L’alto Medio Evo non aveva conosciuto le eresie e non era stato dilaniato dai loro furori. La conversione dei popoli germanici al Cattolicesimo aveva posto fine alle guerre di religione che per secoli, da Costantino in poi, avevano insanguinato l’Europa.
Le eresie erano nate in Oriente, si chiamavano manicheismo, donatismo, arianesimo, nestorianesimo eccetera. Per venirne a capo, la Chiesa non aveva esitato a servirsi di quelle stesse armi che Decio e Diocleziano avevano impiegato contro di essa quando la religione di Stato era ancora il paganesimo: la tortura, la confisca dei beni, l’esilio. Tertulliano le aveva autorevolmente avallate e gli stessi Padri della Chiesa si erano guardati bene dal condannarle. Nessuno aveva pensato di risalire alle cause di questi «deviazionismi», come si chiamerebbero oggi.
Le cause erano varie. I secoli bui avevano accresciuto la potenza della Chiesa. I Vescovi erano diventati grandi proprietari terrieri, i monasteri facevano concorrenza ai castelli. Con le decime e le donazioni il Clero aveva accumulato un immenso patrimonio. Il rilassamento dei costumi ne era stata la conseguenza: la ricchezza non fa mai da incubatrice dell’austerità. I monaci che avevano salvato le popolazioni dalle carestie e dalle pestilenze trasformando i loro conventi in refettori, ospedali, ostelli, allentarono la regola. Le grandi abbazie cessarono di essere luoghi di pietà e diventarono aziende agricole e mercati. Quella di San Riquier possedeva duemilacinquecento case, seimila ettari di terra e diecimila polli. Il Priore di San Dionigi viveva come un asceta in una cella, umida e disadorna, ma quando usciva dal convento si faceva accompagnare da sessanta cavalieri armati di tutto punto e scialava nella costruzione di cattedrali tutto quello che guadagnava coi polli, le uova e il formaggio. L’abate di Eversham si concedeva lussi ancora maggiori. Manteneva numerose amanti, dalle quali ebbe diciotto figli. Conduceva vita libertina e dilapidò per i suoi piaceri un’immensa fortuna. Gli abati di Fulda, Cluny, San Gallo, Montecassino amministravano le loro sterminate tenute secondo i più spregiudicati criteri del profitto.
Ma non mancavano le eccezioni. C’erano conventi dediti alla preghiera e alla carità, i cui monaci vivevano secondo i più rigidi precetti evangelici. C’erano parroci di campagna che pensavano più alla cura delle anime che a quella dei corpi. Il basso Clero, nel complesso, non era stato fuorviato dalle fortune mondane della Chiesa, forse perché queste erano monopolio di quello alto. Il cattivo esempio veniva dai Vescovi, dalla Curia Romana e dai grandi abati. Gli scandali erano pubblici, gli sperperi sfacciatamente ostentati, gli abusi non si contavano. In mezzo al popolino cominciò a serpeggiare il veleno della protesta. La satira del tempo è tutta intrisa di un anticlericalismo grossolano e sguaiato.
Diversa sorte aveva subìto il Clero orientale. Esentato da ogni impegno politico, organizzativo e amministrativo perché a Bisanzio c’era uno Stato che assolveva questi compiti, era rimasto povero e incontaminato. Ma in compenso, ricco com’era dell’eredità della cultura greca, aveva approfondito e sviluppato il pensiero cristiano e non sempre in senso ortodosso. I Crociati rimasero contagiati in egual misura dal suo misticismo e dalle sue inquietudini. E furono essi che ne importarono il seme in Europa.
Poiché la maggior parte di loro veniva dalla Francia fu in questo Paese che soprattutto si fece sentire l’influsso dell’Oriente e dei suoi deviazionismi. Le prime sette ereticali spuntarono infatti a Tolosa, a Cambrai, a Liegi, a Soissons, a Colonia. All’alba del dodicesimo secolo se ne potevano contare oltre un centinaio.
Nel 1108, nella cittadina di Anversa, un certo Tanchelmo accusò il parroco di concubinaggio e si mise a predicare le dottrine donatiste. La Chiesa – diceva – era indegna di amministrare i sacramenti. Tanchelmo si paragonava a Cristo e sosteneva di essere marito della Madonna. Il popolino superstizioso credeva che il suolo che egli calpestava fosse sacro e l’acqua con cui si lavava miracolosa.
Tanchelmo non era che un ciarlatano. Il bretone Oddone invece fu un pazzo sanguinario. Si proclamò Figlio di Dio, e in suo nome devastò monasteri, incendiò chiese, trucidò preti e distribuì i beni ai poveri. Depose Vescovi e abati e al loro posto nominò angeli e Apostoli.
Tanchelmo e Oddone non costituirono mai una minaccia per la Chiesa di cui combatterono gli abusi con altri abusi. Il primo movimento veramente organizzato fu quello valdese.
Il suo fondatore si chiamava Pietro Valdo ed era un ricco mercante di Lione. Era un uomo casto, semplice, devoto e completamente analfabeta, ma conosceva bene le Sacre scritture. Predicava che solo tornando alle fonti evangeliche la Chiesa poteva salvarsi e ritrovare la sua missione. Invitò i preti a spogliarsi di tutte le loro ricchezze e a distribuirle ai più bisognosi. Egli stesso ne diede l’esempio sbarazzandosi di quelle proprie. Migliaia di cittadini ascoltavano i sermoni che teneva nelle piazze, nelle chiese e nei locali pubblici invitando i lionesi ad adottare la regola essenica degli antichi Apostoli e a mettere tutto in comune tra loro. Le adesioni piovvero, la setta s’ingrossava e assumeva le proporzioni di un vero e proprio movimento, i cui adepti presero il nome di Poverelli di Lione.
Dapprincipio i preti li lasciarono entrare nelle chiese, pregare e predicare. Ma quando videro minacciati i loro beni temporali, proibirono a Valdo di far propaganda. Valdo s’appellò al Papa, che non solo prese le sue difese, ma ne benedisse i propositi. L’avallo pontificio non intimidì il Clero francese, conciliante in fatto di dottrina ma intransigente quando si trattava di difendere i propri privilegi e le proprie rendite. Cominciò il boicottaggio. Valdo fu accusato di essere l’Anticristo e di volere la rovina della Chiesa.
Nel 1184, al Concilio di Verona, i Poverelli di Lione furono tacciati di disobbedienza ed empietà. Erano facilmente riconoscibili per i loro abiti modesti e dimessi. Non esercitavano alcun commercio e si rifiutavano di prestare giuramento. S’accontentavano del necessario e non accumulavano ricchezze. Mangiavano poca carne e bevevano con moderazione. Non giocavano, non frequentavano taverne e bordelli, non assistevano ai pubblici spettacoli. Lavoravano, e nei ritagli di tempo pregavano. Vivevano ritirati e rifuggivano dai clamori. Qualcuno li accusò di deviazionismi sessuali, ma nessuno fu mai in grado di fornirne le prove. Il movimento negava al sacerdote la funzione di mediatore tra il fedele e Dio, condannava le indulgenze e rifiutava il Purgatorio come luogo di temporanea espiazione e anticamera del Paradiso. In Valdo c’era la stoffa di un San Francesco, di cui fu un precursore. I Poverelli d’Assisi somiglieranno molto a quelli di Lione. Solo per caso Valdo non diventò un San Francesco, come solo per caso San Francesco non diventò un Valdo. Gli scopi che i due riformatori si proponevano erano identici. E identici furono alcuni dei mezzi impiegati per raggiungerli.
Poiché il movimento valdese continuava a far proseliti, nel 1229 la Chiesa corse ai ripari convocando il Concilio di Tolosa che condannò l’interpretazione dei testi sacri da parte dei laici e la loro traduzione in lingua volgare che Valdo aveva fatto fare. Il Vecchio e il Nuovo Testamento dovevano restare in latino, in modo che solo i preti che conoscevano questa lingua fossero autorizzati a leggerli e interpretarli. Quando i fulmini romani s’abbatterono sull’eresia di Valdo, molti suoi seguaci abbandonarono Lione ed emigrarono in Val Pellice dove fondarono una comunità che ancora oggi sopravvive.
Lione fu la prima roccaforte dell’eresia medievale. La seconda fu Albi, in Linguadoca, dove si formò il movimento dei Catari, o Albigesi.
La loro dottrina era quella manichea, secondo la quale l’universo è governato da due princìpi: quello del Bene e quello del Male. Il primo s’identifica con Dio, il secondo è incarnato dal Demonio, responsabile di tutte le calamità: le carestie, le guerre, le pestilenze, le inondazioni. Il Regno di Dio è in Cielo, quello di Satana sulla Terra. Gesù non è figlio di Dio, ma il primo degli Angeli. Anche la Madonna è puro spirito. L’anima è immortale. Eterna e immutabile essa trasmigra da un corpo all’altro. La credenza nella metempsicosi implica una dieta vegetariana che condanna non solo l’uso della carne, ma anche quello del formaggio, del latte e delle uova.
Gli Albigesi raccomandavano la castità, rifiutavano il matrimonio quando si proponeva come fine la procreazione della specie, respingevano la messa, i sacramenti e il culto delle immagini, chiamavano il Papa Anticristo e volevano l’applicazione integrale del Sermone della Montagna.
A dispetto di questa morale ultra-ascetica e rivoluzionaria, l’eresia reclutò nella Francia meridionale decine di migliaia di adepti. L’abbracciarono anche molti nobili vedendo in essa l’occasione per spogliare Vescovi e abati delle loro proprietà e incamerarle. Gli eccessi però a cui s’abbandonarono il Visconte di Béziers e il Conte di Foix finirono per allarmare gli stessi riformatori. Il Papa spedì in Provenza un Legato, Pietro di Castelnau, per indurre il ricco e potente feudatario Raimondo di Tolosa a perseguitare i dissidenti. Ma Raimondo, che sia pure per mero opportunismo ne aveva sposato la causa, si guardò bene dall’intervenire. Il 15 gennaio 1208 un suo sicario assassinò Pietro di Castelnau. Fu il segnale della guerra.
Dal pulpito di San Pietro, Innocenzo III bandì la Crociata contro gli Albigesi e invitò lo stesso Re, Filippo Augusto, ad arruolarvisi. Il sovrano francese non rispose all’appello, ma invitò i cavalieri e i Baroni del Regno a prendere la croce. Filippo Augusto era un uomo scettico e calcolatore. Più del deviazionismo religioso di Raimondo lo interessavano le sue terre, sulle quali voleva estendere il proprio dominio. A capo della spedizione fu posto Simone di Montfort soprannominato, per il suo zelo, l’«Atleta di Dio». Era un ottuso e zelante bigotto che aveva una paura birbona dell’Inferno e nello sterminio degli Albigesi vedeva la scorciatoia per il Paradiso. Il Papa gli aveva messo al fianco il legato Arnoldo, un fanatico sanguinario passato alla Storia per avere ordinato lo sterminio indiscriminato dei ventimila abitanti di Béziers. A chi, alla vigilia dell’eccidio, gli faceva notare che c’erano tra loro alcune migliaia d’innocenti, si dice che rispondesse: «Ammazzateli tutti. A riconoscere i Suoi ci penserà il Signore».
Le vittime della Crociata non si contarono. I nobili che avevano combattuto a fianco degli Albigesi furono spogliati delle loro terre che andarono ad arricchire la corona. Filippo Augusto poté finalmente inglobare nel Regno di Francia la Provenza facendo un altro grosso passo avanti nell’unificazione del Paese. Molti eretici, piuttosto che rinnegare la loro fede, abbandonarono la Francia, spargendo in Europa i semi della dissidenza. Per combatterla, la Chiesa ricorse allora all’Inquisizione.
Fino al dodicesimo secolo coloro che si macchiavano del delitto di eresia venivano giudicati dagli ordinari tribunali ecclesiastici secondo la procedura che regolava i reati comuni. I casi di deviazionismo erano isolati e sporadici e non costituivano una minaccia per la Chiesa. Ma di fronte al dilagare dell’eresia fu necessario escogitare nuovi e più efficaci strumenti di repressione. Il primo a emanare leggi contro gli eretici non fu, come abbiamo visto, un Papa, ma un Imperatore laico e mangiapreti: Federico II. Nel 1220, mosso da preoccupazioni di ordine politico e civile, egli condannò al bando e alla confisca dei beni i dissidenti religiosi. Quattro anni dopo introdusse contro i medesimi la pena di morte, mediante il rogo. Il suo esempio fu imitato dal Pontefice e da molti Principi europei.
Dapprincipio la Chiesa usò con moderazione l’arma dell’Inquisizione nel timore che la lotta contro l’eresia si trasformasse in una caccia alle streghe. Proibì perfino il giudizio di Dio cui gli zelatori dell’ortodossia con troppa disinvoltura ricorrevano. Questo sforzo di moderazione fu accolto con sfavore dai funzionari laici ai quali i Vescovi consegnavano gli eretici. La Chiesa, che per precetto evangelico aborre dal sangue, si limitava infatti ad appurarne la colpevolezza. Poi con sottile ipocrisia consegnava il colpevole al potere civile perché infliggesse il castigo. Questo consisteva anzitutto nella confisca dei beni dell’eretico, che per tre terzi andavano allo Stato, il quale aveva perciò interesse ad applicare la pena senza sconti.
Il vero e proprio iniziatore dell’Inquisizione fu papa Gregorio IX. La procedura adottata era la seguente: gli inquisitori convocavano in piazza gli abitanti adulti di una città o di un villaggio e li invitavano a declinare pubblicamente le loro credenze in materia religiosa. I sospetti d’eresia avevano trenta giorni per ripudiare con un atto di fede, o auto da fé – come lo chiamavano gli Spagnoli – le loro opinioni in contrasto con l’ortodossia. Se si rassegnavano all’abiura, se la cavavano con qualche giorno di prigione e una piccola penitenza. Se invece persistevano nell’errore, venivano deferiti a uno speciale tribunale, composto di dodici giurati e due notai designati di comune accordo dagli inquisitori, dal Vescovo e dall’autorità civile, dopodiché all’eretico veniva offerta per la seconda volta la possibilità di rinnegare le proprie credenze. Se rifiutava, cominciava il processo.
I giudici formulavano pubblicamente i capi d’accusa, senza però fare il nome di coloro che li avevano forniti, per evitare rappresaglie da parte dei familiari dell’imputato. Per estorcere la confessione gli inquisitori non esitavano a servirsi della tortura, infischiandosi dei divieti della Chiesa, la quale finì per autorizzarla, ma solo nel caso che la colpevolezza dell’imputato fosse provata. Il Pontefice ordinò che la tortura doveva essere applicata una tantum, una volta sola, e senza spargimento di sangue. Gl’inquisitori interpretarono una volta sola come riferito a ogni interrogatorio. In quanto al sangue elusero il divieto adottando l’uso del rogo, sul quale effettivamente sangue non se ne versa.
La Chiesa si servì per secoli dell’arma dell’Inquisizione, e non solo contro gli eretici, preoccupata più di castigare l’errore che di ripararlo. I metodi che adottò per difendere la Fede ricordano quelli usati da Stalin per imporre in Russia il regime comunista. Ignoriamo quanto questi metodi abbiano giovato alla causa in nome della quale furono invocati. Ma sappiamo quanto nocquero all’autorità morale di coloro che li impiegarono.