La giovane milanese: diciottesimi e dintorni
La milanese diciottenne ha in sé, già da ameno tre anni, tutte la caratteristiche della prom queen. La traduzione (riduttiva) è «reginetta del ballo», ma in realtà si tratta di giovani donne che emergono per ambizione, bellezza, disinvoltura, carisma e q.b. di protagonismo. Tutto questo si rende evidente allo scoccare del diciottesimo anno, quando la milanese teenager festeggia la raggiunta maggiore età con un party che ha (non tanto) vaghe somiglianze con il Wiener Opernball, il ballo delle debuttanti di Vienna, ma con massicce aggiunte di Bob Sinclair e gintonic. In genere il momento è preceduto dal «prediciottesimo», che è un docufilm o semplicemente un servizio fotografico che sarà mostrato nel corso della festa. La stessa milanese ripeterà il copione per il compimento dei sessant’anni, di solito ai Bagni Alcione o Annetta di Forte dei Marmi, con un party a sorpresa organizzato dal marito (che spesso non coincide con il padre naturale della diciottenne): la jeune fille è del resto un’anteprima di quella adulta che farà parte di un board oppure sarà una stylist alla Erin Walsh, l’artefice del look di Sarah Jessica Parker.
Il diciottesimo è un momento topico perché si ribaltano le categorie: anche il compagno di classe geek (un mago dell’informatica in stile Mark Zuckerberg, in odore da hikikomori), vestito in smoking, può essere visto sotto una nuova luce. Il maschio milanese oscilla tra il modello «nabbo» (un non esperto, cioè sfigato) o un «pro», che invece significa (soprattutto nel linguaggio gaming del vidoegioco Fortnite) esperto/vincente = figo. Accanto al figo non manca il neo-fighetta, figlio di quel pater familias che negli anni Ottanta indossava il blazer blu: il diciottenne milanese con questo background si riconosce da pantaloni in stile Signor Bonaventura, camicie sartoriali cifrate sul polso (il papà si faceva cucire le iniziali a lato, tra il quinto e il sesto bottone) e dall’orologio vintage, regalato appunto al diciottesimo.
Il diciottesimo della milanese
Il party dei diciotto anni prevede regole abbastanza rigide: abiti lunghi e mediamente sontuosi per le ragazze, smoking per i ragazzi, ma con un tocco dégagé per evitare l’effetto pinguino. Se una volta l’acquisto dell’abito da debuttante era una cosa serissima, ora è tutto più easy. La milanese ama semplificare, asciugare, razionalizzare: così ha accolto con entusiasmo «Please don’t buy» la linea di abiti a noleggio di Twinset che scopiazzano modelli sempiterni del ballo jet set, come il Travolta dress indossato da Lady Diana quando piroettò con Tony Manero/John Travolta alla Casa Bianca. Tra i modelli lunghi c’è anche l’abito in stile Grande Gatsby e quello con strascico da red carpet: in questo caso si tiene d’occhio l’uscita della nuova capsule collection H&M realizzata da uno stilista solitamente carissimo e ci si accampa per ore fuori dal megastore di piazza Duomo. L’obiettivo è essere tra le prime a entrare per comperare la limited edition di quel genere assai diffuso conosciuto come «mi piace, lo prendo, ma non so quando me lo metterò». Ma Milan l’è on gran Milan e può succedere anche che qualche «deb» – debuttante – comperi l’abito di madame Schiap (Elsa Schiaparelli) o un Dior, che poi verrà tenuto in una teca come il vestito da sposa di Grace Kelly al Philadelphia Museum of Art. Le più agguerrite fanno recapitare l’invito a casa dal corriere contenuto in una chiavetta usb o su dvd: la competizione a Milano è un po’ come il prezzemolo, la trovi dappertutto.
La scelta della location è già uno spartiacque: la differenza tra una festa al Circolo filologico di via Clerici e una all’Hollywood di Corso Como è evidente da alcuni macro dettagli. Ma alla fine ogni diciottesimo segue il principio di Anna Karenina, tutte le feste felici si assomigliano fra loro, ogni festa infelice è infelice a modo suo. C’è infatti un copione non codificato del diciottesimo che prevede dj set, open bar e buffet (a Milano si dice finger food). In alcuni casi c’è il servizio «limo», ovvero il noleggio con tanto di conducente di una limousine – preferibilmente rosa pink panther, con tv, telefono e maniglie ricoperte di Swarovski –, dove consumare l’aperitivo con un gruppo ristretto di amiche. Alcune agenzie specializzate in organizzazione di eventi ammettono di non proporre più l’opzione, per una serie di motivi che hanno tutti a che fare con l’autista. I più ricorrenti sono, in ordine di frequenza: 1) lo chaffeur viene dirottato dal gruppo di «terroriste» diciottenni in quartieri non mappati da dove la limo riemerge dopo un’ora, raggiungendo gli altri ospiti quando sono ormai ciucchi e alcuni addormentati; 2) lo stesso chaffeur arriva su di giri (la giovane milanese è anglofona e direbbe drunk), perché la festeggiata e le sue invitate, epigone di Paris Hilton, lo hanno convinto democraticamente a unirsi ai brindisi mentre giravano un video Tik Tok ispirato alle sorelle Kardashian.
Oltre agli inconvenienti della limo (in alcuni casi può essere anche un Hummer da sedici posti), possono verificarsi altri episodi che decretano l’insuccesso della festa. Per esempio, la giovane milanese sa che è cruciale la scelta del dj. Il più richiesto è il romano (ahi) Pietro Garbasso «perché se non parte la musica la festa è rovinata». Su suggerimento dei genitori più gaudenti viene previsto il karaoke e ingaggiata la cantante del Parioli, il ristorante romano (ri-ahi) in zona Repubblica dove la mamma milanese canta a squarciagola accanto al pianoforte fino a notte fonda. Tra le location più scenografiche ci sono lo Spazio Scalarini, il 10Watt e le Officine del Volo: in ribasso gli hotel di lusso «perché fanno anzianotto».
Non mancano le gigantesche feste nelle case di campagna che durano un weekend intero, dove si sforna la pizza e si ciondola a bordo piscina sulla falsariga di La La Land. Ma nonostante tutto questo impegno, sembra che i diciottesimi milanesi non siano ancora riusciti a raggiungere quelli romani (ancora ahi), dove gli invitati sono almeno quattrocento e la metà delle persone sono sconosciute al festeggiato, perché spesso si tratta di amici di mamma e papà. Rimane leggendario il diciottesimo ispirato a Jack Sparrow della principessina Sofia Odescalchi nel castello di Santa Marinella, tra invitati travestiti da corsari e arrembaggio finale alla torta.
Choker e dintorni
I diciottesimi delle mamme venivano festeggiati con la patente e la macchina (spesso una Mini Minor color verde inglese), le figlie invece hanno già da qualche anno la minicar elettrica e hanno la fissazione dello sharing. Non affittano solo gli abiti da sera: con la comunità vengono divise biciclette e monopattini elettrici, l’ultima frontiera della milanese. Nella città dell’ecopass e del PM10 fuori controllo, il mezzo di locomozione un tempo prediletto dai bambini è diventato più ammirato di una fuoriserie. Le ragazze lo usano volentieri perché non brucia carburante, ma calorie: secondo gli esperti, usandolo si impegna tutto il corpo senza sovraccaricare i muscoli ed è un tonificante. Se le mamme primeggiavano sulle pagine di street style in sella a una bici ma con i tacchi Prada, le figlie veleggiano su una pedana con due ruote e un paio di sneakers Off-White.
La giovane milanese si riconosce anche da alcuni dettagli del guardaroba: la borsina rock di Zadig & Voltaire, perché le mani devono essere libere, per ballare, rispondere al cellulare o fumare la sigaretta elettronica, la Iqos, diventata una specie di ciuccio tardivo sempre incollato alle labbra della milanese, che però maneggia con il savoir faire di una diva del muto. L’arrivo delle prime sigarette elettroniche per la verità ha generato qualche imbarazzo in società, per lo strano odore che accompagnava la fumatrice. Ma oggi è chiaro che il tanfo proviene dallo «svapo» della sigaretta.
Le milanesi in erba sono emancipate e avventuriere, proprio come le loro mamme: si gettano con entusiasmo nelle novità e abbracciano la diversità. La generazione Z è «gender fluid» e loro ne fanno una bandiera: per questo sono fanatiche di Urban Outfitters, dove anche i camerini sono gender neutral e rubano jeans e felpa al fratello. Le più avanzate hanno come icona di riferimento Shiloh, la figlia gender variant di Angelina Jolie e Brad Pitt, che si fa chiamare John. Per questo genere di giovane milanese, maschio o femmina in fondo non sono altro che gabbie culturali.
La ventenne di Milano si riconosce perché non appare mai sforzata e sguaiata: non le fanno mai male i piedi come alle inglesi, che a fine serata finiscono scalze e un po’ ciondolanti, non ha mai quel tono di voce sopra le righe delle newyorchesi. Il suo closet abbonda di capi casual ma cozy, un po’ avanti, come il maglioncino con i nomi dei giorni della settimana, i jeans Zara a vita alta e i tronchetti rock (anche con il tacco). D’estate indossa costumi sgambatissimi, ma è chic di natura e non rischia di essere paragonata a una bagnina di Malibù. Nessuna come lei indossa con tanta grazia un abitino di paillettes con i biker consunti o il vestitino di chiffon con la felpona o il maglione grosso: dall’armadio della mamma prende l’abito da sera che però abbina alle scarpe da ginnastica. I jeans sono solo stile «boyfriend»: d’inverno si portano con i texanini, d’estate con le friulane ViBi o un paio di espadrillas Manebì. Tra gli accessori ci sono gli anellini in oro spalmati su tutte le dita, raramente un piercing, spesso un braccialetto portafortuna riportato da un’amica che ha fatto vacanze in India: per i party di sera indossa un choker al collo o una fascetta sulla fronte per un’aria «native» (il prototipo in questo caso è Alice Etro). Questo genere di solito abbraccia con entusiasmo anche i look del Burning Man, la comunità finta hippy che si raduna a fine agosto nel deserto Black Rock del Nevada: capita così che indossi in pieno centro a Milano lunghe vestaglie, stivali sfrangiati e, in casi estremi, copricapi con le piume modello Toro Seduto.
Ma la giovane milanese non è tipo da afterhour o rave-party: trasgredisce quel che basta. La sua indole è salutista: ha gambe di solito lunghissime e un fisico da modella, che tiene allenato con lezioni di pilates. La si incontra facilmente da Barry Bootcamp, l’allenamento dei marines con musica stile Circo Loco di Ibiza: si perdono mille calorie a seduta e piace alla gente che piace. Non è un caso che il claim sia «Work hard and be nice with people». L’anima digital la porta a scaricare anche app per il workout fai da te a casa e durante la quarantena ha seguito gli allenamenti postati su Instagram dalla influencer Caroline Daur: l’evoluzione del Workout Book di Jane Fonda in scaldamuscoli, Bibbia delle mamme anni Ottanta.
La milanese al bivio: Oxford o Princeton?
La giovane milanese si avvista al liceo Berchet o al Beccaria: dopo la scuola internazionale la mamma spinge affinché «rientri» in Italia, «perché a Milano i licei pubblici sono eccellenti». Salvo poi «uscire» di nuovo per gli ultimi due anni delle superiori, questa volta però davvero all’estero, destinazione college inglese per l’IB, il baccalaureato internazionale «così i ragazzi tornano più maturi e con una mentalità più aperta». L’atterraggio sui lidi stranieri si prepara attraverso la consultazione di agenzie specializzate in studi all’estero come la Educonnection, che dopo uno screening completo del candidato esterofilo partorisce il nome del college perfetto. Di solito l’indirizzo da passaparola è il St. Clare’s di Oxford. Una eletta minoranza si avvantaggia per tempo: il milanesino/a già a otto anni può essere accompagnato/deportato dal performante papà nel college agli Hamptons (fatto realmente accaduto). Il piccolo collegiale viene lasciato lì per tutto agosto, mentre mamma e papà villeggiano a Martha’s Vineyard «così se dovesse succedere qualcosa siamo nei paraggi». Al ritorno, prima di ripartire per l’Italia, la famiglia trascorre una giornata al mare a Sagaponack, il villaggio più costoso di tutta la East Coast, mentre il piccolo deportato sogna una partita di calcetto sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro.
La giovane milanese che segue tutto l’iter delle scuole internazionali in Italia si riconosce per un’aria più da college: si iscrive a sport come calcio femminile e basket e ha un profilo Instagram dove commenta le foto postate dalle amiche con espressioni come «damn! You are gorgeous» o «cutie». Una volta all’università, verso aprile parte per lo Spring break, la pausa etilica di primavera che dura all’incirca una settimana e si svolge in luoghi ameni come Miami, Cabo San Lucas e Caraibi. Divisa tra un futuro nella City o in Italia, vola a seconda delle inclinazioni al Mit o ad Harvard, ma l’Università Bocconi rimane un evergreen «perché è un brand del made in Italy». Di solito queste future breadwinner (ovvero donne destinate ad avere uno stipendio più alto del marito) andranno a popolare gli studi legali milanesi, nel quale porteranno il tocco glamour delle scarpe di Sergio Rossi indossate per un closing.
Sempre più avanti, in fatto di gusto, rispetto al resto dell’umanità, accade spesso che la giovane milanese si iscriva alla Marangoni o allo Ied, le scuole di moda e design più quotate della città, per diventare una fashion editor o una stylist. Nel frattempo scalda i motori facendo la venditrice negli showroom, lavoro assai diffuso tra le giovani milanesi, «perché si lavora solo in alcuni periodi e si guadagna bene» (vedi il capitolo «La milanese e il lavoro»). Tramontato il mito dei mestieri affascinanti del passato, come diventare prima ballerina della Scala (meglio il palo della lap dance come JLo), la più tradizionale di tanto in tanto, come già detto, appare con la mamma a teatro, che generalmente è abbonata e ci va il mercoledì.
Tra gli «sport» in disuso c’è anche la classica caccia al buon partito. La giovane milanese, indomita e in lotta per la parità, non sogna di sposare un principe, al massimo ammira il giovane Duca di Westminster Hugh Grosvenor, che ha donato 12 milioni di sterline al sistema sanitario britannico durante il Coronavirus. Le mamme della rive gauche milanese crescono le figlie con favole intelligenti come Storie della buonanotte per bambine ribelli, in cui le principesse portano i pantaloni e desiderano ben altro che baciare rospi (cosa che poi avverrà comunque nella realtà). Cittadina del mondo fin dalla tenera età, la milanese fa un corso di regia a Los Angeles o di New Economy nella Silicon Valley, dove pullulano giovani milionari in Crocs e canottiera. Ma più banalmente finirà per innamorarsi del rampante collega di stanza conosciuto nella banca d’affari a Canary Wharf. Le più anticonformiste sognano di fidanzarsi con youtuber e trapper: dopo che sono passati da RozzAngeles (Rozzano, periferia sud di Milano) al Bosco Verticale, la nobile milanese «favorisce i sentimenti». In ogni caso, per lei non c’è nulla di più noioso del principe che cerca moglie. Gli «scapolari» anni Novanta con la classifica dei maschi da impalmare sono da provinciali: a Milano ci si conosce tutti.
Poco Instagram, siamo milanesi
Cresciuta con la regola ambrosiana del «si fa ma non si dice» da mamme presidenti di onlus, orti urbani e mercatini del riciclo, da piccola la giovane milanese riceve in dono come gioco una Pigotta Unicef, da grande serve il pranzo di Natale all’Opera di San Francesco e fa pacchetti al mercatino solidale Fondaco: ma la nuova frontiera della beneficenza millennials sono i crowdfunding per raccogliere fondi per il Coronavirus.
Sia nella beneficenza, sia nella quotidiana mondanità, la giovane milanese è di spirito calvinista-meneghino: non perde tempo e stila una to do list che la porta a marciare come un treno Maglev. Durante la settimana si concede al massimo un aperitivo «per riposare la mente dopo una giornata sui libri»: il sabato è il giorno libero di uscita. La ventenne milanese è un po’ come l’orso bruno marsicano: non la si avvista ovunque, ma solo in determinati luoghi e in determinati orari. Il punto di ritrovo d’elezione è il bar, come il LùBar di via Palestro, ritrovo chic siculo-milanese dei fratelli Bonaccorsi: il trionfo degli avocado toast, arancini (mignon) e panelle. Il simbolo è il fenicottero, come quello che si incontra all’Oasi di Vendicari dove la famiglia ha una beach house e ha iniziato il business con un apecar gourmet, ora assai richiesto per un tocco di street food agli eventi milanesi. Altri indirizzi dove trovare la giovane milanese: il bar Leonardo in via Vincenzo Monti (un classico), il bar Tommasi a due passi dal Cenacolo Vinciano e il Jamaica a Brera (altro classico), in zona Sant’Ambrogio il B cafè e la terrazza dell’Hotel Santa Marta. Per la cena la parola chiave è «easy», ovvero la predilezione è per posti che non impegnano né papille gustative, né look, né portafogli, come Le Drogherie Milanesi, Take Away e Biancolatte. Dopocena la milanese si aggira al Volt di via Molino delle Armi o all’Apophis Club, dietro piazza Duomo, membership club sulla scia di quelli di Parigi e Londra, che ha fatto scuola con l’immancabile Annabel’s e il più di nicchia 5 Hertford Street.
La stessa filosofia è applicata in vacanza e durante i weekend a Sankt Moritz, dove la giovane milanese tra una sciata e l’altra si riposa all’Alpina, la baita dove prende un po’ di sole (mai troppo) e gioca a carte, una delle sue fissazioni, anche questa ereditata dalla mamma, che ogni settimana ha la serata burraco o di bridge con le amiche. Scesa dalle vette fa vita di hotel anche se ha casa da generazioni (di solito a Celerina): niente lusso esagerato, è disdicevole. Piuttosto alberghetti a tre stelle tipici come il Salastrains (c’è il plus della musica) o la pista di pattinaggio del Cresta Run, dove tra una piroetta e l’altra di nuovo si gioca a scopa o burraco. La seratina tranquilla prevede un’uscita al pub (il Bobby’s), per tavolate scatenate c’è La Baracca, il place to be è il Dracula. Ma il vero posto da insider è il Gasthaus Spinas in Val Bever, con la sala da bowling francese per partitelle amichevoli prima della fonduta. Riconoscere un tardo adolescente milanese in vacanza è facile, grazie all’uso di vocaboli e neologismi tipici «zio», «fra» e «bro» (tra i ragazzi) e «sbatti», «di base» («di base non mi piace sciare») e «nel senso». La parola «adoro», mutuata dall’ambiente della moda, è usata con moderazione: alla lunga innervosisce un po’.
Generalmente appassionata di fotografia la milanese ha una misurata passione verso social come Instagram, ma l’indole riservata e un po’ snob non la porta ad accumulare follower: ama influencer come Aimee Song o Gilda Ambrosio «che è molto cool, ha classe e i suoi look sono eclettici e mai banali». Saper abbinare gli abiti per la vera milanese è più importante di possederne in quantità. Facebook è da babbi, TikTok è da piccoli: l’ultima moda tra le più social è la «revirgination» del profilo Instagram. Siccome il primo account si apre già a tredici anni, a diciotto non ci si identifica più e si cancellano le foto vecchie… per rinfrescare l’insieme.