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«Se un uomo è davvero attratto da noi, ci guarda negli occhi mentre parliamo, e se teniamo la voce bassa si avvicina per sentirci meglio. In caso contrario, non prova un autentico interesse.» Grace era in piedi in un angolo appartato del salotto dello zio Jack, immersa in una conversazione con Minerva e Ophelia. Un gruppetto di amici e parenti era venuto per cenare insieme e festeggiare il compleanno di Minerva.

Lei aveva sperato di trovare anche Lovingdon, invece non era ancora comparso. Non partecipava a una riunione di famiglia da due anni. Era davvero deludente scoprire che quella sera non avrebbe fatto eccezione. Grace sapeva che anche Minerva era scontenta. A una ragazza non capitava ogni giorno di compiere diciannove anni. Il fratello maggiore avrebbe dovuto essere presente.

«Sapete, mia nonna affermava con insistenza che una signora deve parlare piano. Mi domando se sia questa la ragione» azzardò Ophelia.

«Senza alcun dubbio» rispose Grace.

«Te lo ha spiegato il tuo gentiluomo?» chiese Minerva.

Lei confermò con un cenno frettoloso.

«Lo aggiungeremo alla nostra lista, però immagino ci sia anche altro.»

«Quante volte vi è capitato di parlare con un uomo e di sentirlo mormorare sì, sì, anche se non gli avete rivolto nessuna domanda?»

«Già, però...»

«Facciamo una prova stasera stessa» propose Lady Ophelia in tono autorevole. «Abbiamo un'occasione ideale. È un ricevimento per pochi intimi e saranno presenti diversi gentiluomini. Dovremmo riuscire piuttosto in fretta a ottenere risultati indicativi. Ci riuniremo in seguito in giardino.»

«Sì, d'accordo» assentì Minerva. «Anche se mio fratello sarebbe un campione perfetto, poiché se ne infischia dell'amore e delle donne.»

Grace sentì il viso scaldarsi, rammentandolo mentre le donava piacere. Le era facile ricordare ogni sensazione che le aveva procurato con apparente disinvoltura. «Sarebbe più corretto affermare dell'amore e del matrimonio. Di sicuro non pratica la castità.»

«Perché lo pensi?»

Per esperienza personale. A causa di una recente e sconsiderata visita a tarda ora, che l'aveva tenuta sveglia ogni notte successiva, intenta a chiedersi se fosse il caso di recarsi ancora da lui, solo per concludere che, con ogni probabilità, non lo avrebbe trovato a casa, o comunque non da solo. Quell'unica volta aveva rappresentato un'anomalia. Lovingdon aveva un gran bisogno di compagnia femminile. «Il celibato non si addice a un briccone, o almeno così ho sentito.»

Dal tuo stesso fratello.

«Hai ragione, Grace» convenne Ophelia. «Solo vino, donne e gioco d'azzardo, secondo mio fratello.»

«Lovingdon!» esclamò in quel momento la madre di Minerva.

Grace si girò e la vide abbracciare sulla soglia il primogenito. Dietro di lui, due lacchè reggevano una scatola piuttosto grande. Altri vetri pregiati?

«È venuto» mormorò d'un soffio Minerva con gioia evidente, affrettandosi ad andargli incontro.

Lei la seguì da presso per non perdersi l'accoglienza calorosa. Sapeva che il duca si era distanziato dalla famiglia dopo la scomparsa di Juliette. Un momento inopportuno, poiché i suoi cari avrebbero potuto aiutarlo a superare il lutto e assicurarsi che non si smarrisse nella sofferenza.

Minerva si fermò di fronte a lui. «Sono tanto contenta che tu sia venuto.»

«È il tuo compleanno, no?» ribatté Lovingdon. «Ti ho portato un regalo. È piuttosto pesante. Ragazzi, mettetela sul pavimento.»

I domestici eseguirono. Minerva, malgrado l'abito da sera, si inginocchiò e alzò il coperchio. «Oh, cielo! Che cos'è?»

Lovingdon diresse un cenno ai lacchè, che estrassero l'oggetto dalla confezione e lo posarono al suolo con un suono metallico. Era una sorta di macchinario, con quattro file di tasti ovali, su ognuno dei quali era segnata una lettera dell'alfabeto...

«È una macchina per scrivere» spiegò quindi. «Vuoi diventare scrittrice, no? Premi la lettera che vuoi e questa rimane stampata sul foglio che inserisci. Dopo ti mostrerò come funziona.»

«Meraviglioso.»

«Ebbene, poiché fatico a decifrare la tua grafia, ho pensato che potrebbe rivelarsi utile. Così eviterai che gli editori ti attribuiscano parole sbagliate.»

«Sei il miglior fratello maggiore che una ragazza possa avere.» Con le lacrime agli occhi, gli gettò le braccia al collo.

«Mi dispiace, Minnie» sussurrò Lovingdon. «Scusami. Non venivo qui da parecchio tempo...»

Proprio allora scorse Grace. Il suo sguardo rivelava un certo rammarico, ma soprattutto gratitudine. Lei sentì il cuore fare tre piccole capriole, mentre non avrebbe dovuto sobbalzare affatto, almeno non per lui. Tuttavia non poteva impedirsi di credere che, con lentezza ma in maniera irrevocabile, stava guarendo nell'animo e che forse un giorno si sarebbe di nuovo innamorato. Non di lei, ovvio. Grace era troppo ardita e testarda per i suoi gusti. Ricordava che Juliette era una donna schiva, riservata e a modo. Da questo punto di vista non avrebbero potuto essere più diverse.

Quando Minnie sciolse il lungo abbraccio, Lovingdon venne avanti e strinse la mano dello zio Jack. Benché Jack Dodger non fosse consanguineo di Grace, era un carissimo amico di sua madre, quindi lei lo aveva sempre considerato uno zio.

Infine Lovingdon le andò di fronte, con un lampo malizioso negli occhi che le fece mancare un colpo al cuore. Da quanto tempo non lo vedeva con quell'espressione spensierata, quasi si fosse liberato da un peso? «Questa sera verrà servito del rum?»

Lei gli rivolse un sorriso complice, sforzandosi di non arrossire. «Non alle signore.»

«È un vero peccato» commentò lui sottovoce.

Per distogliere le menti di entrambi da argomenti che conveniva evitare, Grace indicò con un cenno la macchina per scrivere. «Un congegno interessante. Non ne avevo mai sentito parlare.»

«Si tratta di un'invenzione abbastanza recente. Però non so se abbia un grande futuro. A me sembra piuttosto lenta e ingombrante.»

«In ogni caso vi siete ricordato del sogno di Minerva, ed è questo che conta.»

«È molto strano» commentò Avendale. «Tutte le donne parlano così a bassa voce che non riesco a sentirle senza avvicinare l'orecchio.»

Durante la cena, anche Lovingdon aveva notato quel fenomeno curioso. Al momento si trovavano nel salottino riservato ai gentiluomini, intenti a bere porto e fumare sigari, mentre le signore, in un altro locale, sorseggiavano il tè. Gli era facile immaginarsi l'impazienza di Grace per quel piccolo rituale. Senza dubbio avrebbe preferito di gran lunga stare con loro.

Lui, Avendale e Langdon si erano separati dagli altri. Era contento in maniera insensata che fossero presenti pochi scapoli. Nessuno di questi aveva dedicato attenzioni particolari a Grace. Forse a causa dell'occasione, o magari perché avevano abbandonato la speranza di conquistare la sua mano. Lovingdon si augurava che fosse questo il caso, anche se si chiedeva per quale motivo lo sperasse tanto.

Se lei stava restringendo la selezione, significava che avrebbe deciso presto e che quindi non avrebbe più avuto bisogno dei suoi consigli. E così lui si sarebbe risparmiato mostre, balli e altre amenità mondane. Allora perché non era entusiasta della prospettiva di tornare a vivere come prima che Grace bussasse alla porta della sua camera da letto?

«Ebbene, potremmo fare una partita a carte» propose Avendale. «In seguito penso di dirigermi alla Dodger's Drawing Room. Almeno là sento bene quello che si dice.» Si sfregò la nuca. «Tutto questo chinarsi mi ha fatto venire il torcicollo.»

Cominciarono a prendere accordi per una sosta ai Cremorne Gardens lungo il tragitto per la casa da gioco. Tuttavia quella sera, per qualche motivo, Lovingdon non era per nulla attratto dall'idea, anzi si chiese come mai lo fosse stato in passato. «Se mi scusate, amici, esco a prendere una boccata d'aria.»

Uscì da una porta laterale, che conduceva in terrazza. Le lampade a gas rischiaravano il vialetto del giardino. Era cresciuto in quella dimora e ne conosceva ogni angolo; avrebbe potuto percorrere i vialetti al buio senza mai inciampare. Udiva lo stridio dei grilli e il fruscio delle foglie che sfioravano il muro di mattoni. Erano i normali suoni notturni, ma in genere non comprendevano sussurri.

Più in silenzio che poté, scese dalla terrazza e si diresse verso un lato. Da qui spiò da dietro una siepe e scorse tre giovani donne. Vedeva giusto? No, non era possibile. Invece sì: si stavano passando un sigaro.

«... un fallimento» dichiarò Lady Ophelia. «Tutti i gentiluomini si sono chinati per ascoltarci. Non possono essere innamorati in massa di noi.»

«Ci occorre un'altra prova» insistette Minnie. «Erano in pochi, e ci vogliono tutti bene, quindi è naturale che si sforzassero di seguire i nostri discorsi.»

«Magari. Ma non può essere, Grace, che il tuo gentiluomo si sbagli?»

Lovingdon rimase di sasso. Riferiva alle amiche ciò che le diceva lui? Era impazzita? Eppure era convinto di godere della sua piena fiducia e che quanto le rivelava restasse tra loro.

«È molto esperto riguardo a questioni simili» dichiarò lei, «quindi ne dubito.»

«Chiedi al tuo consigliere cosa significa se un gentiluomo passa la cena a lanciare occhiate furtive a una ragazza che non gli siede accanto» le suggerì Minnie. «Poiché ho notato che uno in particolare ti dedicava molta attenzione.»

Si riferiva a lui? Lovingdon, in effetti, aveva guardato parecchie volte Grace, ma quale uomo non lo avrebbe fatto? Era radiosa e sorridente, sempre pronta a ridere.

«Chi lanciava occhiate?» si informò Grace.

Prima che la sorellastra potesse rispondere, lui girò attorno alla siepe. «Signore.»

Le tre amiche sobbalzarono strillando, simili a topolini sorpresi da un gatto, ma in quel momento lui si sentiva molto più feroce di un comune felino. Non era affatto addomesticato e, al contrario, era pronto a colpire.

«Henry!» lo rimproverò Minnie. «Non dovresti coglierci così alla sprovvista.»

«E tu sbagli a rubare i sigari di tuo padre.»

«Soltanto uno. E comunque sono per gli ospiti. Lui preferisce la pipa, quindi non sa mai quanti ce ne siano in giro.»

Lovingdon tese una mano a Grace, che al momento aveva la refurtiva. Sollevando il mento, lei prese una lunga boccata, poi passò il sigaro a Lady Ophelia, che almeno ebbe il pudore di esitare un istante prima di aspirare a sua volta. Venne quindi il turno di Minnie. Poiché nessuna di loro tossiva...

«Da quanto tempo vi dedicate a questa attività deplorevole?» si informò lui.

«Da circa cinque minuti, direi» rispose Grace dopo una breve riflessione. Il tono deciso lasciava intendere che non era affatto intimorita. Non che Lovingdon fosse mai riuscito a imporsi con lei.

«Intendevo dire: quando avete fumato per la prima volta?»

«L'anno scorso» rispose Minnie prendendo un'altra boccata prima di porgergli il sigaro. «Non è giusto che gli uomini si godano il porto e il fumo, mentre le donne si limitano a lavorare con l'ago e sorseggiare il tè. E ricamo molto peggio di come scrivo.»

«Giusto o no, le signore non si devono comportare così.»

«Perché è disdicevole per noi, ma non per voi?» ebbe l'audacia di chiedere Grace.

Era una domanda sensata, però lui non intendeva rispondere. «Sapete anche voi che è sbagliato, altrimenti non stareste nascoste qui fuori» notò in tono autorevole, da fratello maggiore.

«È proprio la proibizione a renderlo gradevole» commentò Grace.

Su questo lui non poteva discutere, però si chiese quanti altri divieti avesse infranto. «I gentiluomini hanno quasi finito. A questo punto dovreste rientrare.»

«Lo riferirai a papà?» azzardò Minnie.

«È il tuo compleanno, quindi no» la rassicurò lui, anche se sospettava che Jack l'avrebbe approvata per quella piccola infrazione. Non aveva mai rispettato molto le regole e spesso lo aveva incoraggiato a deviare dalla retta via, almeno di tanto in tanto. Lovingdon, però, aveva sempre tenuto un comportamento esemplare finché non era rimasto vedovo. A quel punto aveva colto i pregi del suggerimento di Jack. «Promettimi soltanto che non lo rifarai.»

«Prometto di non rubare più i sigari di mio padre.»

Si era impegnata troppo in fretta, e si era espressa in modo da poter agire a suo piacimento senza venire meno alla parola data. Lui, però, non aveva voglia di analizzare la frase con troppa attenzione. Ormai era una giovane signora, e c'era altro che preferiva esaminare. «Entrate.»

«Sei un fratello maggiore fantastico» lo elogiò Minnie, appena prima di condurre l'allegro gruppetto verso le porte laterali della terrazza.

«Lady Grace» chiamò lui in un sussurro, «possiamo scambiare due parole?»

Si fermarono tutte e tre, e Lovingdon fu tentato di esortarle a ricordare i propri nomi, facendo notare che non si era rivolto alle altre due. Comunque Grace le mandò via e gli si avvicinò.

«Sì, Vostra Grazia?» gli chiese in tono di sfida.

«Avete riferito a tutte loro le mie osservazioni?»

«Hanno il diritto di sposarsi per amore tanto quanto me.»

L'idea che Minnie, la cara Minnie, si unisse in matrimonio con un uomo che non l'amava lo fece rabbrividire. Lovingdon non aveva neppure presenziato al suo debutto. Anche se la reputazione del padre avrebbe dissuaso chiunque dal comportarsi male, questo non le garantiva di trovare il vero amore. Lui doveva prestare più attenzione a quello che succedeva in giro, in Società. Il suo mondo si era assai ristretto, e per la prima volta in due anni ebbe l'impressione che fosse troppo angusto.

Lasciò cadere a terra il sigaro fumante e lo frantumò con la punta dello stivale. Era pronto a fare a pezzi chiunque rendesse infelice la sorella.

«Non sanno chi mi fornisca i consigli» gli spiegò Grace.

E a quel punto Lovingdon comprese perché, quella sera, tutte quante parlassero sottovoce. Dio, aveva voglia di ridere. E anche di altro.

Le si mise di fronte. Lei arretrò fino a urtare con la schiena il muro di mattoni.

«Non siate adirato» lo pregò.

«Non lo sono, però mi sono appena reso conto di non avere mai baciato una donna che sapesse di tabacco.»

«Oh!»

Quella breve esclamazione gli trafisse il basso ventre. Era pericoloso, molto pericoloso. Eppure Lovingdon pareva incapace di allontanarsi. Le prese il viso tra le mani e posò le labbra sulle sue. Il gusto di sigaro che aveva pregustato era lieve. Predominava quello di Grace, con le sue dolci tentazioni.

Nella fantasia doveva averla baciata migliaia di volte dalla notte in cui si era presentata nella sua biblioteca per ringraziarlo della caraffa e dei calici. Aveva rinunciato ai divertimenti notturni per fissare il dannato vaso e pensare al calore, al rosso e al rame. Aveva sorseggiato rum nella speranza di rievocare il sapore delle sue labbra.

Negli ultimi due anni, tante donne erano entrate e uscite dalla sua vita. Eppure non rammentava il gusto di nessuna di loro.

Ricorderà il vostro sapore.

Ricorderà il vostro profumo.

Tuttavia si rifiutava di inserirsi nella categoria dei possibili innamorati di Grace. Non voleva amare mai più, anche se aveva appreso per esperienza che non sempre si otteneva quanto si desiderava.

Comunque in quel preciso momento voleva molto da lei: un bacio destinato a durare fino all'alba, un corsetto sbottonato che mettesse in mostra i seni, una gonna sollevata fino al delizioso intimo centro. Tuttavia Grace era attesa dalle amiche, e lui conosceva abbastanza bene l'impazienza di Minnie da prevedere che si sarebbe intromessa da un momento all'altro, quindi ingollò le proprie voglie, a rischio di mandarle di traverso, e si ritrasse.

«Mi piace di più il rum» commentò.

Lei alzò un angolo della bocca con uno scintillio malizioso negli occhi. «E io preferisco il whisky al porto.»

«La prossima volta vedrò di accontentarvi.»

Con questo Lovingdon girò sui tacchi e si allontanò, chiedendosi come mai fosse così convinto che ci sarebbe stata una volta successiva. Se dipendeva da lui, non aveva dubbi in proposito.

«Lovingdon?»

Si fermò e si lanciò un'occhiata alle spalle.

«Cosa significa se un uomo guarda di sottecchi una donna durante l'intera cena?»

«Che è la più bella di tutte, immagino.»

Grace era davvero la più avvenente tra le signore presenti. Lui non intendeva certo offendere le altre, in particolare quelle della sua famiglia, però lei portava alla perfezione il suo nome, aggraziata ed elegante com'era. I lineamenti erano armoniosi, ma il fascino andava oltre il piano fisico, poiché includeva una bellezza interiore che si irradiava attraverso la superficie.

Intento a giocare a carte nella saletta riservata della Dodger's Drawing Room, Lovingdon alzò lo sguardo quando sentì la porta aprirsi. Attese con il fiato in sospeso pregustando...

Imprecò tra sé appena Avendale scostò i pesanti tendoni e fece ingresso nel locale. «Scusate il ritardo, amici. Spero che Lovingdon non vi abbia ancora sottratto tutti i contanti.»

Risate e scherzi benevoli seguirono il commento. Lui non sapeva per quale strano motivo avesse sperato di veder entrare Grace. Avrebbe soltanto irritato gli altri, distraendoli e cambiando il corso della partita.

Trangugiò il whisky, poi aspettò con impazienza che un lacchè gli riempisse di nuovo il bicchiere. Gli era sempre piaciuto giocare, ma quella sera era irrequieto, e nemmeno girare in continuazione la moneta tra le dita riusciva a dargli un senso di quiete.

«Qualcuno di voi intende recarsi da Greystone per il ballo di mezza estate?» si informò Avendale mentre avvicinava la sedia al tavolo.

«Io ci sarò» annunciò Langdon. «Non vedo l'ora di allontanarmi dalla città per un po'. Fa un caldo infernale.»

Lovingdon aveva notato il calore, ma soltanto nei pressi di Grace. Riusciva sempre a elevare la sua temperatura, oppure a infiammarlo di collera. Le due reazioni gli erano sembrate collegate. Magari invece era il clima. Era più facile attribuire la colpa al tempo che alla vicinanza fisica.

«La duchessa resterà delusa se non mi presenterò» mormorò Drake mentre mescolava le carte. «Quindi verrò per il ballo, anche se dubito di trattenermi oltre. E tu, Lovingdon?»

Il soggiorno annuale nella tenuta di Greystone si protraeva per parecchi giorni, con balli, giochi, concerti, partite di caccia e letture. Offriva una piacevole pausa dalla buona società inglese. Lovingdon lo aveva sempre pregustato e non se ne era mai perso uno fino alla morte di Juliette. «Non ho ancora deciso.»

«Ci saranno tutti quelli che contano» gli rammentò Drake. «Qui invece regnerà una noia mortale. Ti conviene venire.»

Il che significava raggiungere Grace. Lovingdon si chiese se in quel preciso istante non stesse entrando di soppiatto nella sua biblioteca. Forse avrebbe dovuto indicare al maggiordomo di avvisarlo se ci fossero state visite. Tuttavia soltanto una persona lo avrebbe spinto a tralasciare qualsiasi attività per tornare di corsa a casa. Qualsiasi attività, ripeté tra sé, anche se coinvolgeva una donna.

Erano passate appena tre ore da quando aveva visto Grace. Perché diavolo la pensava in continuazione? Perché voleva sapere cosa facesse da quando era finita la festa di Minnie? Qualunque signora a modo si sarebbe limitata ad andare a letto.

E quel pensiero, maledizione, lo indusse a chiedersi se si sdraiasse sulla schiena, sul ventre, oppure su un fianco. Grace lo aveva visto dormire. Era ingiusto che lui ignorasse le sue abitudini nel sonno.

«... dentro o fuori.»

Lovingdon era capace di scassinare una serratura, grazie alle istruzioni di Drake. Magari si sarebbe diretto a Mabry House e...

«Lovingdon, dove diavolo sei?» gli domandò Drake.

Appena tornò al presente, lui si accorse che erano state distribuite le carte ed effettuate le puntate. Se non si fosse concentrato, quella sera avrebbe rischiato una sconfitta rovinosa. Il problema era che se ne infischiava di dimostrare la sua abilità con le carte. Non gli importava di perdere una fortuna o di vincere. Tuttavia non era l'atteggiamento migliore con una posta elevata come quella al momento nel piatto.

«Mi ritiro» annunciò e si levò in piedi. «A dire il vero, ho capito di non aver voglia di giocare a carte. Esco a cercare un altro passatempo.»

Lovingdon era sulla soglia di un salotto riservato dove venivano soddisfatti i bisogni dell'élite. Le ragazze erano pulite e la clientela ricca. Gli affari si svolgevano con la massima discrezione. Il vino scorreva nei calici con la stessa disinvoltura con cui le donne si muovevano per il locale in penombra. Le candele fornivano un dolce bagliore e il guizzare delle fiammelle faceva danzare luci e ombre attorno ai corpi. In un gioco seducente, li celava e li rivelava.

Una donna giunonica gli andò incontro. Aveva forme abbondanti a cui aggrapparsi. Non rientrava nel suo genere abituale: non era bruna e non aveva gli occhi scuri. I capelli erano di un rosso acceso, che non sembrava naturale. Comunque a lui non importava.

Quando si avvicinò, le afferrò una mano. «Mi andate bene.» Nel retro della mente si chiese quando avesse cominciato ad accontentarsi così.

A differenza di Grace, che pretendeva paroline dolci e amore, a quella donna bastava sapere di essere stata scelta per il momento. Lovingdon l'avrebbe ricompensata bene per il tempo che gli dedicava, non solo con il piacere ma anche, subito dopo, con il denaro. La loro sarebbe stata una relazione breve, ma onesta.

La scortò fuori dalla sala e su per le scale che portavano alle camere da letto. Giunto sul pianerottolo, proseguì lungo il corridoio verso la stanza da lei indicata.

Aprì la porta e arretrò per consentirle di precederlo. Il leggero indumento di seta le avvolgeva i fianchi larghi e le fluttuava intorno alle gambe mentre ancheggiava provocante. Tutto in lei era inteso a sedurre. Sapeva cos'era e si sentiva a proprio agio.

Una volta richiuso il battente, Lovingdon la raggiunse con due lunghe falcate, l'abbracciò e iniziò a mordicchiarle la gola. Profumava di vaniglia e sapeva di arance.

«So di voi, Vostra Grazia» gli confessò con voce arrochita, gettando il capo all'indietro per facilitargli l'accesso al lungo collo. «Non vi interessano i baci.»

«No, infatti.»

«Potrei farvi cambiare idea.»

«Ne dubito.»

Sotto le sue mani, la pelle era morbida e calda, tuttavia non fremeva. Non si udivano sospiri bramosi. Le carezze non suscitavano l'impressione che i loro corpi si stessero fondendo in un tutt'uno.

Lovingdon annusò ancora il profumo e gli sembrò sbagliato. Non era di rose e lavanda. Se le percorreva il corpo con le labbra, non sentiva il gusto del rum e nemmeno quello del desiderio.

Sapeva piuttosto di noia.

Infine si scostò con un movimento brusco, andò a passo di marcia alla finestra e scrutò nella notte, verso la strada che lo avrebbe condotto a casa, e che forse lo avrebbe portato da Grace.

«Ho fatto qualcosa di male?» gli domandò la donna.

«No.» Ma nemmeno qualcosa di bene. Non era ciò che lui voleva. Non quella notte. E quanto desiderava gli era negato.

Grace meritava l'amore e lui non l'amava. Non capiva di preciso perché lo assillasse né quali sentimenti suscitasse nel suo animo, però sapeva cos'era l'amore. Il tormento che provava ora era soltanto una mescolanza di voluttà e frustrazione.

«Vi mando una ragazza diversa?» gli propose la giovane.

Era sconvolgente come fossero intercambiabili. Magari era giunto il momento di procurarsi un'amante fissa, che conoscesse e assecondasse le sue esigenze. Lovingdon scoccò un'occhiata alla donna che si attardava, incerta, al suo fianco. Al mattino le avrebbe spedito un gingillo costoso per fare ammenda per il disinteresse dimostrato. Scosse con lentezza il capo. «No, non voglio nessun'altra.»

«Però non sembrate volere neppure me.»

«Non è un problema di attrazione. Ho sbagliato a venire qui.»

Lei incurvò le labbra in un sorrisino d'intesa. «Nessuno può sostituire chi si desidera davvero.»

L'idea di non essere riuscito a tenere per sé i propri pensieri non gli piacque affatto. Incrociando le braccia al petto, si appoggiò alla parete. «E voi chi desiderate?»

«Come tutte le donne, desidero un uomo che mi apprezzi.»

Raggomitolata su un fianco, a letto, Grace accarezzava Lancelot, ma intanto pensava a Lovingdon. Con lui si sentiva bellissima. Dimenticava cicatrici e imperfezioni e si smarriva invece nelle sensazioni che il duca le regalava con indicibile facilità. Non appena le loro labbra si sfioravano, il resto del mondo cessava di esistere. Rimanevano soltanto loro due, lui che le dava tanto e lei che riceveva. Sperava, nel farlo, di donare a propria volta.

Prese in considerazione l'idea di uscire di nascosto, recarsi a casa sua e fare il possibile per procurargli il piacere senza prendere niente in cambio. Tuttavia sapeva che quella strada era irta di pericoli. Rischiava di offrirgli il cuore, mentre lui si rifiutava di aprirle il proprio.

Ripensò alle sue asserzioni.

Indovinerà quali fiori preferite.

Vi fisserà negli occhi.

Si interesserà alle vostre parole.

Lovingdon faceva tutto questo, però si comportava anche da mascalzone: la baciava a ogni occasione possibile, le procurava piacere...

Ma perché pensava che fosse una prerogativa dei mascalzoni? In fondo erano cose che avrebbe fatto anche un innamorato.

Possibile che Lovingdon le fosse affezionato più di quanto lei non si rendesse conto, più di quanto lui stesso non ammettesse?