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Orticola e Theodora

Orticola è un rito culturale e insieme sociale della milanese. La locandina «Mostra mercato di fiori, piante e frutti insoliti, rari e antichi» racchiude da sola tutto un mondo che si materializza, dal 1996, a Milano a metà primavera. Inventata dalla paesaggista (milanese) Francesca Marzotto Coatorta è gemmata dall’associazione Orticola di Lombardia, antica e blasonata congrega (nata nel 1865) che raggruppa ottocento iscritti e ammette solo appassionati di botanica se presentati da un altro membro. Girano leggende su una signora milanese caduta in depressione per essere stata bocciata all’esame di ammissione al circolo, avendo definito una peonia «un grosso ranuncolo». La mostra tradizionalmente si svolge nel secondo weekend di maggio ai Giardini Pubblici Montanelli – il parco più milanese che c’è – ed è un momento imprescindibile. Per esserci si rimandano weekend in campagna e persino appuntamenti galanti. Per l’inaugurazione vengono spediti all’incirca tremila inviti tra socialite, giornalisti, pollici verdi e nomi di spicco della high society: il cartoncino d’invito porta l’indicazione di un colore che guiderà il dress code della serata.

Detto la Ascot delle milanesi, l’appuntamento è certamente botanico, ma anche mondano: il clou si raggiunge la sera della inaugurazione del giovedì, alla quale ci si prepara settimane prima, acquistando o addirittura realizzando a mano il cappello più scenografico. La tradizione è telefonarsi e anche incontrarsi per aggiornamenti sulla manifattura: il cappello va adornato di fiori freschi quindi la preparazione è una piccola maratona che si consuma nei due giorni antecedenti all’inaugurazione.

La milanese non si accontenta di un cappello qualsiasi: per Orticola rinuncia al beige e si sbilancia con fucsia, turchese e giallo. Qualcuna ricorre all’aiuto anche di paesaggisti di grido e creatori di allestimenti floreali come Giuliano & Ruben, per confezionare cappelli-installazione assemblati a colpi di colla millechiodi, reticolati e impalcature: memorabili i pappagalli appollaiati su diversi falsipiani in capo alla socialite e dama meneghina Donata Berger. «Fare scena» è la frase d’ordine della milanese che per una volta rinuncia al suo proverbiale understatement mentre varca l’ingresso di Orticola schiacciata dal peso della serra ambulante che trasporta.

Non può mancare l’Instagram husband (vedi il capitolo «Il milanese») che controvoglia scatta foto da postare sui social in piano americano. Sulla scia di questo vezzo esiste su Instagram e Facebook la pagina «Faces of Orticola», ideata da Stefano Trovati, il paparazzo che conosce uno a uno i nomi della Milano mondana e li richiama con garbo allo scatto del suo flash: le milanesi, soprattutto le più giovani, ovviamente ambiscono a esserci, anche se davanti all’obiettivo fingono ritrosia.

Rose, peonie e mani di Buddha

Ma Orticola in fondo è la festa di primavera di tutta la famiglia: dopo i rigori dell’inverno lombardo, all’appuntamento non mancano figli, cani e neppure i mariti, spesso importanti professionisti o imprenditori, che trasformano la tuba del matrimonio in un vaso da dove spuntano mazzolini. Il divertimento è immedesimarsi: sfilano gonnellone fiorite, stivali in gomma stile festival di Coachella, cestini di vimini di famiglia rinfrescati da nastri e fiori di campo. Qui, più che altrove, come in un remake de La Carica dei 101, si svela la somiglianza tra i cani e i loro padroni: tra vasetti di lavande, camelie sasanqua e piante di mani di Buddha si incrociano eleganti signori dal look parecchio pensato con un levriero afgano al guinzaglio. O la signora riccia con il suo Lagotto romagnolo (riccio).

Ma soprattutto a Orticola escono allo scoperto le passioni floreali della milanese: le rose anzitutto, tallonate dalle peonie. La curiosità verso frutti come le mele Decio, amate dall’omonimo imperatore romano, le lentigginose pere Curato e le fragole antiche è effimera: prevale quasi sempre la devozione verso i roseti, che rimandano a vecchie villeggiature di famiglia sul lago. I gusti sono molteplici: la milanese innesta nel suo terrazzo la rosa variegata, quella inglese Austin, la Leonida e la banksiae: ma quando si tratta di inviare o ricevere fiori recisi la sua preferenza cade sulla peonia. Ai Giardini Montanelli ci sono i consigli su come trattarle «perché son belle ma appena le tocchi le rovini» e qui hanno debuttato vere reginette di bellezza come l’aristocratica Paeonia «P.V. Wagenaar», medaglia d’oro dell’American Peony Society e Peonia dell’anno 2019.

L’habitué di Orticola si riconosce dai dettagli: si muove nel labirinto dei giardini con scioltezza, preceduta dalla tipica carriola dove trasporta nuovi bulbi da interrare. In caso di necessità (e se l’acquisto è importante e imponente) viene scortata dagli «Orticola Boys & Girls», identificabili dal grembiulone ecru (poteva essere di un colore diverso?). Tra le novità che affascinano la milanese ci sono gli arredi insoliti per il balcone (anche il più minuscolo è curato e venerato come un angolo di paradiso) o il giardino in campagna: in grande ascesa ci sono le sedie Adirondack ridipinte o i separé filo di ferro di recupero intrecciato, antica forma artigianale della Slovacchia settentrionale importata a Milano solo dopo una certificazione antitetano.

Vezzi e vizi verdi

Milano è la città con meno verde d’Italia ma dove esistono più giardinieri, floricolture e paesaggisti che altrove. Le milanesi si sono entusiasmate per intuizioni come il mur végétal di Patrick Blanc, la parete verde del Caffè Trussardi in piazza Scala. E nonostante la predilezione per i palazzi Liberty (vedi il capitolo «Brera o NoLo? La milanese cerca casa») non possono fare a meno di riconoscere la «leggerezza» del Bosco verticale, il grattacielo fronzuto progettato da Stefano Boeri. Loro non ci abiterebbero (fa troppo «Milano new way»), ma lo ammirano e ne tessono le lodi quando incontrano gli amici stranieri.

Grazie a questa passione per la botanica in cattività, a Milano sono nati dei veri e propri fenomeni socio-culturali come il flower design, di cui Vincenzo D’Ascanio è l’esponente di spicco. A lui vengono commissionati i decori per battesimi (talvolta ispirati al Piccolo Principe) ed è sempre lui che con gli addobbi natalizi trasforma gli hotel di lusso del Quadrilatero in chalet urbani, tra lucine bianche e fiori del cotone. Anche i fiorai più tradizionali non sono mai scontati: le minimaliste scelgono Armani Fiori, le filoparigine Au Nom de La Rose (la rosa a Milano è sempre la rosa), le stravaganti Teak Flower Design, le «apprendiste» vanno da Domitilla Baldeschi, che a Natale impacchetta bulbi da regalare e tutto l’anno organizza corsi su come intrecciare ghirlande, come inumidire la spugna e infilarci i fiori, oltre a curiosi tutorial sulla composizione del pane nel cestino e la disposizione di verdure e fiori a centrotavola.

La milanese a Natale, quando deve ricevere gli amici, si intristisce se il terrazzo è spoglio: al giardiniere chiede fiori e piante che fioriranno rigogliose proprio nel cuore dell’inverno. Qualcuna usa il trucco di usare, qua e là, qualche fiore finto (chi l’ha detto, in fondo, che i fiori di seta sono da interni?). L’idea di circondarsi di profumi e colori anche quando la natura dovrebbe addormentarsi esalta la sciura: la vivaista Susanna Magistretti pianta nel suo terrazzo fiori che provengono dall’Himalaya. Sul terrazzo della milanese abbondano amarene e fichi nani che non temono il freddo ma anche il Calicantus, regalo di Natale amatissimo perché di buon auspicio. Lei conosce i nomi originali di tutte le piante: adora il Prunus Subhirtella perché i fiori «si attaccano ai rami come mille farfalle».

L’effimero e l’eterno

Lavoratrice e concreta la milanese non cede però mai totalmente all’effimero: tutto deve essere ammantato dalla tradizione e dalla giusta causa. Quando acquista il biglietto d’ingresso a Orticola sa che finanzia il mantenimento del verde cittadino, i Giardini Pubblici Indro Montanelli (cuore pulsante della socialità green di Milano), lo storico e romantico Giardino Perego e da poco gli orti fioriti di Citylife, ispirati a un hortus conclusus dove all’ombra dei grattacieli crescono salvia, patate e zucchine a disposizione della comunità.

Per la milanese doc portare avanti la tradizione di famiglia è un must: il vezzo tra le affezionate della mostra mercato è ricordarsi di quando ci andavano da piccole, le bancarelle erano solo sedici «mica le sessanta di oggi» e il giardiniere di famiglia si spostava da Angera e Bellagio per consigliare le mamme negli acquisti. Ma soprattutto per la milanese è importante accompagnare ogni occasione con un momento educativo e di crescita: oltre all’acquisto di piante e bulbi si butta con entusiasmo sui laboratori che Orticola propone, come la preparazione di centrotavola ecologici, il corso sulla potatura, la tintura naturale dei tessuti, o sulle piante «litigiose» che non devono essere interrate una accanto all’altra, pena la morte di una delle due.

Anche i milanesini vogliono la loro parte di svago e per loro ci sono i laboratori sui semi e Orticola Young (da 0 a 29 anni): con una cifra simbolica diventano soci e vengono iniziati a feste di Natale, visite a mostre e presentazioni. Il picco si raggiunge la sera dell’inaugurazione quando i giovani soci possono invitare mille ospiti (solo in modo telematico e con la formula del QRcode, ammiratissima dai genitori); a fare gli onori di casa sono jeunes filles milanesi che mandano e-mail, accolgono gli ospiti vestite con abiti ad hoc creati da stiliste non casuali come Luisa Beccaria e J.J. Martin. Hanno un buffet a loro dedicato e al termine di saluti di rito, interventi delle autorità e adminicula simili, chiudono i cancelli e accendono la musica: quando la nonna va a casa, la nipote balla.

Tovaglie mondane

La milanese è una donna impegnata per definizione. Non solo lavorativamente: ha sempre una causa che sposa con passione e che riesce come nessun’altra a condire di savoir faire. In primavera, l’altro grande evento che tira fuori il cuore e il presenzialismo della milanese è il picnic benefico di Theodora Onlus nei giardini di Villa Reale. L’idea è nata da tre milanesi con sei cognomi, Giovanna Ferrero Ventimiglia, Lucrezia Borromeo Arese e Emanuela Basso Petrino: da una scampagnata tra cinquanta amici con quattro ombrelloni piantati sul verde spettinato di Villa Belgioioso si è trasformata in un evento da mille persone.

Da qualche anno la giornata di raccolta fondi per aiutare con attività di svago i piccoli pazienti oncologici viene organizzata anche a Roma, nel quartiere Parioli, e a Torino, in location diverse tra cui l’Allianz Stadium. Ma Milano è Milano ed è qui che il déjeuner sur l’herbe raggiunge la sua vetta: nel weekend successivo a Orticola la milanese, terminato il rush botanico, è di nuovo in zona Palestro per portare i bambini al picnic di Theodora. La Milano del fare incrocia quella dell’esserci: le mamme cominciano a controllare il meteo dieci giorni prima. Pioverà o ci sarà il sole? La spada di Damocle incombe, ma intanto si scaldano i motori.

Se in un evento charity classico c’è la mise en place dei tavoli, al picnic di Theodora ci sono le tovaglie e i plaid da organizzare: la milanese telefona alle amiche per condividere lo stesso scampolo di tessuto. «Apparecchiamo le tovaglie vicine?» oppure «Mettiamo il plaid sotto l’albero accanto al laghetto, proprio come lo scorso anno?»

Tutto avviene grazie al passaparola, un marziano che dovesse scendere da un’astronave non troverebbe mai né un cartello né un pop-up su Internet con la pubblicità del picnic e la milanese in fondo si bea di questa dimensione in stile primula rossa. La partecipazione prevede l’acquisto di un cestino che include tovaglia a quadrettoni, panini farciti da bar del Quadrilatero e succhi di frutta bio: il panierino dà anche diritto a partecipare a sessioni di yoga per mamme e bambini, giochi con soldatini, babydance, rubapalla e il lancio finale di palloncini all’elio, per raggiungere metaforicamente i bambini più sfortunati o, più probabilmente, lo stomaco di un cetaceo spiaggiato. Tra i credo incrollabili della milanese c’è quello del give back, il restituire quello che si è avuto, e il picnic Theodora è una delle occasioni per praticare questa religione.

Il côté della giornata oscilla tra una Woodstock dei bambini e un garden party all’inglese: c’è l’apecar con i gelati, il chiosco del caffè espresso e persino la bancarella di calzini Gallo adorati dai milanesi, particolarmente apprezzata dai single che, strano ma vero, ogni anno si fanno vivi (pur senza prole) per stravaccarsi sull’erba con un panino e un caffè e forse adocchiare al contempo una possibile preda in aria di divorzio. Alla fine tutti escono scottati (se c’era il sole), fradici (se ha piovuto), ma sempre felici e con la immancabile domanda che trasforma anche gli adulti in bambini: «L’anno prossimo lo rifacciamo?».