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Sono sull’aereo, volo o vengo portata in volo verso ovest, verso la costa sul mare, verso le montagne da cartolina. Davanti a me, fuori dal finestrino, il sole affonda in una micidiale, volgare, indipingibile e trionfale ostentazione di rosso, di purpureo e di arancio; dietro di me scorre avanti la notte di sempre. Sotto di me, a terra, si srotolano le praterie, vaste, terrene e verosimili come allucinazioni, già impolverate di neve e scarabocchiate da fiumi sinuosi.

Sono seduta accanto al finestrino. Nei sedili vicino a me sono accomodate due anziane signore, due donne vecchie; ognuna di loro indossa un cardigan fatto a maglia, ha capelli giallastri e spessi occhiali appesi con una catenella al collo, la bocca avvizzita e dipinta sfacciatamente di un rosso acceso. Hanno abbassato i tavolini e giocano a Snap sorseggiando un tè; maneggiano maldestramente le carte scivolose, stridendo come auto sulla ghiaia quando imbrogliano o commettono errori. Di quando in quando si alzano, slacciandosi faticosamente la cintura, e vanno zoppicando in fondo all’aereo per fumare una sigaretta, mettendosi in coda davanti al gabinetto. Quando ritornano, si scambiano battute grossolane, facezie sui pantaloni bagnati o sulla carta igienica che è finita, lanciandomi nel mentre occhiate furbesche. Mi domando quanti anni pensano di avere, sotto ai loro corpi camuffati, o quanti pensano che ne abbia io. Forse, mi vedono come la loro madre.

Mi sembrano straordinariamente disinvolte. Hanno risparmiato, per farsi questo viaggio, e sono ben intenzionate a goderselo, nonostante l’artrite di una e le gambe gonfie dell’altra. Sono turbolente, piene di vitalità, spavalde come tredicenni, innocenti e sporche, non gliene importa un corno. Si sono spogliate delle responsabilità, degli obblighi, di vecchi rancori e di risentimenti e ora, per un po’ di tempo ancora, possono giocare di nuovo come bambine, ma questa volta senza la sofferenza.

È di questo che sento la mancanza, Cordelia: non di qualcosa che è andato, ma di qualcosa che non succederà mai. Due anziane signore che ridacchiano mentre bevono il tè.

 

Ora la notte è fonda, tersa, senza luna e piena di stelle, che non sono eterne come una volta si pensava, che non sono dove pensiamo che siano. Se fossero suoni sarebbero echi, echi di qualcosa accaduto milioni di anni fa, una parola fatta di numeri. Echi di luce, che scintillano nel mezzo del nulla.

È una luce vecchia, e non ce n’è neppure molta. Ma è sufficiente per vedere.