La milanese, questa sconosciuta
Ogni persona è un mistero, ma la milanese è un mistero più grande di altri. Ci sono dettagli, impercettibili eppure fondamentali, come quando si tenta di distinguere l’originale da un’imitazione, che la rendono inarrivabile. Anticipatrice e mai scontata, è la Lady Macbeth dello stile: per raggiungere l’apice dell’unicità spinge stilisti e creativi a spiccare nuovi voli pindarici e produrre spunti rocamboleschi, con l’obiettivo di costruire un’immagine che non può essere seconda a nessuna.
Non occorre essere nata a Parigi per avere lo stile di una parigina, scriveva dieci anni fa Inès de la Fressange. Allo stesso modo non occorre essere nate a Milano per essere milanesi. C’è un po’ di lei in ogni donna, pronta a sbocciare come una peonia (il suo fiore preferito) se trapiantata nel terreno fertile di Milano. Ma proprio come la peonia, la trasformazione in milanese richiede attenzione costante e duro lavoro.
Mai compiutamente felice ma mai scompostamente infelice, incapace di una risata grassa, ma anche di un pianto disperato: la milanese porta quasi sempre gli occhiali da sole, anche negli ambienti chiusi, perché vuole dominare gli altri e sa che il mistero è un ingrediente essenziale del fascino. Più che di Anna Wintour è il corrispettivo femminile di Enzo Ferrari, che diceva di indossare le lenti scure per non far leggere le intuizioni che gli scorrevano negli occhi. Spesso accampa scuse come «congiuntivite», «allergia» o «notte in bianco». L’aspirante milanese cerca di seguirla anche su questa strada ma alla fine anziché sorridere si ritrova a ridere, invece di parlare il giusto parla troppo. E rivela ancor di più il suo non essere milanese.
Non c’è niente da fare: milanese, di preferenza, si nasce. Però, almeno in qualche misura, lo si può anche diventare. O si può capire che lo siamo già tutte, almeno un po’.