Quando suona la campanella ci mettiamo in fila per due, tenendoci per mano davanti all’ingresso delle FEMMINE: Carol e io, poi Grace e Cordelia dietro, perché sono una classe avanti. Mio fratello è davanti all’ingresso dei MASCHI. Durante la ricreazione scompare nel campo giochi, dove la settimana scorsa gli hanno spaccato un labbro con un calcio durante una partita di pallone, e hanno dovuto dargli i punti. Li ho visti da vicino, i punti, fili neri circondati da un gonfiore purpureo. Li ho ammirati. Riconosco il prestigio dato dalle ferite.
Ora che dai pantaloni sono ritornata alle sottane, devo ricordare come muovermi. Non ci si può sedere a gambe larghe, né saltare troppo in alto, né mettersi a testa in giù senza esporsi al ridicolo. Ho dovuto riscoprire l’importanza delle mutandine, una cosa che ha una propria liturgia:
Vedo la Francia, vedo l’Olanda,
Ti vedo anche la mutanda
Oppure:
E ora che son grande,
mi tolgo le mutande...
Questo lo dicono i ragazzi, facendoci boccacce.
Sono molti gli spunti di riflessione sulle mutande, soprattutto quelle degli insegnanti, e in particolare delle maestre. Le mutande dei maschi non hanno importanza. Non sono molti, comunque; gli insegnanti maschi, e quei pochi sono anche anziani; i giovani sono scomparsi perché la guerra li ha chiamati, e le donne sono di una certa età, non sposate. Le donne sposate non hanno un lavoro, questo ce l’ha detto la mamma. Le donne più anziane e non sposate hanno un che di strano e di ridicolo.
Durante la ricreazione Cordelia distribuisce mutande a tutte: quelle con fronzoli color lavanda alla signorina Pigeon, che è grassa e zuccherosa, quelle di tessuto scozzese per la signorina Stuart, con i merletti che s’accompagnano ai fazzoletti, lunghi mutandoni di seta rossa per la signorina Hatchett che ha più di sessant’anni e porta grosse spille color granata. Non crediamo che mutande del genere esistano realmente, ma pensarlo ci dà un maligno piacere.
La mia insegnante è la signorina Lumley. Si dice che tutte le mattine, prima della campana, anche quando è primavera avanzata e fa caldo, vada dietro all’aula e si tolga i mutandoni, e corre voce che siano di lana pesante color azzurro marina, con odore di naftalina e di altre cose meno definibili. Queste voci non ricorrono come congetture o altre invenzioni sul tema delle mutande, ma come un fatto assodato. Parecchie ragazze, quando si sono dovute fermare dopo l’orario di scuola, giurano di aver visto la signorina Lumley che si rimetteva i mutandoni, e altrettante affermano di averli visti appesi nel guardaroba. L’alone delle mutande scure della signorina Lumley, misteriose e ripugnanti, le aleggia intorno e impregna l’aria stessa in cui si muove. La rende ancor più terrificante, ma terrificante lo è in ogni caso.
La mia insegnante dell’anno scorso era gentile, ma così insignificante che Cordelia non la cita nemmeno nel gioco delle mutande. Aveva la faccia come un panino, una pelle bianca come il latte, e si imponeva con le moine. La signorina Lumley detta legge con il terrore. È bassa e di forma oblunga, così che il suo lungo cardigan color grigio ferro le ricade dalle spalle sui fianchi, senza interruzioni alla vita. Ha sempre indosso questo cardigan e una varietà di sottane scure, che non possono essere sempre la stessa. Ha occhiali cerchiati di metallo dietro ai quali è difficile scorgerle gli occhi, calza scarpe nere con tacchi grossi e mostra un sorrisetto senza labbra. Non manda i ragazzi dal direttore per farli castigare ma lo fa lei di persona davanti a tutta la classe, tendendo la mano in avanti e calando la sua cinghia nera di gomma con rapidi colpi ben fermi, la faccia pallida e fremente, mentre noi guardiamo strizzando gli occhi, che involontariamente si riempiono di lacrime. Durante l’operazione qualche ragazza piagnucola tanto da farsi udire, anche se non è lei a subire colpi. Ma non conviene; la signorina Lumley non sopporta sentir piagnucolare, e di solito dice: «Ti darò io qualcosa per cui piagnucolare». Abbiamo imparato a stare sedute diritte, gli occhi fissi in avanti, le facce impassibili, tutti e due i piedi sul pavimento, e intanto ascoltiamo il sibilo della frusta sulla carne che si rattrappisce.
Per lo più sono i ragazzi che prendono le frustate, e si pensa che ne abbiano bisogno ancora. E poi cincischiano, specialmente durante l’ora di cucito. Dovremmo cucire presine per le pentole da dare alle nostre madri e i ragazzi, a quanto pare, non sono molto bravi: fanno punti larghi e maldestri, e spesso si pungono l’un l’altro con gli aghi. La signorina Lumley cammina a lunghi passi tra i banchi, bacchettandoli sulle nocche con un righello.
L’aula ha i soffitti alti, d’un colore giallo scuro, con le lavagne di fronte e su una delle pareti, mentre sull’altra, sopra i caloriferi, ci sono alte finestre con molti pannelli. Sopra la porta del guardaroba, in modo da farci sentire osservati da dietro, è appesa una grande fotografia del re e della regina, il re con le sue medaglie, la regina con un ampio vestito bianco da ballo e una tiara di diamanti. Alti banchi di legno per due, con il piano inclinato e i buchi per i calamai, sono disposti in fila. È come tutte le altre aule del Queen Mary ma sembra più scura, forse perché è meno decorata. La nostra insegnante di prima portava in classe carta per decorazioni nei suoi molteplici tentativi di accattivarsi i nostri favori, e le finestre allora erano sempre rigogliose di una vegetazione di carta. Ma anche se la signorina Lumley studia in questo modo le stagioni, le piante che sottoponiamo al suo sguardo scintillante e cerchiato di metallo sono più piccole e striminzite, dunque mai sufficienti a coprire gli spazi spogli della parete e del vetro. E poi, se le foglie o le zucche che ritagliamo non sono simmetriche, la signorina Lumley non ci permette di appenderle. Ha le sue regole.
L’impronta è più britannica dell’anno scorso. Impariamo a disegnare lo Union Jack con il righello e a memorizzare le varie croci, quella di san Giorgio per l’Inghilterra, di san Patrizio per l’Irlanda, di sant’Andrea per la Scozia, di san Davide per il Galles. La nostra bandiera è rossa e ha lo Union Jack in un angolo, ma non esiste un santo del Canada. Impariamo i nomi di tutte le parti rosa della cartina geografica.
«Il sole non tramonta mai sull’impero britannico» afferma la signorina Lumley, battendo la sua lunga bacchetta di legno sulla cartina srotolata. Nei paesi che non fanno parte dell’impero britannico tagliano la lingua ai bambini, soprattutto ai maschi. Prima dell’impero britannico in India non esistevano né ferrovie né servizi postali, in Africa le tribù si combattevano tra di loro con le lance e la gente si vestiva in modo incivile. Gli indiani del Canada non conoscevano la ruota né il telefono, e mangiavano il cuore dei nemici nella barbara convinzione che infondesse in loro il coraggio. L’impero britannico ha cambiato tutte queste cose. Ha portato la luce elettrica.
Tutte le mattine, dopo che è squillata l’acuta nota metallica del fischietto della signorina Lumley, ci alziamo in piedi per cantare God Save the King, e talvolta cantiamo anche:
Regna, Britannia, regna sui mari,
I Britanni mai, mai saranno schiavi!
E noi, che siamo britannici, mai saremo schiavi. Ma noi non siamo veri britannici, perché siamo anche canadesi. Questo non è altrettanto bello, ma anche il Canada ha la sua canzone:
Un tempo lontano, dai lidi di Britannia
giunse qui Wolfe, intrepido eroe,
e piantò salda la bandiera di Britannia
sulla bella terra del Canada.
E qui possa garrire, nostro vanto e orgoglio,
e unirci tutti in amore,
col cardo, il trifoglio, la rosa intrecciati,
e la foglia d’acero per sempre!
Il mento della signorina Lumley trema paurosamente mentre cantiamo queste parole. Wolfe sembra un nome di quelli che si danno ai cani, ma fu lui a vincere i francesi. Ciò mi lascia perplessa perché ne ho visti molti di francesi, soprattutto su nel Nord, quindi non può averli vinti tutti. In quanto alla foglia d’acero, questa è la cosa più difficile da disegnare sulla nostra bandiera rossa. Nessuno riesce mai a disegnarla nel modo giusto.
La signorina Lumley porta ritagli di giornale sulla famiglia reale e li appende sulla lavagna di fianco. Per lo più sono vecchi ritagli che mostrano la principessa Elisabetta e la principessa Margaret Rose nell’uniforme delle ragazze scout, mentre fanno discorsi alla radio e altrove durante il Blitz. È così che dobbiamo essere, ci fa capire la signorina Lumley: caparbie, leali, coraggiose, eroiche.
Appende anche altre fotografie di giornali, che mostrano bambini emaciati, vestiti di stracci, davanti a mucchi di macerie. Queste foto servono a ricordarci che molti orfani di guerra muoiono di fame in Europa, che dobbiamo tenerlo a mente e mangiare le croste di pane, le bucce di patate e tutto quello che abbiamo nel piatto, perché lo spreco è un peccato. E poi non dobbiamo lamentarci, non abbiamo nessun diritto di lamentarci perché siamo bambini fortunati: i bambini inglesi hanno avuto le loro case bombardate, noi no. Portiamo da casa i nostri vestiti usati che la signorina Lumley lega dentro sacchetti di carta marrone per poi spedirli in Inghilterra. Io non posso portare molto perché mia madre strappa i nostri abiti vecchi per farne strofinacci, ma riesco a recuperare un paio di pantaloni di velluto che un tempo erano di mio fratello e poi miei, ma ora sono troppo piccoli, e una camicia di flanella di mio padre che per errore è stata lavata male e si è rimpicciolita. Mi dà una strana sensazione sulla pelle immaginare che qualcun altro, in Inghilterra, vada a spasso con i miei vestiti. I miei vestiti mi sembrano far parte di me, anche quelli che sono diventati troppo piccoli.
Tutte queste cose, le bandiere, gli inni e le canzoni, l’impero britannico e le principesse, gli orfani di guerra, perfino gli abiti usati, si sovrappongono all’immagine sinistra degli invisibili mutandoni azzurro-marina della signorina Lumley. Non riesco a disegnare lo Union Jack né a cantare God Save the King senza pensarci. Esistono realmente o no? Sarò mai presente nell’aula quando se li mette o quando, non oso pensarci, se li toglie?
Non ho paura dei serpenti e dei vermi, ma ho paura di questi mutandoni. So che per me sarà ancor peggio se li vedo realmente. Sono come un tabù, al tempo stesso sacri e profondamente peccaminosi. Tutto ciò che è brutto di queste mutande può essere brutto anche di me, perché la signorina Lumley, anche se non è tipo da essere considerata una ragazza, non è nemmeno un ragazzo. E quando la campanella suona e ci allineiamo davanti all’ingresso delle femmine, qualsiasi categoria ci comprenda comprende anche lei.