7

Lovingdon aveva voglia di sprofondare nel grembo di una femmina, di annegare nell'alcol e di dimostrare alla Dea Bendata che, per quanto tremende fossero le carte, non aveva bisogno di lei. Era capacissimo di cavarsela da solo.

Quindi, a parte maledire Grace, cosa diavolo ci faceva là? Aveva temuto che il primo ballo dopo la scomparsa di Juliette gli avrebbe dato l'impressione di un violento calcio in mezzo alle gambe. Non poteva negare che, per pura abitudine, appena entrato nel salone si era guardato intorno per cercarla.

Ma poi il suo sguardo era stato rapito da una folta chioma color rame, trattenuta da pettinini di madreperla, e da un sorriso che minacciava di mozzargli il fiato, benché non fosse rivolto a lui. Con chi accidenti stava ballando? Non riconobbe il giovanotto, ma era evidentemente più vicino all'età di Grace che alla sua. Si ripropose di raccogliere informazioni, ma poi decise che sarebbe stato inutile. Lei aveva bisogno di un uomo più stabile, più maturo di quello. Il fatto che lui si fosse innamorato a soli diciannove anni non aveva attinenza con la situazione. Inoltre non gli piaceva l'aspetto di quel ragazzo; sembrava troppo avido di denaro.

Si era insinuato in casa dai giardini del retro, passando dalla portafinestra del terrazzo. Con immensa soddisfazione, da dove si trovava riusciva a osservare indisturbato il ricevimento. Non era accaduto lo stesso al primo ballo della sua vita, tanti anni addietro; in quel caso, infatti, appena varcata la soglia era stato preso d'assalto da tutte le mamme di figlie nubili. Allora, però, era un uomo ben diverso. Invece al presente, benché vantasse ancora un titolo rispettato e generose rendite annuali, era assai poco ambito a causa del comportamento disdicevole. Pur essendo un ottimo partito, non era augurabile come consorte.

Grace aveva scorto Lovingdon tre balli prima, mentre danzava il valzer con Lord Edmund Manning, un secondogenito intenzionato a migliorare le proprie condizioni tramite il matrimonio. Non lo prendeva sul serio come corteggiatore, ma notando il cipiglio del duca non aveva potuto impedirsi di allargare il sorriso.

Lui restava appostato nell'ombra come un malandrino, e Grace non poteva negare di aver provato un impeto di gioia quando lo aveva visto da lontano, seminascosto dalle fronde. Poiché non era timido, con ogni probabilità scompariva sullo sfondo per evitare di venire avvicinato da madri disperate, contente di ritrovarlo. Ma lei avvertiva il suo sguardo su di sé, che la seguiva con insistenza.

Appena la musica si spense, il cavaliere di turno la scortò fuori dalla pista da ballo.

«Grazie, Lord Ekroth» lo congedò con un sorriso quando giunsero all'angolo salotto, dove l'aspettava la sua cameriera personale.

«Mi auguro che al prossimo ricevimento riserverete due danze per me.» Il giovanotto si portò la sua mano alle labbra e la fissò negli occhi. «E spero anche di potervi venire a trovare domani.»

«Non posso promettervi i due balli, tuttavia sarò lieta di ricevervi a casa.»

«A domani, dunque.»

Lord Ekroth uscì dal salone e si diresse al piano superiore, senza dubbio per recarsi nella sala da gioco. Le aveva manifestato apertamente il suo interesse, chiarendo che intendeva ballare soltanto con lei. Era alto e bruno, con carnagione olivastra; la madre, proveniente dall'Italia, aveva portato con sé un piccolo patrimonio, tuttavia, se le dicerie erano fondate, non era stato amministrato bene dal padre.

«Spero che non prendiate in considerazione quel tipo.»

Grace si girò e sorrise a Lovingdon. «Lord Ekroth?»

Lui confermò con un cenno. «Non prova niente per voi.»

Lei rise incredula. «Mi pare un giudizio troppo sbrigativo. So da fonti attendibili che è proprio il contrario.»

«Bene, allora. Se avete informatori così affidabili, non avete bisogno delle mie osservazioni.» Si voltò per andarsene, ma lei lo afferrò per un braccio.

«Aspettate, io...» Cosa poteva dirgli per trattenerlo? «Tengo in gran conto le vostre opinioni.»

Lui le rivolse un sorriso cupo. «Come è giusto.»

Grace aveva voglia di alzare gli occhi al cielo per tanta presunzione, invece notò con sincerità: «Non mi aspettavo che veniste».

«Ho capito che non posso evitare feste e ricevimenti per il resto della mia vita.»

«In realtà potreste, ma sono contenta della vostra decisione. È stato molto difficile?»

«Non quanto temevo. Mi sono concentrato su chi è presente, anziché su chi è assente. Chi era il ragazzino con cui ballavate prima? Scommetto che non ha ancora iniziato a usare il rasoio.»

Con discrezione, lei gli sferrò un piccolo pugno al braccio. «Lord Edmund Manning, un figlio cadetto abbastanza onesto da dichiararmi che ha intenzione di migliorare le proprie condizioni tramite il matrimonio.»

«Mi auguro lo abbiate informato che non sarà grazie alle nozze con voi.»

«Non sono stata così schietta, però dubito che domani mattina mi spedirà fiori. Su cosa basate il vostro giudizio riguardo a Lord Ekroth?»

«L'ho guardato mentre ballava con voi.»

«Si comportava da perfetto galantuomo.»

«Esatto.»

Grace corrugò la fronte. «Discuteremo in seguito dei vostri commenti criptici. Il prossimo ballo sta per iniziare e il mio carnet è pieno.» Peccato, pensò, poiché le sarebbe piaciuto avere uno spazio libero per lui.

«Fatemi vedere.» Lovingdon tese la mano coperta dal guanto.

«Vi ho già avvisato che limitarsi a leggere i nomi...»

«Ho osservato parecchi gentiluomini mentre volteggiavano con voi per la pista.» Schioccò le dita. «Il carnet e la matita.»

A volte era irritante da morire, eppure lei apprezzava la sua tendenza a esprimersi con sincerità. Con un sospiro, gli consegnò quanto richiesto e lo guardò con crescente orrore mentre cancellava un nome dopo l'altro, prima di restituirle il carnet. Tutti quelli che avevano danzato insieme a lei erano stati depennati. «Tutti quanti?»

«Tutti quanti.»

«E Lord Vexley?» gli domandò con una risatina caustica. «Avete tracciato una riga anche sul suo nome, eppure non mi ha ancora fatto da cavaliere.» Almeno non a quella festa, non sotto lo sguardo critico di Lovingdon. Con la coda dell'occhio, Grace lo vide avvicinarsi, poiché era il suo turno. La musica stava ricominciando.

«Mi irrita» dichiarò il duca.

«Davvero? A me invece no.»

«Dovrebbe, se aveste un briciolo di buonsenso. E comunque adesso danzerete con me.»

Il cuore di Grace ebbe un sobbalzo. «Non pensavo vi interessasse il matrimonio e, considerata la vostra nomea, potreste determinare la mia rovina. Siete qui soltanto per guardare, no?»

Lovingdon le scoccò un'occhiataccia, forse irritato da lei ora. «Osservare non basta. Vi occorre una lezione. Intendo dimostrarvi come ballerebbe con voi un gentiluomo animato da un vero interesse.»

«Ma avevo promesso a Lord Vex...»

«Ci penso io.» L'afferrò per un braccio e la trascinò verso la pista, passando oltre Vexley. «Scusate, amico, ma questo ballo è mio.»

Senza rallentare l'andatura, la condusse al centro del salone prima che potesse fiatare. Grace avrebbe dovuto protestare con veemenza e abbandonarlo all'istante, tuttavia desiderava troppo danzare insieme a lui. Forse non ne avrebbe mai più avuto l'occasione. Gli posò una mano sulla spalla mentre Lovingdon le prendeva l'altra e le posava quella libera sulla schiena. Malgrado la barriera del guanto e degli indumenti, lei ne avvertiva l'intenso calore.

«Siete stato assai sgarbato» lo criticò.

«Purtroppo vi rendereste conto del debito che avete con me soltanto se sposaste quel povero idiota.»

«Non credo sia tanto stupido. Abbiamo danzato insieme in passato e trovo la sua conversazione piuttosto gradevole.»

«Parla mentre ballate?»

«Certo.»

«Allora non prova un vero interesse per voi.»

«Perché chiacchieriamo?»

«Mentre ballate. Lo scopo della danza è fornire un pretesto per stare vicini. Se un gentiluomo è davvero attratto da una signora, ne approfitta, e la guarda come se fosse l'unica nel salone. Quelli che ho cancellato dal vostro elenco passavano il tempo a guardarsi in giro.»

«Per evitare di scontrarsi con altre coppie.»

«Non ho mai smesso di trattenere il vostro sguardo sin da quando abbiamo iniziato il valzer, eppure non abbiamo urtato nessuno.»

Benché volesse negarlo, le era impossibile. «Loving...»

«Shh.»

Grace fu sul punto di intimargli di non zittirla, ma le parole che seguirono le fermarono il cuore nel petto.

«Prestate attenzione a quello che facciamo.»

Lei sapeva di preciso cosa facevano, poiché era l'attività che aveva svolto per gran parte della serata, cioè ballare. Il valzer, in quel caso particolare. Lui, però, le stringeva con forza le dita e la fissava negli occhi con un'intensità indicibile. Grace divenne consapevole della sua estrema vicinanza, del suo profumo al bergamotto, delle sue lunghe gambe che le sfioravano la gonna.

«Siamo vicini in maniera sconveniente» sussurrò.

«Esatto.»

«Diamo scandalo.»

«Se un uomo vi desidera davvero, cosa gli importa?»

«Se mi amasse, vorrebbe tutelare la mia reputazione, evitare in ogni modo di mettermi in imbarazzo.»

«Se tenesse a voi, non si guarderebbe attorno per cercare una dama per il prossimo ballo, oppure per catturare lo sguardo di una signora con la quale intende incontrarsi in segreto in giardino.»

Lei sgranò gli occhi. «Lord Ekroth... Un convegno clandestino? Con chi?»

«Stiamo parlando troppo.»

Il cambiamento fu sottile, ma comunque percepibile. La pressione delle dita sulla schiena divenne più decisa, la stretta sulla mano più ferma, lo sguardo più intenso, il contatto delle gambe più insistente. La luce dei lampadari si rifletteva sulla chioma color oro scuro di Lovingdon. Lui non sorrideva, ma lasciava le labbra morbide, rilassate, come in attesa paziente di un bacio. La stava catturando, ammaliando fino a indurla a dimenticare che erano attorniati dalla folla. Si muovevano con un'armonia che non richiedeva alcun ragionamento. Le punte dei piedi di Grace erano al sicuro con lui, così come tutto il resto.

Mentre concepiva quel pensiero, ammise a se stessa che era una menzogna. Al duca non interessava sposarla, e se le voleva bene era solo in quanto amico. Questo lo rendeva molto pericoloso per il cuore, che non possedeva lo stesso senso pratico della mente.

Gli ultimi accordi echeggiarono nell'aria. Lovingdon smise di danzare, però non la lasciò. Grace aveva la strana sensazione che la vedesse davvero per la prima volta.

«Di sicuro non vi trascinerebbe via dalla pista da ballo» l'avvisò.

Quelle parole spezzarono l'incantesimo. «Scusate?»

«Un gentiluomo che vi apprezza non avrebbe premura di liberarsi di voi e di cedervi subito a un altro.» La prese sottobraccio e l'accompagnò con lentezza verso i margini del salone. Con una calma estrema, come incapace di accettare l'idea di allontanarsi da lei. «Ekroth correva quasi mentre vi accompagnava a sedere, per la fretta che aveva di recarsi al suo appuntamento.»

In effetti, a ripensarci, era parso piuttosto ansioso di lasciarla. Grace indicò una coppia in piedi vicino alla portafinestra del terrazzo. «Lady Beatrix è sicura che Lord Winthrop chiederà la sua mano prima della fine della Stagione.»

«Non lo farà.»

«Come potete averne la certezza?»

«Guardate. Vedete come seguita a scoccare occhiate alle tre signore vicine alla palma in vaso? Gli piace Lady Marianne.»

«Oppure una delle altre due.»

«Osservatelo per il resto della serata. Penso che, alla fine, sarete d'accordo con la mia valutazione.»

Infine raggiunsero l'angolo in cui l'aspettava la cameriera e trovarono Lord Canton che saltellava quasi per l'impazienza. Il ballo successivo stava per iniziare, e Lovingdon non aveva depennato il nome del conte dal carnet.

«Milord» lo salutò Grace.

«Lady Grace.» Chinò il capo. «Vostra Grazia. Strano vedervi qui. Non credevo foste il tipo da partecipare a ricevimenti come questo.»

«Dove altro un gentiluomo potrebbe avere l'onore di ballare con Lady Grace?»

Canton si immobilizzò a metà di un saltello, ritrovandosi con la sommità del capo al livello della spalla del duca. «Siete venuto apposta per lei?»

«Tutto quello che faccio è per lei.»

Se l'altra sera in carrozza non le avesse dimostrato che non parlava sul serio, ma solo per provocarla e impartirle un insegnamento, quelle parole le avrebbero generato un fremito nel petto. Invece, con discrezione, levò la mano dal suo avambraccio e la porse a Canton. «Credo che questo ballo sia vostro.»

Offrendole il braccio, il conte scoccò a Lovingdon un'ultima occhiata, poi accompagnò lei di nuovo in mezzo alla folla di ballerini.

«Prestate attenzione con lui» l'ammonì Lord Canton a voce bassa, fumante di collera.

«Conosco Lovingdon sin dall'infanzia. È assai difficile che riesca a cogliermi alla sprovvista.»

Anche se l'aveva sorpresa venendo alla festa.

Cosa diavolo gli era saltato in mente di ballare con lei? Lovingdon, appartato in un angolo in ombra del terrazzo, guardava distrattamente verso il giardino passandosi una moneta sopra e sotto le dita. Il movimento lo calmava, gli ridava un senso di equilibrio. Era stato Jack a insegnargli quel trucco per mantenere le dita agili. Dubitava che un altro uomo in tutta Londra fosse svelto quanto lui a togliere il corsetto a una signora.

Tuttavia, mentre danzava con Grace, aveva pensato che con lei non avrebbe avuto alcuna fretta. Al contrario, aveva immaginato di procedere con una lentezza estrema, di liberarla dall'indumento come fosse un regalo prezioso, pregustando e ammirando quanto scopriva via via.

«Provate interesse per Lady Grace Mabry?» gli domandò Lord Vexley alle sue spalle.

Lui non si curò nemmeno di girarsi. «La questione non vi riguarda.»

«Merita un uomo migliore di voi.»

«Lo stesso si può affermare di voi.»

«Io almeno le sarei fedele. Potreste promettere lo stesso?»

Lovingdon non rimaneva mai a lungo con una donna, poiché dopo un certo tempo si annoiava. Un periodo assai breve. Gli piaceva assaggiare, ma non soffermarsi. «L'ho già avvisata di starvi lontano.»

«Se capisco qualcosa di Lady Grace è che sa quello che vuole.»

«E se capisco qualcosa di voi è che avete un bisogno disperato di denaro.» A quel punto si girò. I lineamenti di Vexley si distinguevano soltanto in parte, poiché il resto si perdeva nell'ombra. «Merita ben più di un uomo che, nel guardarla, vede soltanto la ricchezza.»

Fino ad allora non si era reso conto del tutto della verità di quelle parole. Era giusto che Grace trovasse l'amore che tanto agognava. Quella sera era venuto nella speranza di liberarsi di lei, tuttavia ora temeva che una sola serata non sarebbe bastata.

«Forse i miei forzieri sono vuoti, ma il mio cuore non lo è» dichiarò Vexley.

Lovingdon rischiò di vomitare, nauseato da quelle parole patetiche. Senza dubbio il giovanotto avrebbe tentato di conquistare Grace con simili melensaggini da quattro soldi.

D'impulso lo afferrò per i risvolti della giacca e, con uno strattone, lo avvicinò a sé. Vexley sbarrò gli occhi al punto di renderne visibile il bianco, malgrado la penombra. «Cercate una consorte altrove. Grace non fa per voi.»

«Sta alla signora decidere. Io intendevo soltanto sondare il vostro interesse per lei. Preferisco conoscere i miei rivali.»

«Sopravvalutate il vostro valore se credete di poter competere con me in qualunque campo, a qualsiasi livello.»

«Non avete mai sentito, Vostra Grazia, che l'orgoglio porta alla rovina? Adesso, se foste tanto gentile da lasciarmi...»

Lui lo spinse indietro e mollò la presa. «Statele alla larga.»

Senza pronunciare un'altra parola, Vexley si allontanò. Soltanto allora Lovingdon si accorse di avere la mano indolenzita. Non ricordava quando avesse smesso di far girare la monetina, ma notando la tensione del pugno comprese che, senza guanto, si sarebbe tagliato con le unghie. Con estrema lentezza, distese le dita.

Non capiva di preciso cosa lo infastidisse in Vexley. Non aveva mai dato molto ascolto alle dicerie secondo cui aveva maltrattato qualche giovane donna, ma se immaginava che toccasse Grace...

Accidenti a tutto! L'idea che chiunque le mettesse le mani addosso gli faceva ribollire il sangue. Non la voleva assistere nella ricerca di un consorte, ma come avrebbe potuto placare la coscienza se fosse diventata una moglie infelice?

Più tardi, quella notte, si trovò con seduta in grembo una donna tutta curve, senza nemmeno un'asperità. Era il genere di femmina in cui un uomo si poteva smarrire. Una ninfa discinta che avrebbe danzato in un giardino. Gli aveva slacciato il fazzoletto da collo, poi sbottonato il panciotto e la camicia, e al momento gli sfiorava la gola con calde labbra, umide di vino. Lovingdon avrebbe dovuto concentrarsi su di lei, invece rivedeva, in parata, tutti gli uomini che avevano danzato insieme a Grace. Per la precisione, era Grace a occupare la sua mente: il suo sorriso, la sua risata, i suoi occhi più luminosi di qualunque lampadario di cristallo.

Era venuto da Avendale nella speranza di allontanare ogni pensiero che la riguardasse, almeno per un paio d'ore. Il cugino era l'uomo più dissoluto di sua conoscenza: quando non si trovava ai Cremorne Gardens, riempiva la casa di donne di ogni genere e corporatura; il liquore scorreva a fiumi, il cibo abbondava e le camere da letto erano aperte a tutti gli amici. Avendale era convinto che la vita andasse vissuta in pieno, senza pentimenti.

Lovingdon aveva abbracciato il suo esempio.

Al momento avrebbe dovuto abbracciare Aphrodite. Dubitava che fosse il suo vero nome. In quella dimora, le signore si facevano chiamare come pensavano piacesse agli uomini. Era pura finzione, senza nulla di reale.

«Magari dovresti provare con Persephone» gli consigliò laconico Avendale.

Aphrodite smise all'istante di dedicargli attenzioni. Lovingdon alzò lo sguardo sul cugino, che gli stava di fronte con in mano un calice d'argento, senza dubbio pieno fino all'orlo.

«Hai l'aria di tentare di risolvere una complicatissima formula matematica» proseguì. «O magari un problema di fisica.»

Lovingdon diede un colpetto al fianco di Aphrodite. «Dolcezza, andate a prendere un po' di vino per noi.»

Senza commenti né reazioni, lei scese con movimento goffi dal suo grembo e si allontanò per esaudire la richiesta. Era proprio questo il punto. Le donne che frequentava di recente erano sempre ansiose di compiacerlo, il che avrebbe dovuto dargli soddisfazione. Invece lui si ritrovava a pensare a Grace, troppo innocente un istante, troppo esperta del mondo un istante dopo. Non si faceva scrupoli a criticarlo, a provocarlo, a esprimergli la propria delusione. Ci sarebbe voluto un uomo davvero speciale per amarla come meritava, per accettare la sua franchezza, per non smorzare il suo spirito pronto allo scopo di dominarla.

Avendale si lasciò cadere nella vicina poltrona e stese le gambe davanti a sé. «Ho sentito che stasera hai partecipato a un ballo.»

«Chi te lo ha riferito?»

Il cugino scrollò le spalle. «Mi giunge ogni genere di notizie da qualunque tipo di persone. Intendi tornare sul mercato matrimoniale?»

«No, Dio, no! Do una mano a Grace. Te lo avevo detto.»

«Credevo avessi deciso di declinare questa responsabilità.»

«Non è una responsabilità, ma un...» Dannazione! Era davvero un onere gravoso che lui non desiderava, ma che si sentiva sempre più costretto ad assumere. Si guardò intorno. «Tutto questo non ti viene mai a noia?»

Tamburellando con le dita sul calice, Avendale scosse la testa. «Senza distrazioni di questo genere, diventerei pazzo.»

Lui aggrottò le sopracciglia e osservò il cugino che aveva imparato a conoscere negli ultimi due anni. O almeno così credeva. «Distrazioni da cosa?»

«Dalla noia, è ovvio.»

«Avevo l'impressione che ti riferissi ad altro.»

Avendale alzò il bicchiere. «Non ho ancora bevuto a sufficienza per discuterne. A questo punto penso di andare in cerca di compagnia femminile. Stanotte non sei molto allegro.»

«Che informazioni hai su Vexley?»

«Non ha il becco di un quattrino, a quanto si dice in giro. In compenso è attraente e titolato e vanta tre tenute. Cosa potrebbe desiderare di più una donna con una ricca dote?»

Senza dubbio molto di più. E se lo meritava.