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Londra, 1874

Per il Duca di Lovingdon non esisteva niente di più gradevole che stare al caldo tra le deliziose cosce di una donna.

A parte far scivolare i palmi sul suo corpo morbido e flessuoso mentre lei gli accarezzava le spalle, il petto e la schiena. Oppure sentirla trattenere il fiato, emettere un sospiro e...

Toc.

Si immobilizzò.

«Cosa è stato?» mormorò la giovane.

Lui scosse la testa, fissando i suoi occhi castani e scostandole dalla gota arrossata un ciuffo di capelli corvini. «Pulizie di casa, immagino. Non prestate attenzione.»

Posò le labbra sulla gola di seta, assaporando la pelle accaldata...

Toc toc.

Maledizione!

Le strizzò l'occhio. «Scusatemi solo un istante.»

Scese dall'enorme letto costruito apposta per accogliere la sua considerevole mole e attraversò a passo di marcia lo spesso tappeto Aubusson, frenando a stento la collera. Il maggiordomo − come tutti i domestici − sapeva di non doverlo disturbare mentre godeva delle delizie femminili.

Lovingdon afferrò la maniglia, sbloccò il saliscendi...

«Se non è un problema di vita o di morte, oppure un incendio...» Tirò con forza il battente. «E in ogni caso...»

Si ritrovò di fronte un paio di occhi sbarrati blu zaffiro, che subito si abbassarono e poi si risollevarono per scontrarsi con i suoi, color ambra.

«Nel nome di Cristo, Grace, cosa diavolo...?»

Senza lasciarle il tempo di rispondere, richiuse con un colpo secco, raccolse i calzoni dal pavimento, li infilò in fretta e furia e iniziò ad abbottonarli.

«Un'altra vostra amante?» domandò la voluttuosa bellezza distesa a letto.

Lui afferrò la camicia di lino dalla sedia sulla quale era gettata. «Buon Dio, no. È appena una bambina.» O almeno lo era l'ultima volta che l'aveva vista. Che ci faceva in giro a quell'ora di notte? Non aveva nemmeno un briciolo di buon senso?

Indossata la camicia, si sedette con pesantezza e calzò gli stivali. Non sapeva perché si preoccupasse tanto per la sensibilità di Grace. Era troppo tardi per pensarci, considerato quello che le aveva mostrato aprendo la porta. Tipico di lei reagire alla scena con perfetta imperturbabilità. Era sempre stata un demonietto impudente, ma quella volta aveva superato ogni limite.

Si rimise in piedi e si avvicinò al letto. Chinandosi, baciò la graziosa fronte. «Impiegherò solo un minuto a mandarla via.» Dopo una rassicurante strizzata d'occhio, si diresse alla porta, l'aprì con più calma e uscì in corridoio, richiudendo il battente alle proprie spalle.

Grace era dove l'aveva lasciata, paonazza dalla gola alle radici dei capelli fulvi. Se le lentiggini non fossero già scomparse dal suo viso, sarebbero state eclissate dal rossore. «Mi dispiace di avervi svegliato.»

Credeva di essersi limitata a questo? Del resto era una fanciulla innocente di diciannove anni, e benché i ragazzi con i quali era cresciuta fossero più furfanti che gentiluomini, si erano impegnati per proteggerla. Per lei, la loro condotta immorale era poco più di una diceria.

«È passata mezzanotte e vi trovate nella residenza di un uomo. Cosa vi salta in testa?» le chiese.

«Sono nei guai, Lovingdon. Una situazione spaventosa. Mi occorre il vostro aiuto.»

Lui stava per esortarla a cercare assistenza altrove, ma di fronte ai suoi grandi e angelici occhi blu non ebbe altra scelta che invitarla a spostarsi nella biblioteca. Aveva sempre avuto quell'effetto irritante su di lui, sin da quando era bambina e lo guardava come se fosse stato un cavaliere errante, capace di sconfiggere i draghi. Magari in gioventù, quando il drago non era altro che il terribile gatto di Grace, bisognoso di essere portato giù dal ramo sul quale si era arrampicato...

Tuttavia lui aveva imparato dalla propria dura esperienza di non essere un uccisore di mostri.

Appena entrarono nel locale dall'odore stantio, si diresse a un tavolino che ospitava un assortimento di bottiglie. In silenzio, versò un whisky e un brandy. In cuor suo sperava che, mentre riempiva i bicchieri, Grace se ne andasse. Invece quando si voltò, la vide ancora lì, intenta a osservarlo come in cerca di qualcosa, e lui, suo malgrado, si pentì di non essersi abbigliato con una cura maggiore. Lei era molto più elegante, in abito da sera bianco guarnito di velluto rosa.

Si conoscevano da sempre. In genere Grace non aveva bisogno di aiuto. E di sicuro non era il tipo da chiederlo. Una volta aveva passato un pomeriggio intero bloccata in cima a un albero perché era troppo testarda per avvisare qualcuno che si trovava in difficoltà. Voleva riuscire a scendere per conto suo. Infine, al calar del buio, lui si era arrampicato sui rami e l'aveva riportata a terra, nonostante avesse già vent'anni e lei undici, e fossero entrambi troppo grandi per dedicarsi a simili attività. Poi aveva dovuto salire di nuovo sul dannato olmo per soccorrere il pestifero gatto. Aveva ancora, sul polso sinistro, le cicatrici derivate dall'incontro.

Se in quel frangente si rivolgeva a lui, doveva essere davvero nei pasticci.

Le porse il brandy e lei, con espressione grata, avvolse il bicchiere con le dita snelle, coperte dal guanto bianco. Benché fosse assai sconveniente per una giovane signora stare sola nella dimora di un vedovo, il loro non era un rapporto comune. Le famiglie erano vicine di casa e Grace era quasi cresciuta all'ombra di Lovingdon, che aveva trascorso gran parte della giovinezza a sorvegliarla. Se i problemi erano davvero gravi, era più probabile che i genitori − il Duca e la Duchessa di Greystone − gli facessero la pelle per non averle offerto aiuto che per averle permesso di trattenersi nella sua dimora a quell'ora scandalosa.

Le indicò l'angolo salotto davanti al camino, nel quale ardevano soltanto poche braci.

In un fruscio di gonne, avvolta da un sentore di rose e di lavanda, Grace si diresse a una poltrona bordeaux e si appollaiò sull'orlo del cuscino. Era sempre stata una creatura complessa, difficile da definire, che non si accontentava della banalità. Un solo profumo non le bastava. E neppure un solo gentiluomo, a giudicare dalle conversazioni che, senza prestare loro troppa attenzione, gli capitava di sentire nelle case da gioco.

Lui occupò la poltrona di fronte e la osservò per qualche istante. Sapeva che aveva diciannove anni, però non poteva evitare di chiedersi quando diavolo fosse cresciuta così. La ricordava come una ragazzina dalle gambe lunghe e sottili e dalle braccia lentigginose, che preferiva arrampicarsi sugli alberi piuttosto che frequentare le sale da ballo, e che amava galoppare per le colline ondulate molto più che prendere lezioni di danza.

Avevano nove anni di differenza. Come ovvio, lui sapeva che stava diventando adulta, ma si trattava di una vaga consapevolezza, alla periferia della sua vita; un po' come conoscere l'alternanza delle stagioni, senza però avere piena coscienza di ogni foglia caduta a terra o di ciascun germoglio in procinto di sbocciare. Senza dubbio, Grace era fiorita. Era snella, con qualche accenno di curve. La scollatura dell'abito, che lasciava in mostra il collo e la parte superiore del petto, si fermava appena prima di esporre le rotondità dei seni. Lui non la immaginava così pudica, ma proprio questo la rendeva più misteriosa.

A quanto pareva, era anche impavida. Girava voce che non si facesse scrupoli ad andare nottetempo nei brefotrofi fondati dai suoi genitori. Di solito aveva con sé una dama di compagnia, però, si diceva, era molto brava a sottrarsi alla sua sorveglianza.

La visita di quella notte rappresentava un ottimo esempio.

Lovingdon picchiettò sul bicchiere, tentando di concentrarsi sulla questione del momento, sul problema che l'affliggeva e che l'aveva condotta a casa sua. «Allora, in che genere di guai vi trovate?»

«Voi non eravate al ballo dagli Ainsley» gli rispose. Il tono non era critico, ma lasciava trapelare qualcosa di simile alla delusione. Lui tentò di ricordare quando Grace avesse debuttato in Società, ammesso che gliene fosse giunta notizia. Le attività mondane non lo interessavano più e riusciva abilmente a evitarle.

«Un gentiluomo ha approfittato di voi? Devo andare a recuperare le pistole?»

Lei sorrise, incurvando con dolcezza le labbra carnose, dall'aspetto morbido. «No, però mi scalda il cuore sapere che sareste pronto a farmi da paladino.»

In effetti lui l'aveva difesa tante volte, quando era ragazzo. Ormai, però, non aveva nessuna voglia di proteggere qualcuno. Quello che desiderava lo stava aspettando al piano di sopra, a letto.

«Non siete mai stata il tipo da temporeggiare» commentò impaziente. «Spiegatemi perché siete venuta, e sbrigatevi.»

Grace sollevò una mano. Dal polso le pendeva un cartoncino: il carnet di ballo. «Stasera ho partecipato a tutte le danze. Se le feste precedenti sono indicative, domattina riceverò a casa dozzine di mazzi di fiori.»

«Avete un grande successo.»

«No» negò concisa. «Come senz'altro sapete, avrò una dote enorme, che comprenderà denaro e terreni. È questa a rendermi così ambita.»

«Non dite assurdità. Offrite molto a un uomo. Siete graziosa, elegante e piena di fascino. Sono disposto a scommettere tutte le mie proprietà che vi fidanzerete entro la fine della Stagione.»

Grace si alzò dalla poltrona con la grazia appena elogiata e si avvicinò al camino. Era alta. Lui superava i sei piedi, me lei avrebbe potuto urtargli il mento con la testa senza alcuno sforzo. Il collo lungo e sottile attirava di certo gli sguardi maschili. Piccole perle, sobrie e discrete, le ornavano la gola e i lobi delle orecchie. Non aveva bisogno di rendersi appariscente, poiché bastavano i capelli. Al momento erano raccolti sulla sommità del capo, con qualche ricciolo che ricadeva ad arte sulla nuca delicata; quelli che incorniciavano in disordine l'ovale del volto, invece, sembravano essere sfuggiti ai fermagli durante un ballo, di sicuro un valzer.

«Ma verrò amata, Lovingdon? Voi conoscete l'amore, lo avete provato. Come lo posso identificare?»

Lui trangugiò il whisky che avrebbe preferito assaporare. Non intendeva toccare quell'argomento, né con lei né con nessun altro. «Lo riconoscerete perché sarà rivolto a un uomo senza il quale non potreste vivere.»

Grace si girò un poco e lo fissò negli occhi. «Non dubito che capirò di amarlo. Ma come essere certa che lui ami me? Lady Bertram, una mia cara amica, era innamorata pazza dello sposo. Lui, però, si è cercato subito un'amante e le ha spezzato il cuore. Era infatuato della sua dote, non di lei. E Lady Sybil Fitzsimmons? Il marito ha preso l'abitudine di rimproverarla. Come è possibile che le voglia bene se la sgrida in continuazione, persino in pubblico? Tra tanti uomini che competono per il mio affetto, come sapere chi è sincero? Mi sposerò una volta sola, e i cacciatori di dote abbondano. Voglio essere sicura di scegliere bene.»

«Fidatevi del vostro cuore.»

«Non capite? Per me è evidente che nelle questioni d'amore una donna non può avere fiducia nel proprio cuore. Si lascia incantare con troppa facilità da poesie, cioccolatini e mazzi di fiori. Una giovane signora ha bisogno di una persona obiettiva, abbastanza esperta di sentimenti da poterla aiutare a identificare bugiardi e disonesti e a mandarli via. A separare il grano dal loglio, per così dire. Di una persona come voi.»

«Non so più nulla dell'amore, e non ho intenzione di averci a che fare, nemmeno dall'esterno.»

«Per questo avete scelto una vita dissoluta?»

Lui la sogguardò da sopra l'orlo del bicchiere. «Cosa ne sapete voi?»

«Mi sono giunte voci.» Passò i polpastrelli sul bordo della mensola del camino, come in cerca di polvere. «E ho visto che non eravate solo poco fa, quando vi ho disturbato. È la vostra amante?»

«Un'amante comporta una certa continuità nel rapporto. A me la stabilità non interessa.»

Lei lo scrutò in viso. «Una cortigiana, dunque.»

«L'asprezza del tono denota disapprovazione?»

«Non vi sto giudicando.»

«No?»

Grace scosse la testa, con una tristezza negli occhi che lo infastidiva. «No. Avete ogni diritto di essere adirato con il destino per quello che vi ha sottratto...»

«Non voglio parlarne, Grace. Né del fato né di Juliette né dell'amore. Non ho bisogno che voi o qualcun altro giustifichiate le mie azioni. Vivo come mi pare e piace. Mi dà soddisfazione e non mi scuso per questo. Se cercate esperti nel campo dell'amore, vi suggerisco di rivolgervi ai vostri genitori. Mi sembra che abbiano affrontato e superato insieme parecchie tempeste.»

Lei sbuffò. «Credete sul serio che possa discutere del mio interesse per i gentiluomini con mio padre e mia madre? Sarebbero capaci di infliggere danni fisici a chiunque mi lasci in dubbio, per il semplice fatto che sono incerta. Inoltre, mi raccomanderebbero di sposare chi mi rende felice.»

«Ottimo consiglio.»

«Non mi avete ascoltata? Anche se un uomo mi dà gioia prima della solenne promessa, non è detto che continuerà in seguito. Se non intendete contribuire alla mia ricerca con la vostra conoscenza dell'amore, provateci almeno con le vostre esperienze recenti. Chi può identificare un furfante meglio di un suo simile? Ho bisogno di voi, Lovingdon.»

Ho bisogno di voi. Anche Juliette ne aveva avuto, ma lui era venuto meno alla sua fiducia.

«Vi prego.»

Lovingdon aveva la curiosa impressione che ci fosse anche altro in quella richiesta. In fondo che male c'era a darle una mano? Protese un braccio. Quando lei lo fissò perplessa, come se non capisse, fece schioccare le dita. «Darò una rapida occhiata al vostro elenco e vi aiuterò a cancellare i mascalzoni. Così poi ve ne andrete per la vostra strada.»

«Pretendete di discernere i sentimenti di un uomo limitandovi a leggerne il nome?»

«Posso identificare coloro ai quali non vi conviene aprire il cuore, i viziosi dalle pessime abitudini.»

«Se fosse questo a interessarmi, mi rivolgerei a Drake. Conosce i vizi degli uomini meglio di chiunque altro.»

Drake Darling, un ex monello e ladro cresciuto in seno alla famiglia di Grace, dirigeva la Dodger's Drawing Room, una casa da gioco esclusiva per gentiluomini rispettabili. Sì, senza dubbio conosceva ogni genere di depravazione maschile, ma era anche molto bravo a tenere i segreti.

«Mi serve altro» proseguì Grace. «Ho bisogno che li osserviate e poi esprimiate un'opinione su di loro.» Si inginocchiò davanti a lui, lasciandogli scorgere, al debole bagliore delle braci, la disperazione espressa dagli occhi blu. «Venite al ballo dei Claybourne. È il prossimo di una certa importanza. Fate tappezzeria, nascondetevi dietro le piante. E poi riferitemi quello che avete notato, indicatemi chi, secondo voi, prova davvero qualcosa per me.»

Il semplice pensiero di trovarsi in un salone affollato, pieno di allegria, lo fece sudare freddo. Gli avrebbe rammentato troppo i tempi felici, e la velocità con la quale gli erano stati strappati via. «Seguite il vostro cuore, ragazza. Non intendo influenzarvi. Voi stessa sarete in grado di capire se un uomo vi vuole bene.»

La sconfitta comparve sui lineamenti di Grace. «Non posso basarmi sul mio cuore, Lovingdon. Mi ha già tradita in passato.»

Lui ebbe l'impressione di ricevere un violento pugno all'addome. Non sopportava l'idea che l'amica di gioventù soffrisse. Un uomo aveva approfittato della sua innocenza? Altrimenti perché Grace diffidava dei propri istinti?

Lei si levò in piedi e tornò al camino, dandogli la schiena. «Quando ero più giovane, una volta mi sono innamorata con tutta l'anima, con passione... almeno per quanto fosse possibile a quella tenera età. Ero convinta che lui ricambiasse i miei sentimenti, invece poi ha sposato un'altra.»

«Chi? No.» Alzò una mano. «Non mi riguarda.»

Con un sorrisino triste, Grace gli scoccò un'occhiata da dietro la spalla. «Non temete. Non rivelerò il suo nome. Mi giudichereste davvero stupida se lo scopriste.»

«Anche se ha scelto in moglie un'altra donna, non significa che non vi amasse. I matrimoni vengono celebrati per ogni sorta di motivi.»

«Ne sono consapevole. E proprio per questo sono venuta qui. Non vi rendete conto di confermare i miei dubbi? Come capire se un giovanotto intende sposarmi per la giusta ragione, ossia per amore, e se non ripone il proprio affetto altrove? Se dovessi offrire il cuore a un uomo e poi scoprire che non ne tiene alcun conto, ne sarei devastata in maniera irreparabile, temo.»

«Piccola Rosa, forse conviene non amare.»

Lei si avvicinò a passi leggeri alla poltrona e si sedette. «Lo credete davvero? Non è meglio amare una persona per un breve periodo della vita, piuttosto che non provare mai questa gioia?»

Per un fugace istante lui udì una risata, quella di Juliette. Vide il suo sorriso, avvertì la tenerezza del suo tocco, ne assaggiò le labbra, sentì il tepore del suo corpo accogliente. Era tanto, tanto tempo che non si concedeva di pensarci. La pena straziante lo piegò quasi in due.

«Voglio quello che avete avuto voi» concluse con dolcezza Grace. «Era perfetto, no?»

«Non amerò mai un'altra come ho amato Juliette. Questa è la sincera verità.»

Pensierosa, lei lo scrutò in volto per qualche momento, poi gli chiese: «Che effetto fa un amore così grande?».

Abbracciava tutto, permeava ogni cosa. Come esprimere a parole un sentimento che sfidava ogni definizione? «Si ride, si sorride. Si condividono segreti che nessun altro conosce. Si comunica senza bisogno di parlare. Si sa sempre cosa pensa l'altro. Aleggia un senso di euforia. Però tutto questo ha un costo, Grace. Perderlo rischia di distruggervi, di trasformarvi in un guscio vuoto.»

«Non potete dissuadermi dal desiderarlo, anche se deve durare soltanto un batter d'occhio. Amare un uomo e sapere senza ombra di dubbio che mi ricambia sarebbe un'esperienza meravigliosa, la migliore che io possa immaginare. E qui sta il mio dilemma: amare non è sufficiente. Debbo essere contraccambiata, altrimenti che senso ha? Mi sosterreste nella ricerca del vero amore? Sarebbe perfetto per rendere onore alla vostra Juliette aiutare un'altra persona a godere del bene che, un tempo, condividevate.»

E che ormai era perduto. Lui non avrebbe augurato neppure al peggior nemico il dolore che lo affliggeva.

«Non posso fare nulla per voi, Grace. Anche solo tentare non sarebbe utile a nessuno dei due. Adesso andate, prima che vostro padre scopra che siete qui e mi costringa a sposarvi. E sarebbe il sistema più rapido per impedirvi di ottenere quanto desiderate.»

«Mio padre si fida di voi. Sa che non approfittereste della situazione.»

«Può darsi, ma se qualcuno vi vedesse uscire da casa mia, sareste rovinata.»

«Mi rifiuto di unirmi in matrimonio con un uomo che non mi ama, anche a rischio di perdere la reputazione.» Il tono era molto sicuro, ma lui sapeva per esperienza che la convinzione non rendeva sempre le parole veritiere.

«In ogni caso, temo che non avreste scelta.»

«Siamo tutti liberi di scegliere.» Grace si levò in piedi con lentezza. «Al ballo dei Claybourne.»

Lovingdon non la guardò mentre se ne andava e tenne invece gli occhi puntati sul camino, nel quale si erano spente anche le ultime braci. Grace gli aveva chiesto l'impossibile, proprio come Juliette.

Non lasciarci morire.

Non lo farò.

Ma lo aveva fatto.