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Trucco e parrucco

Ogni città ha le sue bionde. A New York ci sono le «Bergdorf Blondes», quel genere un po’ Ivanka Trump che si incrocia(va) nel salone di Paul Barrett – ora chiuso – all’ultimo piano di Bergdorf Goodman. A Roma ci sono le «finte bionde» vanziniane. E anche Milano in fondo è bionda: non fosse altro perché qui è stato inventato lo shatush. La conoscenza del termine e della tecnica marca la differenza tra chi è milanese e chi non lo è: qualcosa di simile all’«inganno della cadrega» di Aldo, Giovanni e Giacomo. La risposta fa da spartiacque: chi risponde che si tratta di una sciarpa di lana pregiata tradisce origini forestiere. Raramente la sciura dirà di dover fare le mèches o i colpi di sole: quando chiama il parrucchiere prenota gli shatush. Non sono una semplice schiaritura, ma una fede, che mette la milanese al riparo da quell’effetto righina precisa, tanto salone di provincia. Lo shatush a Milano può essere sostituito solo dal «balayage», la schiaritura delle punte con effetto californiano. L’hair stylist la passa come se stesse spolverando con una scopetta. Balayer in francese significa proprio spazzare e infatti la milanese ha incoronato il parigino Gregory Eymieu in piazza San Babila come il re del «balayage». Per lo shatush invece c’è solo una tecnica riconosciuta ed è quella del «signor Aldo», ovvero Aldo Coppola, l’uomo che non ha inventato uno stile, ma una religione.

La milanese che affronta il tema colore parla di sombrero, flamingo, bahia: non sono ricordi di viaggi esotici, ma schiariture. Anche quando sceglie altre colorazioni che non siano il biondo, raramente usa i termini in voga nel resto d’Italia: il castano è un castagna o anche un cioccolato, un biondo scuro è un caramello o un sun kissed brunette. Dopo il Coronavirus ha scoperto la libertà della ricrescita e la bellezza della chioma alla Christine Lagarde, che ovviamente lei non definisce argentata ma «silver». La milanese vuole sentirsi sempre anticipatrice e un passo avanti alle altre: fanatica della piega e dei capelli in generale, ha fatto la fortuna dei parrucchieri. Raramente esplora nuovi generi intercettati su Instagram come Federico Fashion Style, sbarcato da Anzio a Milano, che tinge i capelli con la Nutella e usa i palloncini all’elio per sostenere le ciocche durante la schiaritura (giustificando così un conto altrettanto scenografico). Piccoli colpi di testa, più che di sole: la milanese in genere non tradisce e rimane fedele nei secoli dei secoli al suo ristretto circolo di parrucchieri di fiducia tranne che non ci sia lo spin off del suo stylist preferito che apre in proprio.

Si riconosce per strada grazie a un’onda curata, ma non impostata: è una teorica del «c’è ma non si vede» e dopo un’ora di phonatura chiede al suo parrucchiere di spettinarla e spazzolarla per smontare «l’impalcatura». I boccoli avvitati come un cavaturaccioli sono la cosa più temuta dalla milanese: l’onda scolpita dal parrucchiere deve essere «aperta» e «destrutturata» dal medesimo. Talvolta tutto si trasforma in un coup de théâtre e l’ignaro passante che transita per corso Garibaldi può incrociare Mauro Situra, hair stylist-icona della milanese, che dà gli ultimi tocchi sul marciapiede, secondo un concetto di street style applicato alla chioma. Raramente la milanese lava i capelli in casa, ma colleziona shampoo professionali, maschere ristrutturanti e ovviamente possiede un phon Dyson (marchio che colonizza la casa della milanese, dall’aspirapolvere all’asciugacapelli). Esigente come nessuna, ha il pregio di non tirarsi mai indietro quando c’è una novità da provare. Volumizza, stira, accorcia e poi di nuovo allunga. Passata l’ubriacatura dello sfilato, è tornata alla ricerca del taglio pieno «che fa volume e valorizza». A Milano il corto non è il taglio della «resa», quello che sancisce il passaggio dagli anni ruggenti a quelli sereni, ma un manifesto di libertà. La milanese applaude il movimento #NoMoreMelaniaHair e solidarizza con le star che si tagliano i capelli in segno di protesta verso la First Lady che si lascia trasportare per la manina dal marito «come un trolley». Ma qualche settimana dopo aver imitato le femministe di Hollywood chiede al parrucchiere di provare le extension, soprattutto se le uniche persone che le hanno fatto i complimenti sono state le amiche. Anche in questo caso vale la regola del «c’è ma non si vede»: la ciocca posticcia deve essere tagliata, schiarita, scalata e phonata per creare un effetto più naturale possibile. Stessa trafila per il bianco: il look «silver» richiede manutenzione e il sogno new age si infrange contro litri di shampoo dai pigmenti blu (che evitano l’ingiallimento).

La fissazione per l’effetto nature si riversa anche sugli uomini. Innaturali, cangianti, imbarazzanti, patetici: sono solo alcuni aggettivi che capita di intercettare nei cenacoli femminili quando si parla di capelli maschili colorati. La milanese nutre una vera ostilità per l’uomo con la tinta: elogia Obama e i suoi fili d’argento e denigra la tinta Schwarzkopf «orange head» di Donald Trump. Ma se il marito le chiede un aiuto per camuffare i bianchi, gli offre la sponda dello shampoo tonalizzante: la solidarietà della tinta è stata una delle prove d’amore durante il Coronavirus, con mariti impegnati a pennellare le mogli e (forse) viceversa. Poco mass market e assai di nicchia, la milanese non usa la lacca, ma il fissante: più che una protesta contro il buco nell’ozono, è una preferenza accordata alle più ricercate acque di mare, paste opache e olio alla camelia che trova da Mazzolari, la profumeria diventata un tempio.

L’estate viene vissuta dalla milanese come un periodo in cui saltano le coordinate della ricrescita e della piega. Previdente e organizzata, si avvia per tempo con trattamenti alla cheratina da Rubertelli, indirizzo di via Vincenzo Monti da vere autoctone, e quando è in vacanza a Porto Cervo whatsappa Madame Miranda. Anche in città, per non essere presa in contropiede e presentarsi a un appuntamento last minute con il crespo, prenota un brushing con la app di Styloo o Moovage, che la raggiungono anche in ufficio o in palestra. A proposito: sempre di corsa e con i minuti contati, massimizza i tempi e mette in coda all’allenamento anche il pranzo e la piega del parrucchiere dentro alla stessa palestra. La milanese un po’ rampante frequenta il Virgin di piazza Cavour non solo per il corso di pilates, ma per il pollo alla curcuma del ristorante e per la piega di Marco Cimino, lo stylist che acchiappa le clienti spettinate dopo l’allenamento. La strategia di business è la stessa del venditore di ombrelli quando inizia a piovere: qualcuno si ferma sempre.

La milanese non si accontenta, nell’attesa dello shatush, di sfogliare una rivista di moda: vuole essere lei stessa la moda e lanciare nuove tendenze. L’idea del concept – da lei molto amata – ha tracimato nei saloni dei parrucchieri, che per attrarre le volubili clienti hanno trasformato i loro negozi in bar, librerie e talvolta gallerie d’arte. Alla ricerca del diverso e affascinata dalla privacy, si vede sempre di meno nei negozi canonici, che la stressano per le attese e per il fatto di «dover salutare troppe persone»: la milanese pensa che passare troppe ore dal parrucchiere sia fuori moda. Ora fa la piega nella suite o nel loft dove è sola insieme al suo stylist Alessandro Gesuita, che ha distribuito le poltrone ispirandosi alla densità di popolazione della Groenlandia. Da sempre confidente e consigliere, in qualche caso il parrucchiere diventa proprio psicanalista: la sciura di casa a Parigi si stende sulla chaise longue di John Nollet al Park Hyatt, per uno shampoo sdraiata.

La milanese ha battuto sul tempo anche il distanziamento sociale richiesto dal virus: lei già da anni appare solo in luoghi sconosciuti ai più in sola compagnia del suo consulente di immagine. Le più internazionali vanno negli hotel dove ritrovano lo stesso salone di Rossano Ferretti provato a Shangai. Tra le particolarità della milanese c’è quella di mettere tra i capelli qualcosa che solitamente è detestato dagli uomini: lei li chiama «bijoux de tête», il fidanzato li definisce con l’intera frase «ma cosa è questa roba che ti sei messa in testa». Mollettine parlanti, piume, coroncine che producono l’effetto non voluto ma sempre in agguato «da dietro liceo, davanti museo»: in grande ascesa anche le fasce e i cerchietti, soprattutto quelli anni Sessanta in stile Prada, uno degli accessori meno donanti della storia ma che la milanese sa nobilitare con nonchalance. Durante la quarantena ha riscoperto il turbante e il foulard, qualcuna la parrucca: la milanese è camaleontica e in evoluzione, almeno una volta nella vita cambia identità con un toupet o una coda posticcia.

I milanesini allo specchio

Anche per i milanesini le pretese non sono minori: qualcuna approfitta ancora del due per uno, ovvero il taglio del bambino incluso in quello della mamma, ma perlopiù i figli della milanese già da piccoli rivendicano attenzioni su misura. Così, mentre la mamma fa lo shatush, il bambino si siede sulla poltrona di «Coppolino», tra animatrici, caramelle di confetteria, smaltini atossici e shampoo delicato.

Incontentabile come la mamma, il milanesino si abitua presto al capriccio del taglio a bordo di cabriolet rosa e aeroplanini: il vecchio momento della rasata a macchinetta degli anni Ottanta è diventato un mini evento. La piccola milanese, poi, ha in sé la verve di Little Miss Sunshine: si comincia già a sei anni con la piega «polvere di stelle», i phon a forma di papera e ciocche colorate in stile Mio Mini Pony. Poi arrivano rapidamente baby manicure e pedicure. Il listino baby a Milano ha lo stesso grado di diffusione del menu junior al ristorante, con pacchetti aspirazionali come «Ice Princess» che prevede le trecce di Elsa di Frozen o nel caso del fratellino «Dudes & Dads». La milanese è combattuta: da una parte vorrebbe crescere la figlia come Suni Agnelli con il vestito di organdis ricamato a roselline, dall’altro pensa che Katie Holmes, nota per aver (per)messo i «tacchetti» alla seienne Suri Cruise, sia una vera mamma contemporanea.

In fondo la stessa milanese è una bambina cresciuta, anzi una kidult, quel genere di donna che vuole apparire sempre un po’ bambina per sentirsi dire «per te il tempo non passa mai!». Non arriva agli eccessi delle Harajuku Girls, le ragazze giapponesi vestite tutte con gonne a balze e calze colorate, anche se ha avuto il suo momento Hello Kitty, con maglie e accessori della gattina della Sanrio. Non vuole dimostrare vent’anni in meno, la cifra giusta è sette e non è ben chiaro il motivo di questo posizionamento. La fissazione di queste milanesi è il braccio definito, che viene scolpito dal personal trainer con davanti il ritaglio della foto di Michelle Obama, per la sciura l’esempio vivente di tonicità dopo i cinquant’anni. Il risultato è che mamme adultescenti e figlie precoci si ritrovano in fila da Abercrombie e si scambiano felici il guardaroba: il corto circuito ha inoltre dato una nuova formulazione estetica a categorie ormai entrate nel lessico delle relazioni come il sugar daddy (uomo di una certa età che si accompagna a una ragazzina) la cougar (donna coguaro: una single aggressiva) e la milf («mamma con cui vorrei fare del sesso»: donna di una certa età ma eccitante) di cui Milano è la patria indiscussa.

In mezzo a tanto giovanilismo, le tweens (le preadolescenti) oscillano tra un sentimento di emulazione e di ribellione. Se alcune chiedono per il diciottesimo un ritocchino dal chirurgo della mamma, altre si trasformano in ideali concorrenti del reality «Mamma sei 2 much», in cui il contrappasso della genitrice trendy e rifatta è la figlia che per protesta non si depila le ascelle. Un po’ come Madonna e Lourdes Maria.

La crioterapia

La milanese non è mai troppo truccata: l’unico vero vezzo è passarsi compulsivamente sulle labbra un velo di burrocacao. Ma quando c’è da fare scena passa al setaccio tutorial sul contouring: fedele al suo stile minimal di qualità, ama i cosmetici di Giorgio Armani. Prima che pennelli e spugnette diventassero armi batteriche micidiali, uscita dall’ufficio si faceva dare un po’ di colore in viso proprio dai truccatori della Rinascente, che creavano un effetto straniante tra abito da lavoro e trucco lussurioso. Ma la scicchieria della milanese sta tutta in quell’aria smorta che ci tiene molto a preservare: il trucco, se c’è, deve essere invisibile. Il guru del momento è Pablo Ardizzone, le ha insegnato che non si può fare a meno del blush per vivacizzare le guance e togliere il «grigio Milano»: chic di natura, lei porta il rossetto rosso come nessuna, anche in pieno giorno e con le sneakers.

La depilazione è un tema che tiene banco e si arricchisce di indirizzi mirabolanti come l’insegna brasiliana che, su richiesta, disegna letterine. E più che le ciglia, alla milanese interessano le sopracciglia: è stata lei a lanciare in Italia la moda dei brow bar, dove il sopracciglio è considerato al pari di un organo vitale perché «apre lo sguardo». L’obiettivo a cui tendere è il sopracciglione di Charlotte Casiraghi: l’ala di gabbiano fa provinciale e l’incubo è il tatuaggio, soprattutto quando stinge e diventa verdognolo.

Una vera milanese si riconosce perché non ha l’ansia del coordinato, almeno in fatto di smalto: rosso o nero (le più rock) ai piedi, niente sulle mani. Per il profumo va all’Olfattorio o si fa realizzare una fragranza su misura dall’amico «naso» a Grasse. Anche in pieno inverno ha quel velo di abbronzatura che le permette di non usare fondotinta: la milanese dice che il sole invecchia, ma il trucco – dopo una certa età – ancora di più. La sua tintarella quindi è tutta un equilibrio sopra la follia: in spiaggia si riconosce per uno strato di crema solare Sfp 100, come quella dei neonati, ma da quando si è scoperta una carenza di vitamina D ha dimezzato la dose. A fine vacanza scende a patti con il Sfp 30, ma già da sotto l’ombrellone telefona al dottor Marco Bartolucci, mago del laser meneghino, per rimuovere le macchie e fare un peeling sbiancante una volta che tornerà in città. Il risultato finale è grossomodo simile a quello della piega: l’abbronzatura è super studiata ma deve far pensare a un bel colorito salutare e non a una vecchia lucertola.

A Milano non esiste l’acne: la milanese non ha mai un brufolo e anche su questo c’è mistero fitto. Lei spiega che cura la pelle senza mollare mai il colpo e fa un uso strategico di integratori prescritti dalla beauty guru Lucia Magnani, che propina capsule a base di alga wakame, cardo mariano e crisantello. Molte Ladies Who Lunch da qualche tempo danno forfait perché in pausa pranzo vanno a fare il trattamento. Veloce e ottimizzatrice dei tempi, infatti, la milanese tende a incastrare, comprimere, riunire: si va dalla mezz’ora di Cellfina, una nuova tecnologia contro la cellulite, ai venti minuti di Trainin20, che si può fare anche con il tailleur dell’ufficio. Il tempo è prezioso e se la mamma della milanese ha scoperto la sauna, lei ha reso celebre la crioterapia, il boiler a -170 gradi dove si infila per tre minuti come Cristiano Ronaldo. Le più esigenti vanno alla ricerca della crio sauna, una cabina identica alla sauna con la differenza che all’interno si congela. Da quando ha saputo che Donatella Versace ne ha una personale tutta nera, con i profili dorati, anche lei tartassa il marito per averla in casa.

Check-in e check-up

Le vacanze perfette delle altre iniziano con il check-in, quelle della milanese con il check-up. Con poco tempo a disposizione, si esalta all’idea di poter unire la vacanza alla remise en forme. Ci sono i centri benessere normali, e poi c’è Villa Paradiso, il posto del cuore della milanese, che si vanta di aver scoperto prima delle altre il detox. Per dare un tono più serioso alla sua passione per trattamenti e massaggi ha iniziato a parlare di medicina preventiva, diventando una pasdaran della settimana disintossicante. La crociata alle scorie è molto più di un soggiorno medico-estetico: è un rito sociale, che prevede periodi ben precisi dell’anno in cui affacciarsi sul lago di Garda. Vanno per la maggiore Capodanno «così dopo le abbuffate di Natale ci si depura» e primavera.

Per la milanese la forma è sostanza e l’idea di fare trattamenti medici in un ambiente non ospedaliero ma in una villa d’epoca specchiata sull’acqua le mette buonumore. La mattina ritira in reception il programma della giornata ed entra in un ingranaggio inarrestabile, che risputa fuori la sua preda solo al tramonto, con il trattamento di fine giornata. È durante questi soggiorni salutisti che ha delegato pieni poteri all’inositolo, «uno spazzino dell’organismo, che accelera la depurazione». La flebo di inositolo e le gocce centellinate sulla lingua sono il massimo per la milanese in ritiro purificante.

La lotta alla tossina impenna in vacanza ma prosegue anche in città. Salutista come nessuna, inizia ogni mattina con mezzo limone spremuto dentro ad acqua tiepida. Berne un bicchiere a digiuno è diventato un capriccio al quale non rinuncia in nessun posto al mondo, isole remote comprese: così può succedere che camerieri poco documentati fraintendano e portino un canarino digestivo (fatto realmente accaduto). La milanese si muove in bilico tra due parole: alcalino (amico del ph, dunque promosso) e acido (vietato, perché infiamma), senza perdere di vista il cleaning. «Pulito» è l’aggettivo di riferimento: lei mangia «pulito», non dimentica mai di «pulire» il viso la sera e se è «pulita dentro è bella fuori». Per raggiungere l’obiettivo accoglie nel suo mondo litri di tè verdi che la trasportano in un campo di fieno e si sottopone a marinature dentro vasche riempite di sali di Epsom drenanti. Divoratrice di insalata, perché cruda e dunque ricca di ossigeno, la ordina a inizio pasto: tra le fissazioni c’è il cavolo riccio, meglio noto in città come kale perché la milanese ammanta tutto di eleganza. Se deve trasgredire con la frittura usa solo olio di riso o di vinaccioli: mastica di continuo semi di lino a caccia di Omega 3, ignorando però che dovrebbe mangiarne a chili per avere un minimo risultato. Ma il vero trucco fai da te è l’acqua ionizzata e la milanese spiega a chi la guarda come E.T. che «in Giappone, anche nella casa più umile, c’è uno ionizzatore per l’acqua».

Quello che beve a volte è più importante di quello che mangia: ha fatto la fortuna di linee di centrifughe e grazie a lei sono impennate le vendite di estrattori. A casa di una vera milanese, all’ora dell’aperitivo, può capitare di vedersi offrire anziché un bicchiere di vino una centrifuga di cavolo nero, mela e sedano. Dopo aver ingurgitato litri di Babasucco, un nettare inventato da un milanese detto Baba – in indiano «colui che si prende cura degli altri» – è passata ai sei succhi Depuravita. La milanese inizia con quello «alcalinizzante» per lo stomaco e prosegue per tutta la settimana in un percorso di penitenza che la conduce al weekend, quando dà un giro di vite in qualche beauty farm, tra digiuni e idrocolonterapie, un vero must. Appena vede la pelle stanca o strani eczemi pensa che sia arrivato il momento di pulire le anse intestinali. Fa proselitismo tra le amiche, assicurando che «poi ci si sente più leggere».

La milanese sa che l’energia non è un concetto aleatorio, ma la base del suo benessere e per questo associa dieta e meditazione secondo il motto del dottor Buchinger che «quando il corpo digiuna, l’anima diventa affamata». Il digiuno intermittente è la sua nuova stella polare: un giorno di digiuno a settimana è il toccasana della milanese, che strategicamente lo fa la domenica sera, tanto dopo il brunch di mezzogiorno non ha neppure troppa fame. Ma anche l’astinenza dal cibo ha bisogno di riferimenti culturali alti: Henri Chenot è la sua guida spirituale nella lotta ai chili superflui e come ogni fedele, quando può, si reca di domenica alla casa del Padre, che è a un’ora da Milano, all’Albereta, dimora di campagna dove si vive in accappatoio e ci si nutre di porzioni minime.

La sua dieta calvinista a volte genera incomprensioni in famiglia: il marito, che ogni tanto sogna risotto e ossobuco, protesta. Quando è lei a cucinare prepara penne di farro con pesto di menta e mandorle e shirataki alla cantonese: zenzero e curcuma sono l’alfa e l’omega della sua alimentazione, teleguidata da guru-nutrizioniste come Sara Farnetti. La postura della milanese ai fornelli non è quella dell’angelo del focolare china sulla pentola mentre assaggia la sapidità del brodo: lei con una mano tiene il cellulare dove scorre la videoricetta e con l’altra schiaccia il tasto del Bimby.

Se Gwyneth Paltrow discuteva con Chris Martin per l’integralismo vegano imposto ai figli, a partire dal nome della femmina (Apple), la milanese non vuole rimanere indietro: in fondo è la versione italiana di una diva americana e infatti quando c’è da fare discorsi seri li condisce con l’inglese. Il concetto del cleanse dei bambini passa attraverso il rifiuto del junk: si oppone al cibo spazzatura avvicinandoli con strategia ai super cibi e ai succhi detox. Tra i preferiti c’è quello alla spirulina, l’alga autoctona del lago Klamath, in Oregon, che colora furbamente il succo di blu puffo. L’orto biologico di Michelle Obama è il simbolo della evoluzione della specie e lei, per non rimanere indietro sulla razione di frutta e verdura consigliata dalla ex First Lady, rimpinza il milanesino di pezzetti essiccati di mela, ananas, carota e fragola.

Idratarsi

Non c’è niente di più lontano dalla mentalità della milanese dei «botox party» americani, in cui ci si ritrovava a bordo piscina con le amiche più care, il chirurgo estetico di fiducia e qualche fialetta ringiovanente. Il ritocchino a Milano viene vissuto nel segreto della propria urna e nella privacy della propria stanza (d’ambulatorio). Per enfatizzare l’effetto naturale alcuni maghi del ritocchino come Rocco Caminiti amano definirsi «artigiani della bellezza», promettendo una versione meno «decappata» del restauro.

Tra i verbi più utilizzati dalla milanese c’è «idratare»: ha cominciato a bere più acqua di un cammello prima che la moda di girare con la minerale in borsetta si diffondesse anche tra le altre comuni mortali. Ma ora, quando parla di idratazione, il velato riferimento è alla punturina di vitamine o acido ialuronico fatto nello studio del chirurgo estetico. «Sono contraria ai ritocchi, ma mi faccio idratare» è una delle frasi classiche della milanese con il piccolo livido traditore sul volto.

Mondana e con l’agenda sempre piena di appuntamenti, elogia i filler «sociali», che non lasciano tracce e la sera stessa le permettono di partecipare a una festa senza segni in volto. Se ha bisogno di una stiracchiata lampo chiama il Facial Bar, dove viene massaggiata come un manzo di Kobe fino al raggiungimento della texture perfetta. La milanese non chiede mai favori perché è meritocratica: ammette una raccomandazione solo per trovare posto in cabina dalla richiestissima Alessandra Ricchizzi, la facialist specializzata nel «manual lifting».

Nessuna milanese userà mai il termine «rifatta»: il glossario in società è completamente cambiato. All’amica con la faccia rimpolpata dice che è ben «idratata», a quella che ha i tratti del volto distesi (leggi lifting) che ha «il viso riposato». Ma ci sono anche altri termini politically correct come «rinfrescato», «levigato» e «luminoso». Una volta erano le corna: la milanese si scervellava se fosse giusto o sbagliato dire alla migliore amica di aver scoperto il tradimento di suo marito con un’altra. Adesso il nuovo tabù è il botox: chi lo fa non lo dice. Diplomatica come nessuna, quando incontra l’amica rinnovata sa che la formula migliore da usare è: «Come sei in forma, sei tornata da una vacanza?».

Le milanesi negli anni Ottanta si somigliavano perché andavano tutte dallo stesso parrucchiere: oggi perché si rivolgono allo stesso medico estetico.