Le tendenza a Milano è avere per amica una sciura. L’aperitivo, il teatro o la mostra in compagnia della signora bene dai sessant’anni in su certifica lo status di milanese doc e soprattutto assicura una vita mondana intensa: le sciure sono dappertutto e non si perdono una serata/vernissage/presentazione/funerale (da sempre, a Milano, un ritrovo molto mondano). Icona senza tempo, è la mamma putativa di tutte le milanesi ed è molto cool far parte della sua cricca. La verve è stata rinverdita dal profilo Instagram Sciuraglam dove le star sono Marina Cicogna, la contessa androgina, e Rossana Orlandi, la dama bianca del design milanese.
In realtà la sciura non ama essere chiamata sciura, perché si sente molto più contemporanea a aggiornata delle signore milanesi di una volta, con i capelli cotonati, gli orecchini d’oro a ricciolo e le scarpe preformate di Figini. Mai troppo appariscente, ha delle caratteristiche che la rendono facilmente riconoscibile: non indossa abiti super firmati o accessori di grido. Preferisce definire da sola il proprio stile e spesso ricorre a sartorie come Principessa o Angela. Se decide che per l’inverno le serve un cappotto color malva non fa il giro delle boutique, ma va direttamente in atelier e si fa cucire un capospalla che indosserà solo lei. La sciura milanese è come la Regina Elisabetta: può portare con nonchalance il verde foresta e il celeste manto di Vergine. Fa parte di associazioni come Amichae, impegnata nel promuovere restauri e appuntamenti d’arte, che raggruppano signore sciantose tra i quaranta e gli ottant’anni come Juanita Sabbadini, Michela Valli della Gherardesca e Claudia Dwek. In fondo l’età non conta: essere sciura è uno stato della mente, che prevede alcune abitudini ricorrenti e forse innate.
La sciura non esce mai solo per uscire, ma deve avere un pretesto culturale: una mostra a Palazzo Morando, un dibattito alla Milanesiana o una rappresentazione al Piccolo Teatro. Dopo aver nutrito l’anima, pensa anche all’aperitivo da Cova. Alle signore milanesi piace darsi da fare: si impegnano nella charity, promuovono una raccolta fondi, creano una linea di giacche scamosciate in pelle da indossare in Engadina e fanno passaparola sulla vendita di Lodental, loden rivisitati amati dalla sciura e dalle sciurette. Operosa per dna, difficilmente sta con le mani in mano e non si adagia nella sua culla d’oro: anche solo che si tratti di riaprire la sua casa a Punta de l’Este per il Capodanno, si dimostra sempre attiva e mai pigra.
La fedeltà è un’altra sua caratteristica: meno espansiva della romana o della napoletana, che sembrano conquistate a prima vista ma in realtà sono volubili e appena girano l’angolo dimenticano il commerciante che crede di averle in pugno, la milanese si concede poco. Annusa, studia e inizialmente è parca di sorrisi: ha una voce ruvida e modi asciutti. Ma se cede è per sempre: è nata così la devozione delle signore milanesi per alcuni marchi super autoctoni come Tivioli o Colombo. Ma siccome è una giramondo adora scovare marchi inediti e dal weekend londinese ritorna con una borsa di Emilia Wickstead che mostra alle amiche ancora ferme a Michael Kors, ritenuto fino a quel momento il massimo dell’avantgarde. Proprio come la figlia e la nipote, alla sciura piace primeggiare ed essere quella che porta le novità nel gruppo delle sodali: tra le fissazioni ci sono le Belle Vivier, le décolleté con la fibbia di Roger Vivier, che possiede di tutti i colori. Il modello in fondo è sempre Jackie Kennedy, descritta dall’amica Ljuba Rizzoli come una sciura americana che dava del voi a tutti, portava sempre con sé una piccola macchina fotografica, ma che soprattutto «non avrebbe mai indossato i fuseaux e i sandali li calzava solo al mare».
La sciura è un mix di tradizioni e modernità: nessuna come lei indossa il coordinato (camicia e pantalone della stessa fantasia o colore) che le piace perché semplifica e non deve pensare a come abbinare i vari pezzi, proprio come quando ci si infila un vestito. L’armadio della sciura discende direttamente da quello delle sorelle Gigina e Nedda Necchi, con i tailleur (coordinati) conservati al primo piano di Villa Necchi Campiglio, la dimora del Fai dove le signore hanno trascorso la loro nobile esistenza e dove ora la dama milanese va a bere un bitter nel bar affacciato sul parco. Per stare al passo con i tempi la signora bene milanese indossa i sandali di Marni che ricordano quelli ortopedici della sanitaria, ma in realtà sono da iniziata della moda. Fissata con la camminata salutare, scopre ogni volta un modello di scarpe comode, come le Mbt, le scarpe basculanti che grazie alla suola a dondolo non le fanno venire il mal di schiena. Gli occhiali da sole sono un accessorio inseparabile, come Anna Wintour insegna: l’omologa milanese è la stilista Rossella Jardini che ne sfoggia modelli sempre diversi e nel profilo Instagram usa l’hashtag #lungavitaallasignora.
Le dame milanesi sono social e nutrono l’innata vanità quando finiscono sui profili Instagram come Faces of Orticola e Le più affascinanti di Milano. Ma quasi tutte hanno un profilo privato, anche perché non vogliono far sapere che in salotto hanno un Fontana: l’incubo del ladro per la milanese è l’evoluzione del lupo mannaro di quando era piccola. La sciura è una collezionista incallita di arte moderna e contemporanea e stupisce gli ospiti del suo aperitivo con la vista di un Tintoretto: l’icona è stata Giulia Maria Crespi, fondatrice del Fai, perfetto mix tra stile e impegno, seguita da Laura Asnaghi Calissoni (il doppio cognome è ricorrente) che riceve con grazia in casa e dirige con piglio in azienda. Quasi tutte lavorano, alcune siedono in consigli prestigiosi come quello delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026. La tipa sfaccendata è snobbata dalla sciura, che si entusiasma invece per il talento, nella speranza di poter fare da mecenate a qualche nuovo progetto culturale.
La dama di alta società apprezza il garbo di sciure televisive come Franca Leosini, con i capelli freschi di spazzola termica, e la simpatia della signora Franca Pilla, moglie dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, contraria alla tv deficiente e con una laurea alla Normale di Pisa. Ammira lo stile della presidentessa del Senato Elisabetta Casellati e della regina Silvia di Svezia, anche per i gioielli di famiglia che sfoggia. La sciura sul tema è contraddittoria: ama quelli antichi del gioielliere milanese Pennisi ma anche le geometrie di Vhernier. La festa di Ferragosto a Porto Rafael a casa dei fondatori Carlo e Maurizio Traglio, per la sciura vale più di un invito alla Zarzuela.
Suocera civile
Sempre impegnata tra mostre, aperitivi e beneficenze, per questa sua agenda fitta di appuntamenti la sciura è la suocera perfetta. Mentre le altre suocere italiane stalkerizzano le nuore per avere qualcosa da fare, lei è così presa dalla sua vita che non mette mai becco nella vita dei figli. I rapporti tra suocera e nuora milanesi sono per questo idilliaci e studiati in diversi manuali di sociologia.
La sciura dice di stravedere per i nipotini con i quali è molto più affettuosa e permissiva che con i figli (frase ricorrente), ma alla fine è un uccel di bosco che si affaccia raramente nella nidiata di famiglia. Troppo presa dalle sue attività, nobilita l’assenza come forma di rispetto per la privacy dei propri figli. La nuora l’adora e la rispetta: pur chiamandola per nome continua a darle del lei, come al cospetto di una regina. La suocera le mette a disposizione la fedele colf filippina che sa eseguire alla perfezione le ricette più amate dal figlio/consorte. La nuora vorrebbe arredare la nuova casa con una cucina Gaggenau con isola centrale, abbattitore e induzione. La sciura, con garbo la convince a desistere ricordandole che quello sarà il regno di cuochi e camerieri e non toccherà a lei spadellare: la cucina della dama milanese di solito è piccola e vintage, i fornelli sono il regno del personale, lei deve saper dirigere l’orchestra, mica suonare i piatti…
Qualche volta le due vanno a pranzo fuori come vecchie amiche: la sciura ama introdurre la nuora nei riti della mondanità e in generale ne gestisce l’ingresso in società con rara destrezza, soprattutto se la poverina non è autoctona. La sciura ama cenare al Baretto o da Cracco in Galleria: tra i luoghi del cuore c’è il Sant Ambroeus perché quando è in giro per lo shopping si ferma per una merenda con il «tostino» di pomodoro, provola e acciuga che fanno solo lì e che andrebbe gustato con lentezza, ma lei ha sempre da fare, allora se ne fa incartare uno da portare da casa. A New York c’è l’azzurro Tiffany, a Milano c’è il salmone Sant Ambroeus: la sciura per le feste comandate ci tiene ad avere in tavola il panettone o la colomba avvolte nel celebre incarto con le scene della vita di Sant’Ambrogio. Finito il Natale conserva i decori dentro alle scatole del pandoro con il coperchio ricamato a piccolo punto dalla scuola di Asolo. Le dame milanesi dicono che non si è stati davvero a Milano senza aver assaggiato il cioccolatino Ambrogiotto o il Saint Germain Hugo al Fernet del Sant Ambroeus, ma ancora di più le violette candite di Giovanni Galli. Attenta alle novità non si lascia sfuggire qualche new entry da fuori regione, come i cuori fondenti di Color Cioccolato, la pasticceria calabrese di Francesca De Stefano Versace, moglie di Santo.
La fissazione della milanese non è il cibo stellato, ma quello che conforta: le piace ricevere e per questo ha bisogno di «personale qualificato». Esigente come nessuna, pretende molto, ma una volta che trova la colf perfetta non la lascia più: tra i vezzi della giovane mamma milanese c’è quello di avere come tata dei figli la stessa di quando era piccola lei. L’atteggiamento verso il personale domestico è distaccato/cordiale: alla sciura piace che la colf indossi la divisa ma si informa con reale interesse sull’andamento scolastico dei bambini di lei. I piccolini, nei casi affettivi estremi, la chiamano «zia». Il massimo per la sciura è la coppia di domestici filippini: lei cucina e tiene in ordine la casa, lui sbriga le faccende burocratiche e guida l’auto.
Quando organizza una cena a casa, la sciura non pensa mai al delivery di cibi pronti. Parca e previdente, quando fa la spesa ordina sempre la quantità giusta: mai troppo e mai poco. Ha dei punti fermi che le permettono di pianificare tutto con precisione e la consegna della spesa a domicilio è un tic ricorrente: a casa della sciura c’è un viavai di cartoni del verduraio del mercato di via San Marco e della adorata macelleria Panzeri di piazza del Carmine, dove trova il filetto per il marito e le mini milanesi per i nipotini. Qualche volta organizza il catering di Vittorio, lo stellato famoso per la paccherata: ma la sua indole è risparmiosa e poco incline all’esibizionismo e preferisce far preparare dalla sua domestica una ricetta di famiglia, magari al gratin, o il risotto che deve essere rigorosamente «all’onda», che significa né troppo asciutto, né tropo brodoso, in una parola «milanese».
La cucina della sciura ha sempre un «ricordo» di Milano, ma non è mai quella da trattoria. Quando divaga all’estero ammette un roast beef fatto esattamente all’inglese e fa una smorfiaccia davanti alla pasta alla Bloody Mary: il suo ricettario perfetto non è l’Artusi ma quello dell’amica Chichi Meroni, scicchissima sciura milanese autrice del libro C’era una volta in cucina e paladina della cucina stagionale. Sotto sotto la signora bene milanese ha un sentimento astioso nei confronti dei ristoratori: «È colpa loro se non ci sono più le tipiche trattorie milanesi e quando le trovi, sono quasi sempre troppo care» (frase ricorrente). Quando le raccontano di una cena in un ristorante stellato fa una smorfia di dolore pensando all’ossobuco destrutturato e pensa che sia una cosa da parvenu.
In generale l’esibire soldi, soprattutto in pubblico, è il massimo del trash: si narra che alcuni mariti abbiano il vezzo di far rimuovere l’etichetta dello champagne prima di farsela servire in tavola o di chiedere di mettere il vino pregiato dentro a un decanter. Lo «scaraffare» è un tic dei milanesi: la sciura usa le brocche in grande quantità, soprattutto da quando ha saputo che bere acqua nelle bottiglie in Pet è come ingerire una carta di credito intera. Il salutismo è lo stile di vita della milanese e la caraffa aiuta anche a miscelare acqua gassata con acqua liscia, un altro vezzo (non troppo diffuso) di alcuni mariti, soprattutto di quelli che bazzicano per lavoro Roma.
«Commensalità» è il neologismo creato della sciura per esaltare il suo gusto innato per la tavola: apparecchia in modo diverso a seconda di dove si trova: se è al mare mette in tavola i servizi in terraglia di Caltagirone e ruba dal giardino una zagara per un decoro fresco di natura, a Natale riesuma i piatti festosi di Villeroy & Boch, ma l’ultima frontiera delle più gourmet è chiedere all’amico ristoratore dove può acquistare piatti e bicchieri di Schönhuber Franchi. In mezzo a questo tourbillon di preparativi può accadere quello che succedeva nel film di Buñuel Il fascino discreto della borghesia, in cui ci si sedeva intorno a un tavolo raffinatissimo e scenografico, ma per una ragione o per l’altra si rimandava sempre il momento di inizio della cena. Alle cene della sciura, tra una cosa e l’altra, si mangia sempre poco.
Sciura a chi?
La sciura ama il lei da alcune persone (la nuora e la colf) ma in fondo è felice che qualcuno le dia del tu. Quando intorno ai quarant’anni il cameriere del ristorante le ha detto per la prima volta «grazie signora» è entrata in uno Sturm und Drang psicologico. La milanese, sempre moderna e al passo con i tempi con le All Stars ai piedi, ha un brivido freddo quando per la prima volta realizza di aver raggiunto lo status di sciura.
Ha accolto come un segno di evoluzione l’abolizione in Francia del termine mademoiselle: che orrore la differenza tra maritate e non, con il sottotitolo strisciante per le prime di «donne appartenenti al marito» – ma dame, la mia dama. Ma quando lei è catalogata come una madame ci rimane male e vorrebbe ripristinare l’uso di mademoiselle, fraulein e chica.
Pratica e progressista, cade in contraddizione e manifesta il suo attaccamento alle usanze delle mamme proprio usando il cognome del marito, al quale si attacca come una cozza, soprattutto in sede di divorzio, in cui tra le richieste include quella di poter continuare a usarlo, un po’ come Angela Merkel che in realtà si chiama Kasner. L’origine del vezzo è ignota, ma è assai diffuso: alcune spiegano di «essere note con quel cognome» altre esagerano e dicono che sarebbero costrette a cambiare un numero imprecisato di abitudini di vita se dovessero tornare a chiamarsi con il nome da nubile.
Finché divorzio non ci separi, la milanese condivide con il consorte persino il bigliettino da visita: se viene usato per accompagnare regali ad amici e parenti, il cognome viene barrato, per togliere formalità e dare un senso di confidenza. Spesso per non rinunciare allo stato di ben ammogliata, la sciura gioca nello stesso campionato di Sofia di Grecia, la donna che ha dimostrato più resilienza al mondo alle scappatelle del marito Juan Carlos I di Spagna. Invece della Ragion di Stato, qui la sopportazione è data dalla ragion di status.
Capace di reinventarsi e di trovare sempre nuove motivazioni, la milanese ha ideato subito formule come «i cinquanta sono i nuovi trenta» che hanno allungato di circa un ventennio gli anni ruggenti e la capacità di sentirsi piacente (e in fondo insostituibile nel cuore del marito). Ma la differenza tra una vera sciura e un fake è data proprio dalla accettazione degli anni che passano. Quella doc si riconosce dalle rughe, che esibisce con orgoglio: la faccia di plastica è affare da nouveau riche, dame di alta società da neppure una generazione. Quelle che hanno ceduto a un ritocchino fanno pubblica ammenda come la Jane Fonda contrita del documentario Jane Fonda in Five Acts: ammette di aver sempre amato il volto segnato di Vanessa Redgrave, ma lei purtroppo si è fatta spianare. E ora non riesce neppure a piangere perché le tira tutto.
Alla milanese doc non interessa il bieco pettegolezzo: si annoia leggendo della ennesima lite tra Belen e Stefano De Martino, sbuffa e volta pagina alla notizia dello smeraldo smarrito dalla Lollobrogida. A lei interessa sapere i fatti delle persone che conosce: con chi si sposa il figlio della sua migliore amica, dove va in vacanza la compagna di pilates, in che posto ha comperato casa la ex vicina. L’ultimo scandalo vip che avvince la casalinga di Voghera è ignorato dalle dame che invece vogliono dettagli succulenti sulla società meneghina: si conoscono tutte tra di loro e hanno una rete di contatti fitta come la nebbia che ovviamente rimpiangono, perché ora a Milano non c’è più.
Formale ma amicale con il resto del mondo, la sciura frequenta solo le persone che conosce da tempo anche se si entusiasma quando c’è qualche personaggio straniero da invitare a cena, magari il nuovo console americano a Milano, così poi potrà partecipare alla festa dell’Indipendenza il 4 luglio e all’ormai imprescindibile Thanksgiving. Le sue amiche sono la Cochi, la Cicci e la Lupa e l’articolo determinativo è immancabile davanti all’altrettanto immancabile nomignolo: la sciura è stata la vera inventrice del nickname.
Tra bridge e Ischia
La sciura è donna d’azione e alle carte preferisce la ginnastica dolce in salotto con il suo personal trainer: raramente frequenta la palestra, mentre è di casa alla Suite Pilates Brera. I giochi di carte però la divertono e non se ne priva.
Il burraco in fondo è uno svago più diffuso nel centro-sud: le dame romane sono le vere fanatiche della «pinella». La milanese invece ha un venerazione per il bridge: se il burraco è notturno, con raduni serali, il bridge è diurno, anzi pomeridiano. La sciura organizza i pomeriggi del bridge con le amiche e in quell’occasione invita anche un insegnante per allenamenti che possano far progredire le giocatrici. La predilezione per questo gioco di carte di origine inglese è puramente intellettuale/competitiva: la milanese dice che con il bridge può mettere in campo strategia e intelligenza, qualità che ritiene di possedere in abbondanza.
Non è detto che le amiche del bridge siano necessariamente le sue migliori amiche: può accadere che le frequenti solo in occasione dei tornei, ma a volte, quando aumenta la confidenza la sciura apre la sua villa a a Porto Cervo per organizzare un weekend di carte. In questa circostanza le amicizie possono consolidarsi o al contrario appassire per sempre: la sciura si innervosisce quando la sua compagna di partita non è abbastanza performante e dopo averla sopportata la depenna per l’eternità dalle amiche del bridge. L’altra passione è la musica classica: la milanese a volte ha un palco alla Scala, quasi sempre ha almeno l’abbonamento per la Stagione di Musica Sinfonica (il balletto la attrae di meno).
La tradizione della «Milano del dare» arde nel cuore della sciura che non perde occasione per fare beneficenza, ma con un tocco di stile: tra gli appuntamenti imperdibili in primavera c’è Floralia, la manifestazione solidal-botanica davanti alla chiesa di San Marco con la «pesca alimentare». La sciura fa preparare dalla colf manicaretti di ogni genere, dalla teglia di lasagne alla torta paradiso, le stesse cose che fa preparare per l’Opera di San Francesco. Il «copione» è un grande classico della sciura: per andare sul sicuro si cimenta sempre sui soliti piatti che le danno la garanzia di successo perché ormai si è specializzata – o perlomeno, si è specializzata la colf. Anche per questo è in grado di organizzare una cena per quaranta invitati a casa rimanendo fresca come una rosa e priva di preoccupazioni: si affaccia solo qualche minuto in cucina con gli occhiali sulla punta del naso, giusto per capire se tutto fila come ha previsto. Quando è lei a essere invitata a una cena non arriva quasi mai con un regalo, ma si fa precedere da un mazzo di fiori (in stagione le peonie): la milanese acquisita non capisce il gesto e pensa che il fattorino abbia sbagliato giorno di consegna. Il suo segreto è un mix di distacco e di efficientismo: in tutte le altre città d’Italia la padrona di casa è trafelata e un po’ ansiosa, mentre la milanese può sollevare con il pollice anche un elefante. I suoi assi nella manica sono il risotto giallo servito nella casa di Milano e la zuppa gallurese in quella in Sardegna.
Le vacanze d’agosto per la dama milanese sono con la famiglia nella casa al mare o nella adorata Thailandia: ma a giugno prenota al Regina Isabella di Ischia per trascorrere qualche giorno alle terme con le amiche. In inverno può concedersi un weekend lungo a Montegrotto Terme o a Castrocaro per le cure della fida Lucia Magnani: con la pulizia di casa di primavera le viene invece voglia di rinnovare i tappeti e si avventura con l’amica del cuore a Marrakech, da dove ritorna carica di arazzi, argenti e tovagliati.
La signora bene rinnova la casa a ogni stagione: i divani ricoperti di velluto in inverno vengono rinfrescati con fodere in lino bianco d’estate. Anche i decori segnano il passaggio delle stagioni: uccellini in vetro soffiato a Pasqua, fiori di seta in primavera, tappeti tibetani d’inverno e in raffia d’estate. Inseguendo qualche evento culturale o festival letterario/musicale può decidere di affittare per un anno la casa a Venezia: la sciura non prescinde dal Canal Grande, dove va a caccia di un’altana per ospitare le amiche milanesi per la festa del Redentore.
La nobiltà ha un grande fascino sulla milanese, che si bea del servizio da tè con le iniziali dell’amica: come la perfida giornalista Anna Pasternak, ritiene che Kate Middleton sia una parvenu e condivide il suo pensiero che le case con troppe candele e troppi cuscini siano genere «Buckinghamshire» e Nqocd (Not quite our class, darling). Convinta che la vera classe sia nelle poltrone e tappeti lisi della bisnonna, può a un certo punto stupire tutti e abbandonare la casa di via Vincenzo Monti per trasferirsi nei grattacieli di Citylife: l’importante è che il piano sia alto, anzi, molto alto. Nelle nuove case minimaliste introduce pezzi importanti di antiquariato della precedente dimora, anche se di tanto in tanto la transfuga rimpiange la vecchia magione arredata da Lorenzo Mongiardino in persona.