Cordelia è scappata di casa. Non è in questi termini che ne parla.
Mi ha rintracciata attraverso mia madre. Ci vediamo per un caffè durante l’intervallo di mezzogiorno, ma non nello Chalet svizzero. Anche se lì potrei avere il caffè gratis, ora voglio starne lontana il più possibile, lontana dall’odore nauseante e stantio del pollame crudo, dalle file di polli spennati simili a bambini morti, dai biascicati e ancora tiepidi avanzi per cani nei piatti dei clienti. E così andiamo da Murray’s, in fondo alla strada, dove c’è il Park Plaza Hotel. È un posto mediamente pulito, e sebbene non abbiano l’aria condizionata ci sono ventilatori sul soffitto. Almeno qui non so che cosa succede in cucina.
Cordelia è più magra adesso, quasi smilza. Sul suo lungo volto sono visibili gli zigomi. Gli occhi grigioverdi, cerchiati da una linea verde, appaiono più grandi. È abbronzata, con le labbra di un rosa-arancione appena accennato. Le braccia sono spigolose, il collo elegante, i capelli tirati indietro come li portano le ballerine. Indossa calze nere anche se è estate, e un paio di sandali: non di quelli estivi da donna, eleganti, ma di quelli con la suola spessa e fibbie grossolane da contadino. E anche un corpetto scollato con le maniche corte di jersey nero, che le mette in rilievo il seno, una gonna di cotone di un opaco verdazzurro, con disegni a volute e a quadrati astratti in nero, e una grossa cintura nera. Ha anche due pesanti anelli, di cui uno con un turchese, grossi orecchini quadrati e un braccialetto d’argento messicano. Non si può dire che sia bella ma sa farsi guardare, me ne sono accorta anch’io: per la prima volta in vita sua ha un’aria distinta.
Non appena ci vediamo ci salutiamo con le mani tese, gli abbracci, i gridolini di sorpresa e di piacere che uno si aspetta da due donne che non si vedono da un po’ di tempo. E ora eccomi sprofondata da Murray’s a bere un caffè acquoso; Cordelia sta parlando e io mi domando perché ho accettato quest’incontro. Sono in una posizione svantaggiata: indosso l’uniforme sgualcita e macchiata d’unto dello Chalet svizzero, ho le ascelle sudate, mi fanno male i piedi; i capelli, con questa umidità, sono ribelli, bagnaticci e arruffati come lana strinata. Ho gli occhi segnati da occhiaie scure perché la notte scorsa è stata una di quelle trascorse con Josef.
Cordelia, da parte sua, vuole fare impressione su di me. Vuole farmi vedere com’è cambiata dai tempi in cui era indolente, mangiava troppo e collezionava fallimenti. Si è reinventata. È fredda come un cocomero e sprizzante di notizie disparate.
Lavora al Festival shakespeariano di Stratford, dove recita piccole parti. «Cose piccolissime» precisa, agitando il braccialetto e gli anelli per minimizzare, il che significa cose ancora più piccole di quanto dice. «Sai, tipo quelli che portano le alabarde; anche se io non porto alabarde, naturalmente.» Ride e si accende una sigaretta. Mi domando se Cordelia abbia mai mangiato lumache e concludo che molto probabilmente le conosce bene: questo pensiero mi deprime.
Il Festival shakespeariano di Stratford è ormai famoso. È stato inaugurato parecchi anni fa nella cittadina di Stratford, attraversata dal fiume Avon, dove nuotano cigni. Ho letto tutto ciò sulle riviste. La gente va lì in treno, in bus o in auto, con i cestini del picnic, a volte si ferma per tutto il fine settimana e vede tre o quattro opere di Shakespeare, una dopo l’altra. Inizialmente si svolgeva in una grande tenda simile a un circo, ma ora c’è un vero edificio, uno strano edificio moderno di forma circolare. «Perciò dobbiamo proiettarci su tre lati, ed è un grosso sforzo per la voce» spiega Cordelia con un sorriso contrariato, come se nel suo lavoro non facesse altro che proiettarsi e tendere la voce. È come una persona che si trucca mentre cammina. Sta improvvisando.
«E i tuoi genitori cosa ne pensano?» le chiedo. È un pensiero che mi viene spesso in mente, negli ultimi tempi: che cosa ne pensano i genitori.
Il suo viso si rabbuia per un attimo. «Sono contenti che faccia qualcosa» risponde.
«Che ne è di Perdie e di Mirrie?»
«La conosci, Perdie» risponde nervosamente. «Sempre quelle sue piccole provocazioni. Ma ora basta parlare di me. Tu cosa ne pensi di me?» È una delle sue vecchie battute, e mi scappa una risata. «Sul serio, che cosa stai facendo di questi tempi?» Il tono è quello che ricordo: cortese, ma non molto interessato. «Dall’ultima volta che ti ho vista.»
Ricordo quell’ultima volta con un senso di colpa. «Oh, niente di particolare» rispondo. «Vado a scuola, ecco.» In questo momento non sembra davvero niente di particolare. Che cosa ho fatto tutto l’anno? Un’infarinatura di storia dell’arte, un po’ di pasticci col carboncino. Non c’è niente da esibire. C’è Josef, ma non è esattamente un successo, e decido di non parlarne.
«A scuola!» esclama Cordelia. «Com’ero felice quand’è finita la scuola... Dio, che noia!» La compagnia di Stratford però recita soltanto in estate, e perciò lei dovrà pensare a qualcos’altro da fare per l’inverno. Magari con gli Earle Grey Players, in giro per le scuole superiori. Può darsi che sia disposta a farlo.
Ha trovato questo lavoro a Stratford con l’aiuto di una cugina di Earle Grey, che la ricordava da quando si metteva addosso un lenzuolo a Burnham. «Persone che conoscono altre persone» dice. È uno degli spiriti al servizio di Prospero nella Tempesta, e deve indossare una calzamaglia con sopra un costume trasparente cosparso di foglie secche e lustrini. «Una cosa oscena» commenta. È anche uno dei marinai nella prima scena, una parte che può recitare grazie alla sua altezza. È una dama di corte nel Riccardo III, e la suora superiora in Misura per Misura. In questa parte pronuncia anche qualche battuta, che recita per me con un mieloso accento inglese:
Allora, se parlerete, non dovrete mostrare il volto,
o, se mostrate il volto, non dovrete parlare.
«Alle prove continuavo a confondermi» dice, poi si mette a contare sulle dita: «Parlare, nascondere il volto; mostrare il volto, stare zitta». Congiunge le mani in atteggiamento di preghiera, si china in avanti e piega la testa. Poi si alza in piedi e fa un ampio inchino di corte preso dal Riccardo III, mentre le massaie che bevono il tè da Murray’s la guardano a bocca aperta. «Quello che mi piacerebbe l’anno prossimo, è fare la prima Strega in ‘Tartan’. ‘Quando c’incontremo ancora noi tre, nel tuono, nel lampo o nella piova?’ Il Vecchio dice che potrei essere adatta. Pensa che sarebbe un’idea brillante, una prima Strega giovane.»
Il Vecchio risulta essere Tyrone Guthrie, il regista inglese, così celebre che non posso fingere di non conoscerlo. «Fantastico» commento.
«Te lo ricordi il ‘Tartan’ a Burnham? Te lo ricordi quel cavolo?» mi domanda. «Ero così mortificata...»
Non ho voglia di ricordare. Il passato è diventato discontinuo, come sassi fatti rimbalzare sull’acqua, come cartoline postali: colgo una mia immagine, poi un vuoto, un’immagine, un vuoto. Ho forse mai indossato pullover con maniche a pipistrello e scarpette di velluto, mi sono mai messa abiti color malva ai balli della scuola, mi sono mai trascinata sulla pista da ballo con il basso ventre di qualche sconosciuto affondato nel mio? I mazzolini di fiori secchi sono stati buttati via parecchio tempo fa; i diplomi, le medaglie e le foto di scuola devono essere giù in cantina da mia madre, sepolti nel baule insieme con l’argenteria che si ossida. Vedo di sfuggita queste foto, file e file di ragazzine col rossetto e i capelli arricciati. Non sorridevo mai in quelle fotografie, avevo lo sguardo impassibile, fisso in lontananza, lontano da simili diversivi per adolescenti.
Ricordo la mia bocca severa, ricordo come pensavo di essere saggia. Ma allora non ero saggia. Adesso sì, invece.
«Ricordi quando pizzicavamo delle cose?» domanda Cordelia. «Era l’unica cosa che mi piaceva davvero, in tutto quel periodo.» «Perché?» le domando. A me non piaceva molto, avevo sempre paura che mi beccassero.
«Era qualcosa che potevo avere» risponde Cordelia, ma non capisco bene che cosa voglia dire.
Cordelia prende gli occhiali da sole dalla borsa a tracolla e li inforca. Eccomi lì nei suoi occhi a specchio, duplicata e monocromatica, molto più piccola che al naturale.
Cordelia mi procura un biglietto gratis per Stratford, così potrò vederla recitare. Ci vado in autobus. È una matinée: posso arrivare, vedere lo spettacolo e prendere l’autobus di ritorno in tempo per il mio turno serale allo Chalet svizzero. È di scena La tempesta. Cerco di vedere Cordelia e quando compaiono gli spiriti al servizio di Prospero, accompagnati da musica e da baluginanti effetti di luce, aguzzo lo sguardo per riconoscerla, dietro al travestimento. E invece non riesco a identificarla.