però, sembrava estasiato dalla scoperta, quasi dimentico della presenza di altre persone. Poi, d’un tratto, alzò lo sguardo e incrociò quello di Marlowe. «Raggiungetemi di sopra quando avrete finito. Manderò giù Jak a darvi una mano.»

Uscì.

Non è una buona cosa, pensò Sam. «Hai solo due pallottole in quella pistola», disse a Ivan.

«Non ti preoccupare, ne ho altre in tasca. E poi Marlowe muore dalla voglia di provare il suo pugnale nuovo.»

Marlowe sollevò la lama scintillante e sorrise alla signorina Walsh, che fece un passo indietro impallidendo.

Remi sospirò, frustrata. «Per l’amor del cielo, se dovete ucciderci, fatemi almeno mettere le scarpe e morire con dignità», disse. Poi si rivolse a Sam: «Ecco». Spinse la sua borsetta contro il petto del marito, di modo che lui non avesse altra scelta che sollevare le mani legate e prenderla. Quindi si chinò per infilarsi teatralmente le scarpe con i tacchi alti.

Ivan sogghignò, come se non riuscisse a credere che quella donna avesse l’audacia di preoccuparsi del proprio aspetto in un simile frangente. Sam afferrò la borsetta, rendendosi conto solo in quel momento di cosa era nascosto sotto la falda. La stella d’ottone. E dire che aveva sperato in un coltello con cui tagliare la fascetta.

D’un tratto, Marlowe afferrò la signorina Walsh, spingendole il pugnale contro la carotide.

Sam allora mollò la borsa, si alzò e scagliò la stella, colpendo Marlowe al collo. Gli occhi dell’uomo si dilatarono, fece cadere il pugnale e si portò una mano alla gola, non riuscendo a respirare. Barcollò all’indietro e si accasciò a terra vicino a Ivan, che aveva appena puntato la pistola contro Remi. Sam scattò in avanti e riuscì a spingergli verso l’alto il braccio che impugnava l’arma proprio nell’istante in cui partiva un colpo. Lottò con Ivan nel tentativo di strappargli la pistola, facendo un’enorme fatica per via della fascetta ai polsi. Ivan fece nuovamente fuoco e il proiettile passò talmente vicino al volto di Sam che lui avvertì l’acredine della polvere da sparo su una guancia. L’arma a quel punto era scarica, Ivan la lanciò addosso a Sam e allungò al contempo una mano alla cieca dietro di sé riuscendo ad afferrare il maglio dal tavolo. Sam si ritrasse di scatto e il maglio lo mancò di un soffio. Quando Ivan ci riprovò, Sam si abbassò e riuscì ad assestargli una violenta spallata al petto. Il maglio gli cadde di mano e Ivan inciampò, crollando sul tavolo.

«Scappate!» disse Sam.

Remi trascinò la signorina Walsh fuori dalla stanza. Ivan afferrò la mazza rotta, stringendo nel pugno la sfera piena di spunzoni, e si avventò contro Sam. Con le mani ancora legate, Sam si lanciò verso lo scudo di cuoio sul tavolo, fece un giro su se stesso e lo sollevò. La mazza colpì il cuoio, perforandolo. Sam sbatté lo scudo sulla faccia di Ivan e lo respinse.

Quello inciampò sul corpo di Marlowe e finì a terra violentemente.

Sam allora gli gettò addosso lo scudo e fuggì. Remi e la signorina Walsh erano poco più avanti e stavano correndo lungo il corridoio.

Si fermarono a un incrocio in cui un corridoio riportava al museo e l’altro verso l’uscita d’emergenza al piano di sopra. «Da che parte?» chiese Remi.

La signorina Walsh guardò in entrambe le direzioni, troppo scioccata per prendere una decisione.

«L’uscita», disse Sam, sperando in un cortile zeppo di visitatori in attesa a causa dell’allarme. Voleva potersi perdere tra la folla.

Salirono le scale di corsa e uscirono rapidamente, solo per scoprire che erano lontani dall’ingresso principale e da eventuali assembramenti. Al contrario, si ritrovarono in uno stretto passaggio tra due edifici che veniva usato solo dagli addetti alla manutenzione.

Dovevano raggiungere la strada davanti al museo. Potevano girare a sinistra o a destra. Sam optò per la sinistra, poi si fermò di fronte alla porta successiva, dove una breve scalinata conduceva a un altro ufficio nel seminterrato. «Quaggiù», disse, spingendo le due donne sui gradini bui quando udirono il cigolio della porta dell’uscita di emergenza che si apriva e poi sbatteva.

Gli stivali di Ivan grattarono il ghiaietto poco sopra di loro. Si fermò e si guardò intorno, con la pistola in mano.

Sam fece un respiro lento e regolare, tenendosi a ridosso del muro, mentre Remi usava il suo coltellino per tagliargli la fascetta ai polsi. D’un tratto, Ivan si voltò e s’incamminò nella loro direzione. Loro rimasero immobili. Poi l’uomo si fermò, talmente vicino che Sam avrebbe quasi potuto allungare una mano e afferrarlo per le caviglie. Ivan estrasse il telefono ed effettuò una chiamata. «Marlowe è morto... No. Li ho persi. Controllerò il perimetro del museo. Voi tenete d’occhio le strade... Non andatevene finché non li avrete trovati. Il capo li vuole...»

Un generatore di corrente entrò in funzione nell’edificio adiacente, coprendo il resto della conversazione. Sam osservò Ivan allontanarsi nella direzione opposta, sparendo dietro l’angolo.

Convinto di essere momentaneamente al sicuro, guardò le due donne. «State bene?»

Loro annuirono.

«Ottimo. Andiamocene da qui.» Scrutò la porta alle sue spalle. «Conduce da qualche parte?»

La signorina Walsh, che si era decisamente ripresa, scosse la testa. «È solo l’ufficio della manutenzione. Non vi si accede dall’interno. Non sarà il caso di chiamare la polizia?»

«Prima vorrei fare in modo d’essere tutti vivi per poter rilasciare le nostre deposizioni. Come si fa a tornare dentro?»

«Il modo più semplice e veloce è tornare da dove siamo venuti. Solo che si sono presi la mia tessera.»

«Ne ho una io», disse Remi, sollevando la borsetta. «Me la sono fatta prestare da un’altra dipendente.»

«Questa sì che è la mia ragazza.» Sam salì i gradini e si fermò per accertarsi che la via fosse sgombra, poi indicò alle due donne di salire. «Dritti all’altra porta», disse, mettendosi in coda al gruppetto.

Entrarono in fila indiana e Sam non si rilassò finché la porta non si fu chiusa saldamente alle loro spalle.

«Andiamo agli uffici della sicurezza», disse la signorina Walsh. «Lì saremo al sicuro fino all’arrivo della polizia.»

«Il documento che hanno preso...» le chiese Sam mentre avanzavano. «È riuscita a studiarlo bene?»

«Era un disegno a china.»

«Di cosa?»

«Di un oggetto tondo con sopra dei simboli. L’avevo visto la prima volta che mi sono messa a catalogare la collezione Herbert, per questo ho capito di cosa stesse parlando quando me l’ha descritto.»

«Per caso, si ricorda alcuni di quei simboli?»

«Purtroppo no. Mi dispiace.»

 

 

Ore dopo, Sam e Remi furono finalmente di ritorno nella loro camera d’albergo, esausti. Fianco a fianco sul letto, fissarono il soffitto. Remi si protese verso Sam, stringendogli una mano. «Non riesco a credere che ci sia sfuggito per così poco.»

«Ci abbiamo provato, ma non è bastato.»

«Com’è possibile che quell’uomo sia sempre un passo avanti a noi?»

Bella domanda, pensò Sam. Avevano bloccato la falla. Archer aveva assicurato che Bree non contattava sua cugina da quando avevano avuto la conferma che la fonte delle informazioni era lei. Eppure, ogni volta che compivano un passo, gli altri li anticipavano sempre. «Avevano diversi giorni di vantaggio.»

«Chissà che Selma non abbia novità per noi.»

«Vuoi chiamarla tu o preferisci che lo faccia io?»

Siccome Remi non rispose, Sam la guardò. Si era addormentata. La osservò per un momento, ripensando agli eventi e alle emozioni di quella sera. Sapeva che non era mai stata intenzione di Fisk lasciarli uscire di lì e, anche se Sam non avrebbe certo mollato e non sarebbe morto senza vendere cara la pelle, gli era bastato sapere che Remi era fuori e in salvo. Almeno, finché Ivan non l’aveva trascinata in quella stanza.

La sua deliziosa moglie aveva rischiato la vita per salvarlo. E, nel frattempo, aveva avuto l’intelligenza di mettere le mani su un’arma.

Ascoltò i suoi respiri regolari, mentre dormiva accanto a lui. Sorrise nel buio, pensando a come avesse insistito perché potesse infilarsi le scarpe.

«Grande trovata, Remi», sussurrò.

Lei si mosse leggermente, senza svegliarsi.

Sam fu svegliato dagli squilli del telefono. Aprì gli occhi, sorpreso di veder filtrare il sole dalla finestra, mentre il cervello annebbiato tentava di ricordare dove si trovassero. In albergo, capì, mentre Remi cercava il cellulare alla cieca e se lo portava all’orecchio. «Pronto...? Un attimo... Cosa?»

«Chi è?» chiese Sam.

«La signorina Walsh.» Si alzò su un gomito, in ascolto, e poi si rivolse a Sam. «Sa dove trovare quel cerchio con i simboli.»