Lucio Dalla nel 1979 scriveva, parlando della città della milanese: «Milano sempre pronta al Natale, quando passa piange e ci rimane male». Forse è anche per questo che a Milano il Natale arriva prima che altrove.
Il conto alla rovescia comincia già nel mare di agosto, quando al primo soffio di maestrale la milanese pensa che le prossime vacanze saranno il 7 dicembre, a Sant’Ambrogio. Così, capita che a metà novembre cominci a inebriarsi di quella atmosfera che trasformerà la città nel perfetto bersaglio del Grinch. In Danimarca questo stato d’animo è chiamato «hygge», qualcosa che «non si scrive, si prova». Un sentimento fatto di teiere, camini accesi, coperte e scaffali di libri, che la milanese comincia a disporre in modo studiato due mesi prima del Natale. Ci sono dei segreti per creare l’atmosfera e a lei non ne sfugge uno: le candele accese anche di giorno, una spruzzata di fragranza per la casa all’ambra, cannella e muschio e il pouf poggiapiedi ricoperto di astrakan.
Se in passato il countdown iniziava proprio il giorno della festa del santo patrono, ora la milanese posta due mesi prima su Instagram la foto di un abete agghindato (l’hashtag #christmastree ha raggiunto lo scorso Natale quota 15,8 milioni). Quelli che anticipano l’addobbo mettono avanti i bambini e la gioia di prolungare la magia delle feste. Chi resiste e rispetta la tradizione deve fare i conti con la pressione social(e): in questo caso l’albero del vicino non solo è più verde, ma è già addobbato ed è nel frattempo diventato una star di Instagram.
La verità è che in ogni milanese si nasconde una scenografa con specializzazione in addobbi, capace di trasformare un appartamento in zona Ticinese nel Christmas Grotto di Harrods. Proprio nei grandi magazzini inglesi, la milanese acquista ninnoli da cinquanta sterline ciascuno che faranno la differenza tra il suo albero e quello delle amiche. Da ogni viaggio riporta una suggestione utile al suo Natale: il patinoire nel chiostro del Plaza Athénée di Parigi la ricongiunge all’infanzia felice, le fiaccole del Four Seasons Hualalai, a Big Island, le rallegrano il cuore e illumineranno il suo balcone delle feste. Ma a dare una decisa scaldata ai motori ci sono una serie di elementi – di origine non milanese e talvolta persino ignota – che hanno preso il sopravvento in città: il Thanksgiving e i Natalini.
Tra tacchini e Natalini
La milanese, già fervente addobbatrice, si è radicalizzata in seguito all’importazione di alcuni riti di provenienza anglosassone. Tra questi la festa del Ringraziamento, in cui negli Stati Uniti si manifesta gratitudine verso Dio per quanto ricevuto nell’anno ormai trascorso. Negli Usa cade il quarto giovedì di novembre e la milanese, che ha molte amiche expat e abbraccia con entusiasmo le tradizioni altrui, si mette a caccia di tacchini da farcire. La carambola milanese, quindi, parte dagli zombie di Halloween, arriva allo shopping del Black Friday e passa inevitabilmente per il ripieno del Thanksgiving (ogni anno c’è un aumento di vendite di tacchini in Italia, documentato da arrosti postati sui social). Autentico e ambito il banchetto organizzato da Kelly Russell Catella, imprenditrice di origini americane che insieme al marito Manfredi ha portato i grattacieli a Milano: ogni anno invita gli amici più stretti a un convivio a base di tacchini e patate dolci alla Fondazione Riccardo Catella, palazzina chic dei primi anni del Novecento, acquattata ai piedi del quartiere verticale di Porta Nuova. All’interno c’è il ristorante Ratanà, regno dello chef Cesare Battisti, di cui solo i veri milanesi conoscono l’etimologia del nome: el pret de Ratanà, ovvero il prete di Retenate. Giuseppe Gervasini è una figura mistica tipicamente milanese, molto venerata in Lombardia, benché non sia stato canonizzato dalla Chiesa cattolica. Anche nel culto la sciura è di nicchia.
Tra i place to be della milanese c’è il party dello stilista siciliano Alessandro Enriquez che ogni anno festeggia con un Thanksgiving all’italiana: tavole imbandite di tacchini ripieni infilzati di bandierine italiane e americane, assaggi di pasta alla palermitana e l’immancabile karaoke con musiche già nel mood natalizio come All I want for Christmas is you di Mariah Carey. Il Ringraziamento è di fatto già un Natalino, uno degli innumerevoli brindisi di auguri che si susseguono nel periodo antecedente al 25 dicembre.
A Milano, il Natalino cannibalizza il Natale: allo stress del rito dei doni si aggiunge quello dei party pre natalizi. La maratona di raduni inizia ogni anno con un po’ di anticipo: il primo save the date per il Natalino può essere recapitato a metà ottobre. La rincorsa al Natalino genera salti logici importanti, come le fette di panettone servite a ospiti in maniche corte e anche un po’ sudati per via dei 26 gradi esterni (fatto realmente accaduto). Ma nulla di strano: al Bagno Piero è ormai tradizione da più di quindici anni tagliare la prima fetta di panettone a Ferragosto: l’usanza è un vezzo degli chef milanesi habitué della Versilia, che vogliono sdoganare il dolce meneghino e farlo mangiare tutto l’anno.
Chi tardi arriva male alloggia e le agenzie di eventi si affannano nel battere la concorrenza sulla data del Natalino, che ovviamente ha sempre un tema e un dress code. La milanese come sappiamo non lascia nulla al caso: c’è una sola parola d’ordine per il suo Natale ed è «brillare». Gli accessori luccicanti sono il punto di svolta del look: un paio di orecchini, una fascia tra i capelli o una cintura con la fibbia luccicante e l’immancabile choker, in questo caso anche un semplice nastrino in velluto da annodare al collo.
Almeno a Natale, la milanese rinuncia al minimal per il glamour e si fa lei stessa promotrice di un Natalino a casa, che segue norme ben precise. Ha fatto propria la regola di Mark Francis Vandelli, uno dei socialite più instancabili del jet set internazionale: «Se vuoi avere il controllo sull’abbigliamento dei tuoi invitati, individua un tema». Il «la» dell’eleganza è dato dalla padrona (e dal padrone) di casa e comincia dai piedi: ogni milanese possiede un paio di house shoes che vanno dalle friulane alle babbucce in velluto con un cervo ricamato sopra. Le più organizzate le distribuiscono agli ospiti all’ingresso, un po’ come quando si sale in barca: una mossa che a volte era considerata antipatica (soprattutto dalle signore che amano i tacchi), ma oggi appare igienica e intelligente. Maestra dell’arte del ricevere, la milanese inorridisce all’idea di ammassare cappotti e pellicce nella camera degli ospiti, ma sistema all’ingresso di casa un appendiabiti acquistato il giorno prima da Ikea: in alcuni casi investe persino su una hostess.
Il periodo dei Natalini è l’unico nel quale la milanese contravviene al principio della «massa critica» formulata nel libro Come Sopravvivere alle cene mondane di Sven Ortoli e Michel Eltchaninoff, secondo il quale «gli invitati a una cena non devono essere meno di tre o più di nove». I Natalini infatti, a differenza delle normali cene, sono inclusivi. Meglio comunque essere in troppi che in pochi e soprattutto sono ammessi gli imbucati: fanno allegria perché sono quelli che alle feste vogliono esserci per davvero e portano sempre qualcosa di imprevedibile: il problema dell’assembramento viene risolto con l’affitto di stufe riscaldanti da esterno e lo spostamento degli ospiti in terrazza come se fosse tarda primavera. Tra le trovate della milanese c’è il mix&match degli ospiti, che la porta a mescolare qualcuno di vagamente colto con qualcuno un po’ folle, ottuagenari con teenager.
Il sabato precedente al Natale, la dama milanese Lucia Pascarelli invita decani della mondanità cittadina e yaps trentenni (young aspiring professionals) a cantare tutti insieme Rudolph the red nose reindeer, Twelve days of Christmas e altre carole natalizie, accompagnati da un pianista e un soprano. La serata richiede il lungo per le signore e lo smoking per i loro accompagnatori, ma non tutti i Natalini sono così formali. A volte si può accogliere (ed essere accolti) con un maglione natalizio in stile Bridget Jones: fa simpatia e scioglie subito le timidezze. Il decoro della tavola, che è già normalmente un vezzo della milanese, a Natale diventa pirotecnico. Nemica giurata del piatto usa e getta (anche per il suo credo plastic free), non abbandona però neanche per un attimo i suoi ospiti per caricare la lavastoviglie, gesto grossier e inospitale. Per «scaldare» la tavola usa le posate colorate di Nella Longari e palloncini a elio color oro tenuti fermi da palle di vetro soffiato: il tocco in più è il flash mob (ancora lui) che prevede la loro liberazione in cielo da parte degli ospiti. L’idea è quella di farli volare accompagnati da un desiderio, come se fosse una letterina di Babbo Natale.
A tradire la perfetta organizzazione della sciura è casomai l’ostinazione con cui ricerca l’atmosfera perfetta: per creare il mood natalizio tiene il camino acceso (anche se a Milano è vietato e fa un fumo bestiale), spara a tutto volume le musichette del Natale e si aggira molesta tra gli invitati suonando un campanellino.
L’albero della milanese
La milanese, un po’ snob e tradizionale, a Natale viene travolta dalle usanze americane: intorno al 20 di novembre segue con trasporto l’ingresso alla Casa Bianca dell’albero vincitore del National Christmas Tree Contest e prende spunti dall’addobbo scelto dalla First Lady di turno, anche se difficilmente ammetterà di essersi fatta influenzare da Melania Trump. L’icona di riferimento rimane la «Camelot» di Jackie Kennedy, con l’albero avvolto da un nastro blu e le decorazioni ispirate allo Schiaccianoci di Tchaikovsky. Superato il vecchio dualismo albero-presepe (la milanese fa entrambi) anche a Natale pensa all’ecologia: l’albero lo compra all’Ikea, perché è green e riciclabile, ma poi spende una fortuna per addobbarlo, anche se il tocco finale è un ramo di magnolia rubato in giardino. Se deve allestire il presepe, pianifica apposta un weekend a Napoli per comperare le statuine in gesso a San Gregorio Armeno. Ma in città va nel negozio milanese di articoli religiosi Trucella, conosciuto solo dalla milanese da sette generazioni.
La milanese «americanizzata» si aggira al Christmas Village di Ecliss (dove il punto di forza è il personal shopper) e ai mercatini natalizi per trovare il ninnolo speciale: piccole scatoline di cartapesta, cavallucci in legno, rami di cannella, fiocchi rossi fatti a mano, fruttini siciliani, giostre e carillon provenienti dall’America. Quando porta il bassotto a fare una passeggiata a Parco Sempione allunga un occhio anche agli «Oh bej! Oh bej!», la tradizionale fiera del Natale meneghino: di solito trova quel che le manca e quando proprio esagera riporta a casa le «firunatt», le castagne affumicate infilate a mo’ di collana.
C’è chi chiede lo shopping guidato per scegliere palline e strenne, e in alcuni casi l’assistenza a domicilio con esperti dell’addobbo, per «costruire una storia natalizia». Talvolta lo specialista arriva a casa della sciura quando l’albero è già bello e fatto, e può succedere che la convinca a disfarlo e rifarlo daccapo «perché non ha valorizzato per nulla le strenne» (fatto realmente accaduto). A New York si chiamano tree stylist, vere celebrità tra le celebrità: Bob Pranga e Debi Staron, attraverso l’agenzia Dr. Christmas, da vent’anni pontificano su quale ninnolo appendere.
Sobria e chic, la milanese ha abbracciato la moda degli alberi mono-tono e si è lasciata entusiasmare anche dall’albero Nero-Natale disegnato da Tom Ford per Gucci. Tra i colori più amati ci sono però i classici rosso, oro, argento. Le combinazioni ammirate dalle amiche sono quelle del total white, del pop e l’albero anni Settanta, tutto un glitter, una piuma e una farfalla. L’abete vero (tranne quello Ikea) non lo vuole più nessuna: la milanese «ravviva» gli alberi sintetici con resine speciali che riproducono l’albero vero e lo profuma con una spruzzata di fragranza di cipresso. La sua passione per l’albero di Natale è a 360 gradi: fa il giro degli alberghi di Milano a caccia di quello più maestoso e segue l’accensione dell’abete in piazza Duomo e quello con diecimila Swarovski in Galleria Vittorio Emanuele, al centro dell’Ottagono.
Se in altre città la single senza figli getta la spugna e rinuncia all’addobbo (in fondo il Natale è la festa dei bambini) la milanese è resiliente e chiede in Rinascente una versione slim dell’albero, quella che non occupa troppo spazio: è più versatile per le piccole case monofamiliari. Ma non si ferma all’albero e addobba ogni angolo dell’abitazione: la natalizzazione della casa è un vezzo tipico, che porta la sciura a infilare nei cassetti dei piccoli elfi e a noleggiare in capannoni brianzoli gli orsi giganti e Babbi Natale in slitta trainati da renne, da mettere sul terrazzo.
Il Natale allargato
Dopo le ferie d’agosto, il Natale è un altro momento in cui lo spirito organizzativo della milanese viene messo alla prova ed esaltato: la sciura al secondo e (talvolta) terzo matrimonio, fa salti mortali per festeggiare con la famiglia allargata. I saggi cantici di Jacopone da Todi, con moniti come «guardate da li parente», vengono dimenticati dalla pragmatica milanese che si mette a stilare un decalogo per ricompattare rapporti incrinati e festeggiare felici insieme a ex coniugi e congiunti contro i quali pochi mesi prima ha accanitamente tramato.
Il copione di Vittorio De Sica, che negli anni Cinquanta sdoppiava il suo Natale, prima a pranzo con la moglie Giuditta e la figlia Emy, poi a cena con Maria Mercader e i figli Manuel e Christian, per la milanese è «roba da gente con l’anello al naso». Lei è capace di far coesistere intorno alla stessa tavola ex mogli ed ex mariti, mogliastre e maritastri, figli naturali e acquisiti, con tutto il corollario di relativi parenti. Durante le feste comandate, la milanese sperimenta soluzioni di cohousing, seguendo alcune regole salvavita, prima tra tutte la durata contenuta del pranzo/cena e lo scartare i doni in privato, per evitare gaffe e imbarazzi. Anche il placement è importante: gli ex coniugi vanno seduti un po’ lontani per evitare il rischio rissa o inciucio. Vecchio e nuovo, invece si possono abbinare: l’ex marito e quello in carica spesso siedono uno di fronte all’altro e conversano simpaticamente.
Inventrice sopraffina di neologismi e frasi marketing, la milanese non parla di famiglia allargata ma di «nucleo ricomposto dall’amore» o «grumo affettivo». Uno slancio inclusivo che ha creato un altro fenomeno peculiare: il Natale in anticipo. Le lancette infatti a volte vengono spostate indietro di una settimana dalla stessa sciura. Quando per ragioni logistiche e familiari non riesce a far quadrare i conti e radunare tutti a tavola insieme il 25 dicembre, organizza un Natale in differita sette giorni prima, in un ristorante che le riserva una sala. In alcuni casi invita tutti a trascorrere un weekend prenatalizio in un resort nelle Langhe. La milanese ha mille risorse e porta con sé tutto l’occorrente per ricreare l’atmosfera: i pacchetti con i regali, i decori per la tavola, le lucine e ovviamente un albero di Natale, già bello addobbato da casa. Per nulla bigotta, ribalta anche le categorie del tradimento e soprattutto a Capodanno dimostra tutta la sua apertura mentale. La telefonata all’amante si fa prima o dopo mezzanotte? Il problema è risolto: ormai gli amanti milanesi partono insieme, con i rispettivi consorti.
Il regalo «cazzabubbolo»
La milanese ama stupire con l’originalità, non con il lusso. Per il regalo al marito/fidanzato/amante segue la annuale «holiday gift guide» che stila Mr Porter, la Bibbia del gentleman. Molto in voga i «toys for boys», quei capricci da bambini cresciuti, come un set da domino, le carte da bridge, il backgammon e un cucchiaino da caviale, ma anche un dentifricio alla menta, coriandolo e cocomero. Tra i giochi più impegnativi ci sono le sleepers Gucci con l’interno di pelliccia (perfette per l’uomo piacione), mentre al papà di suo figlio lancia un messaggio cifrato, regalando un costume da bagno coordinato (grande e baby): si scrive dono, si legge «partiamo»?
Di solito la milanese chiede un consiglio all’amico del cuore o al collega, che le ricorda come oltre al «cazzabubbolo» all’uomo piaccia ricevere qualcosa di tecnologia/pelletteria/orologeria. Tra i pensierini, la milanese mette sempre un paio di calzini (Gallo): anche lei, in fondo, ha un lato materno che la porta ad accudire il marito con l’alluce che spunta dal pedalino bucato.
Il regalo all’amica a volte viene trovato nel mercato solidale, come il Fondaco, in un ex opificio dei primi del Novecento o il Garabombo. Tra le fissazioni della milanese c’è l’oggetto «riveduto e corretto»: ha un vero batticuore quando si imbatte nella tazza Kintsugi, la tecnica giapponese per riparare tazze, posaceneri e tazze sbeccate con sottili giunte di pasta d’oro. Istrionica e annusatrice di novità, la milanese ama stupire con novità come i Birkenstock foderati con vecchi ritagli di visone, panettoni di nicchia come quelli della pasticceria Migliavacca nel quartiere Ortica o senza canditi (ma con ananas) della pasticceria Ranieri in Brera.
L’incarto per la milanese è tutto. Il pensiero può essere piccolo, ma l’involucro deve stupire e lasciare ammirati: alcune sciure, per assecondare questo tic delle amiche, ordinano dalla britannicissima Fortnum & Mason il Christmas Basket, un cestone in vimini «che potremo usare a primavera per un picnic».
Il Capodanno
La milanese, più di ogni altra, sa che ogni Capodanno ha delle regole. Ma lei, con il suo elegante snobismo, le rivisita, a partire dal dress code. Anche se per gioco regala un paio di slip scaramantici all’amica del cuore, raramente indossa la notte del 31 biancheria intima rossa (che rifugge anche per il tessuto spesso sintetico). Per ingraziarsi l’anno nuovo sceglie dall’armadio però un abito fiammante o si lega al polso un nastrino rosso. Indottrinata dal maestro di feng shui che le consiglia di colorare di rosso la porta di casa perché richiama prosperità, stupisce gli ospiti con riti non convenzionali.
Tra le usanze tradizionali abbracciate dalla milanese c’è il bacio sotto il vischio – pianta sempreverde – che fa sperare nella sopravvivenza dell’amore per l’anno venturo. Sotto sotto anche la milanese ha un cuore romantico, che però cerca di nascondere con la cultura spiegando che si tratta di un’usanza già presente nell’antica Roma, che poi abbiamo ceduto ai paesi del Nord Europa e ora è tornata in Italia. Come un’emigrante di successo.
La milanese è camaleontica e si adegua a usi e costumi del luogo in cui festeggia il nuovo anno. A Cortina riceve gli ospiti con il costume tradizionale ampezzano, al mare costringe il marito al «cimento», il tuffo in mare del primo gennaio «perché l’acqua purifica» (e talvolta causa congestioni). Se è in campagna mette il caffettano o l’abitone in velluto liscio e chiede agli ospiti di rilassarsi anche se è richiesto un minimo di eleganza: possono indossare un golfino, purché mai messo di giorno. Sempreverde il binomio «qualcosa di vecchio-qualcosa di nuovo»: l’abitino glitter low cost si abbina al gioiello di famiglia. E guidata dal motto less is more si libera volentieri di un vecchio oggetto per propiziare il nuovo anno.
Sul fronte cibo la milanese non si fa trovare impreparata: workaholic come poche non dimentica di seminare qua e là uva e lenticchie (peraltro proteiche), promessa di affari importanti e guadagni sicuri. Ma nel frattempo avanza lo spettro del cenone vegetariano: ormai il buffet di crudo di pesce è sempre più raro e la milanese coltiva in segreto il sogno di un cotechino di soia.