12

Mentre sedeva sulla coperta e disegnava i cigni del lago, Grace si convinse che la compagnia di Vexley era piuttosto gradevole. Il giovanotto non sembrava avere una sola preoccupazione al mondo; non era ombroso né irascibile, e non tentava di impartirle lezioni. Del resto, nel caso di Lovingdon, era stata lei a chiederle.

Il conte l'aveva invitata a un picnic. All'ombra di un vicino albero, Felicity svolgeva il ruolo di chaperon. Non che al parco occorresse davvero una sorveglianza, poiché c'era in giro un gran quantità di gente. Vexley non avrebbe potuto approfittarne...

E nemmeno Grace.

Fingeva di interessarsi ai cigni, ma in realtà era incuriosita dalla sua bocca e tentava di immaginarla a contatto con la propria. Le era facile figurarselo se pensava a Lovingdon, invece con Vexley aveva molte difficoltà. Le labbra erano sottili. Quello superiore spariva quasi quando sorrideva, cosa che capitava spesso. Anche i baci lo nascondevano, oppure lo inturgidivano?

Quello di Grace si gonfiava quando riceveva le attenzioni di Lovingdon. Lui le dedicava sempre molto tempo, che la baciasse con sensuale lentezza oppure in preda a una fame straziante. Si soffermava, l'assaporava, tornava ad assaggiarla. Le aveva reso un pessimo servizio dimostrandole come l'avrebbe baciata un vero innamorato. Come avrebbe potuto un altro reggere al confronto?

Come sopravvivere a un bacio ispirato dall'amore e non dall'intenzione di educarla? Senza dubbio possedeva una ricchezza emotiva, una profondità...

«Siete assai graziosa quando arrossite.»

Poiché conosceva il proprio rossore, lei sospettava che non fosse affatto attraente e che al momento, riflettendo il percorso dei suoi pensieri, ricoprisse l'intero corpo. Temeva anche che si fosse intensificato a causa del commento. Si sforzò di sorridere, mascherando l'imbarazzo perché era stata sorpresa a concepire pensieri sconvenienti. «Mi è venuto un po' caldo.»

Un'affermazione troppo blanda.

«Siete una brava artista» notò Vexley. Con un gomito puntato a terra, teneva la testa sollevata e spiava l'album che lei teneva in grembo.

«Ho ereditato il talento di mio padre. Lui preferisce dipingere a olio, mentre a me piace disegnare a matita.»

«La maggioranza delle signore si dedica al ricamo.»

«È questo che vi aspettate da una moglie?»

«Vorrei che si dedicasse a tutte le attività che ama.»

Grace si chiese se intendesse restare fedele a quelle parole, oppure se le avesse pronunciate al puro scopo di conquistarla. Come mai era così diffidente?

«Sarà una donna fortunata» dichiarò. «Alcuni mariti hanno pretese molto rigide.»

Era il caso del consorte di Sybil. Però Grace aveva visto l'amica il giorno prima e avuto conferma che tutto procedeva bene; l'intervento di Lovingdon era stato provvidenziale. Anche Vexley avrebbe aiutato le persone a lei care, in caso di necessità?

«Desidero una vita coniugale simile a quella di mio padre» dichiarò il giovane conte. «Tranquilla e senza discordie.»

La tranquillità era piacevole, certo, ma rischiava anche di essere noiosa. Grace pensò alla franchezza con la quale si rivolgeva a Lovingdon. Non riusciva nemmeno a immaginarsi di porre lo stesso genere di domande a Vexley, né tanto meno di ricevere da lui le stesse risposte schiette. Era proprio questo che sognava: un uomo con il quale sentirsi davvero se stessa.

Con la coda dell'occhio scorse Lady Cornelia che passeggiava insieme a Lord Ambrose. Si tenevano a braccetto e sorridevano. Si compiacque per il ruolo svolto nel loro incontro.

«È una strana coppia» commentò Vexley. Come le rivelò una rapida occhiata, stava guardando nella stessa direzione.

«Sembra che vadano molto d'accordo.» Quasi per dimostrarlo, in quel momento fluttuò nell'aria un'allegra risata di Lady Cornelia.

«La dote della signora non permetterà loro di vivere nel lusso.»

Da quando la corteggiava, il conte non aveva mai accennato ai vantaggi economici che si potevano trarre dalle nozze. Grace aveva cominciato a illudersi che non gliene importasse molto, almeno non più che a lei.

«La mia, al contrario, vi assicurerebbe lo stile di vita che desiderate?»

Il cambiamento di espressione fu lieve, ma rivelò comunque che si era accorto dell'errore commesso. «Mi riferivo soltanto a loro.» Le prese una mano. Le dita erano calde, però non trasmettevano nulla. Invece le bastava che Lovingdon la sfiorasse, anche senza volerlo, per avvertire, suo malgrado, una sensazione potente in tutto il corpo. «La situazione è molto diversa tra noi due. Siamo bene assortiti. Cosa conta la dote?»

«Quindi sareste qui con me anche se ne fossi priva?»

«Senza alcun dubbio.»

Eppure lei ne dubitava, dannazione!

L'atmosfera mutò. Vexley le lesse alcune poesie, ma non erano del suo poeta preferito. Vagarono tra gli alberi e lungo il lago, senza mai toccarsi. Invece Grace avrebbe desiderato che, con un gesto spontaneo, le posasse la mano sulla schiena, benché fosse sconveniente. Parlava con lei, ma non a lei. Non chiedeva mai la sua opinione. Si sarebbe accontentata di qualunque domanda, persino riguardo al colore del cielo. Cercava soltanto una dimostrazione di autentica curiosità nei suoi confronti.

Quando parlò sottovoce, il conte non avvicinò l'orecchio. Si limitò a rispondere: «Proprio così».

Il che non pareva adeguato, poiché Grace aveva appena detto di aver avvistato una balena nel lago. Come ovvio, non era vero. Aveva soltanto messo alla prova il suo interesse per lei e verificato che era scarso.

Aveva riposto tante speranze in quel pomeriggio, invece si sentì sollevata quando lui la riaccompagnò a casa, con la promessa di una visita alla tenuta di famiglia, nel fine settimana.

Mentre entrava nell'atrio, Grace sentì delle voci provenire dal salotto d'ingresso. Quella baritonale le generò piccole spirali di piacere. Maledicendo Lovingdon per l'effetto che aveva su di lei, entrò con finta calma nel locale e trovò la madre che gli serviva il tè.

Lui si voltò a guardarla con voluta lentezza, dandole l'impressione di ricevere un colpo al costato con la mazza da cricket di Drake. Quindi si levò in piedi con agilità ed eleganza.

La madre si girò a sua volta. «Ah, sei arrivata. Lovingdon mi stava parlando della conferenza sul colibrì americano a cui porterà stasera sua sorella. Ha pensato che potrebbe interessare anche a te.»

«A mio parere, la troverete più appassionante di una mostra» azzardò laconico lui, lasciandole intendere che l'invito comportava ben più di quanto sua madre non pensasse.

«Credevo foste venuto per decantare i pregi delle esposizioni» notò Grace. Non aveva forse acquistato i vetri rossi? Lei non lo aveva sorpreso mentre contemplava il vaso? Un improvviso calore la pervase al pensiero di come lo aveva apprezzato − di come aveva ammirato lei − quella notte.

«Non li posso negare, tuttavia preferisco ascoltare mentre vengono trasmesse conoscenze.»

Grace non ne era del tutto certa, ma aveva la sensazione che quelle parole celassero un avvertimento, una tensione segreta. Lo aveva forse innervosito? Pareva improbabile, poiché non lo vedeva sin dalla festa di compleanno di Minerva. Comunque qualcosa non andava. Se fosse stata intelligente, avrebbe declinato l'invito, però quando si trattava di Lovingdon, diventava una vera sciocca. Se lo avesse accettato, se ne sarebbe forse pentita, ma decise che era meglio rammaricarsi in seguito, piuttosto che rimpiangere l'occasione perduta. Temeva di non potersi concedere molte esperienze nella vita, e non intendeva negarsele solo perché ignorava come si sarebbero concluse.

«Sarò lieta di venire. Mi lasciate un po' di tempo per abbigliarmi in maniera adeguata per l'occasione?»

«Tutto quello che vi occorre.»

La tensione sotterranea si mutò in un fiume impetuoso di collera. O almeno era l'impressione di Grace mentre attraversava la città a bordo della carrozza di Lovingdon. Questi le sedeva di fronte, rigido e ben diritto, e guardava furioso fuori dal finestrino. Se lei avesse avuto con sé il parasole, gli avrebbe volentieri sferrato un colpo in testa.

Era ben consapevole della direzione in cui viaggiavano: quella sbagliata. «Non passiamo a prendere Minerva?» azzardò.

«No.»

«Stiamo andando a una conferenza?»

«Non ho ancora deciso.»

«Quindi avete mentito a mia madre? A quale scopo?»

A quel punto Lovingdon la fissò con un'intensità che la colse di sorpresa. Fumava di rabbia. «Per attirarvi nella mia carrozza, da sola. Gli uomini mentono spesso, quando desiderano qualcosa.»

«E voi cosa volete?»

«Che restiate alla larga da Vexley. Vi ho già spiegato che non vi ama.»

«A me piace.»

«Dunque intendete ignorare i miei consigli? Perché chiedermeli, se poi non ne tenete conto? Il mio tempo è prezioso...»

«Così prezioso che non me ne dedicate quasi, malgrado la promessa di impegnarvi di più. Ieri sera non avete partecipato al ballo. Vi degnerete almeno di venire alla nostra festa a Mabry Manor?»

Lui riportò l'attenzione sulle vie cittadine, che scorrevano fuori dal finestrino. «Non ho ancora deciso.»

«A quanto pare, sono tante le cose su cui dovete decidere.» Grace sospirò. «Venite a Mabry Manor, trattenetevi per qualche giorno, guardatevi in giro e riferitemi le vostre osservazioni. Dopo di che non vi disturberò più.»

«Adesso non mi disturbate.»

«Mi risulta difficile crederlo, a giudicare da come sembrate infastidito.» Grace lo vide sollevare un angolo della bocca. Moriva dalla voglia di sentirlo ridere. «Venite presto. Andremo a cavalcare» gli promise.

«In che modo contribuirà a procurarvi un marito?»

Magari l'avrebbe aiutata a trovare un amico. «Accidenti, Lovingdon, non siate così stizzoso. Se venite da noi, non vi chiederò di esprimermi i vostri commenti. Basta che vi divertiate. Quando vi è capitato l'ultima volta di farlo davvero?»

Si stava divertendo in quel preciso istante, dannazione! Con la moglie non aveva mai scambiato parole aspre. Non litigavano. Juliette non era mai brusca, non dava mai l'impressione di volerlo afferrare per le spalle per scuoterlo.

Era strano, ma provocare Grace era esilarante. Lovingdon stava cavalcando nel parco quando l'aveva scorta con quello scapestrato di Vexley. Era stato tentato di interromperli, probabilmente una buona idea, tuttavia avrebbe fatto la figura dell'innamorato geloso. Non era gelosia che provava, per nulla. Era soltanto deluso perché lei non si dimostrava abbastanza perspicace da vedere il conte com'era davvero, e cioè indegno di lei.

Il problema era che non aveva ancora conosciuto un uomo alla sua altezza. Inoltre non gradiva affatto l'idea che Grace potesse visitare mostre insieme a un altro, che si sciogliesse alle sue carezze e sussurrasse con dolcezza il suo nome, in preda alle fiamme della passione.

«Vi ha baciata?» le domandò, ma se ne pentì all'istante.

Lei si mostrò sorpresa. «Vexley? Certo che no. È un perfetto gentiluomo.» Sbuffò. «Il problema è che non sono sicura di desiderare un galantuomo impeccabile. Nessuno tra i miei corteggiatori mi eccita come voi.»

L'ammissione suscitò in lui un'indecorosa vampata di piacere.

«Passo fin troppo tempo a pensare ai vetri rossi e a quello che è accaduto accanto a un vaso» continuò Grace. «Ricordo i vostri baci e mi chiedo se tutti gli uomini bacino con tanto entusiasmo.»

«Chi vi amerà, dimostrerà un fervore ancora maggiore, ve lo assicuro.»

«E se io lo amerò...»

Lovingdon si irrigidì, sorpreso, quando la vide alzarsi e risedersi al suo fianco, annullando la distanza tra loro. Con la mano nuda, Grace gli accarezzò una guancia e il mento. Quando si era sfilata i guanti? «Avrò voglia di baciarlo, giusto?»

«È naturale.»

«Vorrò suscitare in lui il desiderio di altri baci, quindi mi impegnerò per indurlo a chiedermene ancora. Magari mi conviene far pratica con qualcuno che non mi interessa.» Si protese verso di lui.

«Grace» l'ammonì all'istante.

«Che c'è, Lovingdon? Temete che vi renda incapace di resistermi?»

Lo era già. Il suo terrore era di non sapersi dominare e di prendere più di quanto non gli venisse offerto. «Giocate con il fuoco, milady.»

«Non ho paura di bruciarmi. E voi?»

Piuttosto avrebbe dovuto temere quanto sarebbe seguito, poiché rischiava di essere molto doloroso. Ma senza lasciargli il tempo di concepire parole adeguate per spiegarglielo, Grace posò la bocca sulla sua, come se l'avesse posseduta, fuori e dentro.

Far pratica, certo. Se non avesse conosciuto il suo entusiasmo per il primo vero bacio, Lovingdon avrebbe sospettato che passasse parecchio tempo ad allenarsi. Tuttavia la passione sembrava una parte integrante della sua personalità. A stupirlo era la notevole capacità di tenerla a bada. E quando infine l'avrebbe scatenata, avrebbe messo a dura prova l'uomo amato. Al momento, comunque, era lui ad aver bisogno dell'aiuto divino.

Sapeva che avrebbe dovuto mostrarsi scandalizzato per tanto ardire, però il loro rapporto d'amicizia era troppo sincero per fingersi sorpreso, o rimproverarla perché stava facendo quello che lui stesso desiderava sin da quando l'aveva scorta insieme a Vexley. Tuttavia, appropriarsi in pubblico delle sue labbra l'avrebbe solo obbligata ad accettare proprio ciò che lei rifiutava: un marito incapace di amarla.

Gli sarebbe tanto piaciuto frugare tra i cocci del proprio cuore infranto per recuperare un brandello intatto da offrirle; però sapeva che Grace meritava molto più di un frammento. Era giusto che avesse un cuore intero, e anche di più.

Era pronta a donare a un uomo tutto ciò che poteva e non doveva ricevere in cambio niente di meno. Chiunque sarebbe diventato migliore grazie al suo amore. Si sarebbe elevato al di sopra della mediocrità. Su questo non c'erano dubbi.

Lovingdon sentì la sua mano delicata percorrergli la coscia.

«Grace.» Era l'unica parola che gli venisse alle labbra.

«Mi avete toccata intimamente, Lovingdon. Perché non dovrei fare lo stesso?»

«Perché siete una signora.» Grazie al cielo, riuscì ad articolare una frase, anche se non proprio adeguata al caso.

Lei rise contro le sue labbra. Il suo alito profumava di cannella. Forse aveva gustato un dolce mentre si preparava a uscire per assistere alla conferenza.

Poi gli mordicchiò la mascella, strappandogli un gemito. Intanto gli strattonò il foulard di seta. «Mi ostacola» affermò. «Vi voglio baciare la gola. Tutto è d'intralcio.» Tentò di afferrare i bottoni del panciotto.

«Grace, state viaggiando per le strade di Londra a bordo di una carrozza. La vostra reputazione...»

«Chi mai potrebbe vederci? Quando siete diventato così pudico e timoroso?»

Lovingdon era nato così e lo era rimasto fino a due anni addietro. Senza dubbio non aveva mai amato Juliette in un mezzo di trasporto. Non intendeva nemmeno possedere Grace, però se la poteva godere; e se lei intendeva esplorarlo entro i confini protetti dell'abitacolo, che facesse pure.

Il fazzoletto da collo era scomparso e Grace gli stava succhiando la pelle nuda, mordicchiandola sulla clavicola. Forse l'indomani lui avrebbe trovato tracce di quella conquista. Piccola viziosa...

Puntando un piede sul sedile di fronte, la prese in grembo. Subito lei gli portò le dita tra i capelli, gli accarezzò le spalle, continuò a palparlo ovunque. Insinuò quindi la bocca nel colletto sbottonato della camicia. «Allora, che mi dite dei colibrì?»

Colibrì? «Chi diavolo se ne importa?» le chiese lui, appena prima di appropriarsi della sua bocca. Con lei non aveva alcun problema riguardo ai baci. La baciava con gioia e desiderava essere ricambiato. Voleva toccarla ed essere toccato. Era pura lussuria, lo sapeva, tuttavia non aveva mai provato un desiderio così ardente e incontrollabile.

Grace arretrò un poco, trascinando le labbra sul mento ispido di barba. Lui si pentì di non essersi rasato di recente. «Mia madre si interesserà. Mi chiederà cosa ho appreso questa sera» sussurrò. «Non le posso certo rivelare la verità.»

«Ronzano» le rispose, ma subito venne distratto dalle ardite carezze della sua mano, attraverso i calzoni.

«Invece di cantare?»

«Forse. No, non è vero» si corresse lui. Non riusciva più a ragionare. «Magari il suono proviene dalle zampette. Ha importanza?»

«Dipende da cosa mi domanderà mia madre.»

«Lo producono volando, penso.»

«Con le ali, dunque?»

«Sì, può darsi.» Avrebbe dovuto accompagnarla alla conferenza. Ma come accontentarsi di sederle accanto, pensando che avrebbe invece potuto tenerla in grembo?

Le mise una mano sul dorso e iniziò a slacciare con abili mosse nastri e gale. Lei si raddrizzò così in fretta da urtargli con violenza il mento e catapultargli la testa all'indietro. Il movimento repentino, senza preavviso, gli accordò appena il tempo di rimangiarsi metà di un gemito.

«Mi dispiace» si scusò Grace massaggiandogli con delicatezza la mascella e le guance. «Però non mi potete aprire il corpetto.»

«Grace, vi ho già vista sotto la vita.»

«Sì, lo ricordo. Ero presente.»

Tanto ardore l'aveva spaventata? Non aveva senso, poiché era stata lei a iniziare quanto stava accadendo in quel momento. «Vi sentite libera di strapparmi di dosso gli indumenti, però non mi consentite di ricambiare?»

«No. Vi chiedo perdono... Ho perso la testa, temo.» Con mosse maldestre, scese dal suo grembo, tornò sul proprio sedile e puntò lo sguardo fuori dal finestrino. «Scusatemi.»

«Esiste una definizione per le donne che eccitano un uomo e poi lo lasciano in preda ai tormenti. Non è molto lusinghiera.»

«Soffrite?»

Da morire. Inoltre Lovingdon era furioso, più che altro con se stesso per aver permesso che si arrivasse fino a quel punto. Cambiando posizione, si raddrizzò. Senza alcun dubbio, si sarebbe immerso nell'acqua gelida appena rientrato a casa.

«Sopravvivrò» dichiarò con maggior durezza di quanta non intendesse. «Comunque vi raccomando di non prendervi simili libertà con nessuno dei vostri spasimanti. Potrebbe non fermarsi quando glielo chiedete.»

«Lo farà, se mi ama.»

«È chi non vi ama a minacciare di crearvi problemi.»

«Voi vi siete trattenuto» notò lei, inducendolo a sospettare che sperasse in una dichiarazione di affetto. No, era troppo intelligente per questo.

«Solo perché non avrei dovuto nemmeno iniziare» chiarì.

«Tenete a me.»

«Certo che sì. Però non vi amo come amavo Juliette. Ed è questo che sognate, no? Un amore come il nostro.»

«La usate sempre come pietra di paragone per i sentimenti» sentenziò Grace. Era chiaro, eppure lui si sentì in dovere di confermarlo.

«Per tutto.»

Come ovvio, Grace lo sapeva, il che rendeva il suo comportamento sfacciato ancora più imbarazzante. Il desiderio di Lovingdon era superficiale. Malgrado le sensazioni meravigliose, lei si sentiva deprivata.

«Cosa non mi state dicendo?» le domandò.

Trepidante e con il cuore impazzito, lei si girò di scatto. «Scusatemi?»

Nonostante la penombra, avvertì il suo sguardo intenso come una presenza fisica.

«A volte ho la netta impressione che non siate sincera con me, che ci sia in ballo altro, oltre alla ricerca dell'amore.»

Grace intrecciò le dita e le strinse fino a farsi male. Non poteva rivelargli tutto quanto. Non voleva che la verità emergesse a bordo di una carrozza, soprattutto con un uomo innamorato di un'altra donna. L'amore era la chiave per l'accettazione, ne era sicura. Tuttavia si rendeva conto di dovergli una risposta, anche parziale. «Se lo volete sapere, non apprezzo la vita che conducete. Pensavo che, dandomi una mano, avreste potuto aiutare anche voi stesso a tornare l'uomo di un tempo.»

«Ormai quell'uomo non esiste più.»

«In effetti comincio a capirlo. Davvero non intendete reinserirvi nella buona società?»

«No.»

Tanta determinazione era scoraggiante. Anche se Grace avrebbe dovuto aspettarsela.

Lovingdon sollevò un braccio e bussò sul tettuccio. La carrozza rallentò e prese una direzione diversa. Senza dubbio per riaccompagnarla a casa.

«Vi devo riannodare i nastri del corsetto» notò lui in tono cupo.

«Sì, d'accordo.» Grace ruotò un poco il busto per dargli accesso al dorso e Lovingdon si sedette al suo fianco.

Con un dito solitario le carezzò la nuca. Lei chiuse gli occhi e si dispiacque di non trovare il coraggio per consentirgli di slacciarle del tutto l'abito.

«Scusatemi per quello che ho detto prima» le mormorò con dolcezza. «Siete di una bellezza straordinaria, Grace. Mi attraete, ma non sono così licenzioso da approfittarne. Mi sarei comunque fermato prima di rovinarvi.»

«Però dubitate che Vexley lo farebbe.»

«Vi piace sul serio?»

«Sembra abbastanza gradevole. Lo stesso vale per altri. Mi dovrei accontentare di questo, suppongo.»

Lui si dedicò a legarle i nastri. Ne aveva allentati parecchi, e molto in fretta. Grace si sforzò di non riflettere su come avesse affinato quell'esperienza.

«Meritate ben di più» commentò. «Per voi ci vuole un uomo che sorrida ogni volta che vi vede.»

«A differenza di voi, che vi accigliate.»

«Esatto. Chi vi ama davvero pretende un resoconto preciso di tutti gli istanti che avete passato lontana da lui. Non per gelosia, ma perché ha sentito da morire la vostra mancanza e si vuole assicurare che siate stata felice anche mentre eravate separati, poiché ha pagato con la solitudine la vostra assenza. Quasi tutto ciò che vede gli richiama alla mente voi. Qualunque cosa faccia, vi vorrebbe al suo fianco per condividere l'esperienza. Anche se giudica noiose le attività che interessano a voi, è sempre pronto ad accompagnarvi. Tiene sempre in tasca un oggetto che gli ricorda voi. Magari è un gingillo insignificante e, in apparenza, privo di valore: il bottone di un abito, un fazzoletto con il vostro profumo, un medaglione con un ciuffo dei vostri capelli, un petalo del vostro fiore preferito, una lettera che avete scritto; non per forza un messaggio affettuoso, basta che sia vostro. Fa tesoro di ogni sorriso che gli rivolgete. Ha sempre voglia di farvi ridere. Si sveglia nel cuore della notte al puro scopo di contemplarvi mentre dormite.»

«Come posso sapere se si comporta così?» si informò lei.

Lovingdon le posò le mani sulle spalle. «Con ogni probabilità, non lo scoprirete mai.» Le impresse un lieve bacio sul punto sensibile sotto l'orecchio. «Proprio come lui non conoscerà mai i mille modi in cui, in privato, gli esprimete l'affetto.»

La carrozza si fermò. A quel punto Grace temeva che troppo restasse taciuto e che valutare da sola i sentimenti di un uomo fosse pressoché impossibile.

Un lacchè aprì la portiera. Lovingdon scese a terra e l'aiutò a fare altrettanto, quindi le porse il braccio e l'accompagnò su per i gradini d'ingresso.

Davanti alla porta si girò a guardarla. «Quando vi saluta, conta i minuti che mancano all'incontro successivo. Trova pretesti per rimandare la separazione.» Le sfiorò una gota. «Buonanotte.»

Con un movimento brusco, girò sui tacchi e scese in fretta gli scalini. Nessun indugio, nessuna scusa. Anche se forse non di proposito, le aveva impartito un'altra lezione.

«Verrete a Mabry Manor?» gli domandò Grace.

«Non ho ancora deciso.»

«Mi dispiace.»

«Purtroppo non si ottiene sempre quello che si vuole.»

In effetti no, pensò lei, mentre seguiva con lo sguardo Lovingdon che tornava con un balzo in carrozza e poi scompariva in fondo alla strada. I desideri non venivano sempre appagati.

Però questo non impediva quasi mai di sperarlo.