9

Ma quella notte, mentre si girava e rigirava nel letto, Agatha sentì che semplicemente non poteva lasciar perdere. L’assassino era ancora lì fuori, libero, e se non l’avessero fermato avrebbe ucciso di nuovo. Il prossimo bersaglio potrei essere io, pensò Agatha. Aveva lasciato accesa la lampada sul comodino per scacciare i timori portati dal buio. Rimpianse di aver comprato un cottage dal tetto di paglia, perché nella paglia allignavano e frusciavano creature sconosciute.

La porta della sua camera da letto si aprì e Charles, che dormiva nella stanza degli ospiti, entrò, avvolto in una vestaglia.

Aveva in mano un bicchiere di latte. “Bevi questo,” ordinò. “E qui c’è un sonnifero. Oggi ho ritirato i farmaci prescritti a mia zia. Non si accorgerà che ne manca uno.”

“Non bevo latte e non prendo mai sonniferi,” protestò Agatha.

“Per una volta in vita tua fai quel che ti viene detto,” ribatté Charles, “o questa pillola te la ficco in gola.”

“Oh, d’accordo,” disse di malavoglia Agatha. Buttò giù il sonnifero. Poi disse: “Non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita”.

“Ordinaria amministrazione,” disse Charles. “Dormi.”

L’amico uscì dalla stanza e Agatha pensò che non si sarebbe mai addormentata, quando all’improvviso sprofondò in un incubo nel quale Justin le stava dando la caccia tra i banchi di una sagra paesana, armato di un’ascia.

L’indomani mattina Agatha si alzò tardi e scoprì che Charles era già ripartito. Patrick Mulligan le telefonò per dirle che Justin aveva ingerito del veleno lungo il tragitto verso la centrale di polizia. Era morto in modo atroce. Ritenevano che potesse trattarsi di cianuro, ma erano in attesa dei risultati dell’autopsia. I tre agenti che lo stavano portando in centrale erano nei guai perché non lo avevano ammanettato. Ma il peggio doveva ancora venire. Fu comunicata la notizia al signor Nichols, il quale annunciò che avrebbe effettuato il riconoscimento del corpo. Chiese a Bill Wong e ad Alice Peterson di aspettarlo intanto che si cambiava d’abito. Quando i due poliziotti capirono che l’operazione stava andando troppo per le lunghe, salirono al piano di sopra e trovarono la camera da letto del signor Nichols chiusa a chiave. Bill alla fine riuscì a buttare giù la porta. E videro che il padre di Justin si era impiccato.

“Ma dove diamine è possibile procurarsi del cianuro al giorno d’oggi?” chiese Agatha. “E perché non hanno detto subito che Justin si era suicidato invece di lasciare Charles in ambasce, visto che temeva di avergli causato un danno cerebrale?”

“E io che ne so?” disse Patrick. “In effetti gli agenti si stanno prendendo una bella ripassata per non averlo perquisito prima di farlo salire in macchina.”

Una volta chiusa la telefonata, Agatha portò in giardino una tazza di caffè e si sedette a guardare i gatti che stavano dando la caccia alle ombre delle nuvole sul prato. L’aria profumava intensamente di fiori. Gli uccelli erano silenziosi, come sempre accade in agosto.

Agatha finì di bere il caffè e decise di raggiungere a piedi la canonica. In tutto quel caos di morte si era dimenticata che era domenica. La gente stava uscendo dalla chiesa e si fermava a stringere la mano al pastore. Le donne con gli abiti dai colori vivaci, le chiacchiere allegre, tutto sembrava così sicuro. Agatha stava per girare i tacchi e andarsene quando si sentì chiamare per nome e si voltò. La signora Bloxby le corse incontro.

“Vieni in canonica,” le disse la moglie del pastore, “ci beviamo qualcosa in santa pace e facciamo due chiacchiere in giardino.”

“Ma tuo marito non si scoccerà?”

“Alf è dovuto correre a Winter Parva per tenere un’altra funzione.”

Si incamminarono verso la canonica quando Agatha si fermò di colpo.

“Che c’è?” chiese ansiosamente la signora Bloxby.

“Nulla,” disse Agatha. “È solo che sono ancora un po’ nervosa.” In realtà avrebbe giurato di aver avvertito per un istante una presenza maligna, ma poi decise che dovesse trattarsi degli effetti collaterali postumi di quel sonnifero.

Una volta nel giardino della canonica, Agatha si accomodò e bevve dello sherry al posto del suo solito gin tonic. Lo sherry sembrava una bevanda così sacra e certamente sarebbe stata approvata da quel Dio alla cui esistenza Agatha credeva solo nei momenti di stress, e che quindi non le avrebbe fatto prendere altri spaventi.

“Che cosa ricavi dalla fede in Dio?” chiese bruscamente.

“Conforto,” disse la signora Bloxby.

Porca biscia, pensò Agatha, mi sa che mi sto rincitrullendo.

“Sir Charles è ancora da te?” s’informò la signora Bloxby.

“No, si è dileguato come il gatto del Cheshire, come suo solito,” disse Agatha.

“E James questa mattina è passato a vedere come stavi?”

“No, lui no. È convinto che io sia fatta di ferro.”

“Charles come è entrato nel tuo cottage?”

“In un attimo di debolezza gli ho fatto avere un mazzo di chiavi. E meno male, altrimenti adesso sarei morta.”

“Non hai mai preso in considerazione il fatto,” disse con cautela, “che la presenza piuttosto costante di sir Charles ti sta impedendo di trovare un uomo adatto a te?”

Agatha sospirò. “Vorrei tanto poter dire che le cose stanno così. Ma sul mio cammino si parano solo uomini inadatti e lui spesso si è trovato nei paraggi, pronto a salvarmi da loro.” Fece una pausa. “Mi chiedo se non dovrei andare in giro per il villaggio alla ricerca dello strozzalupo.”

“La polizia ha cercato con cura quella pianta e non solo nel nostro villaggio, ma in tutti quelli del circondario,” disse la signora Bloxby. “Cerca di rilassarti e di lasciar fare a loro.”

Ma Agatha al momento di tornare a casa sentì che non sarebbe mai riuscita ad avere requie fintanto che non avesse scoperto l’identità dell’assassino.

Di nuovo sola, si rese conto di essere affamata e andò al Leone Rosso. Il pub si era trasformato in un gastro-pub, il che significava che il cibo servito era sempre il solito ma le descrizioni erano quelle tipiche dei pub moderni. Le insalate erano condite con una “pioggerella” di vinaigrette. C’era una zuppa di erbette di campo. Il formaggio sul pane tostato veniva descritto come “spuma di cagliata di capra, germogli dell’orto e giardiniera di aglio”. Agatha ordinò “lasagne caserecce al sapore d’Italia, con patatine fritte tagliate a mano”. “Che cosa sono le patatine fritte tagliate a mano?” chiese al padrone di casa, John Fletcher.

“Sono quelle che è difficile tirare fuori dal sacchetto perché sono un blocco surgelato,” rispose Fletcher.

“E non arrossisce nemmeno nel dirlo,” ribatté Agatha. “D’accordo, prenderò le lasagne e un bicchiere di Merlot.”

“Allora si accomodi pure fuori,” disse John, “così potrà fumare.”

“Ho smesso,” mentì Agatha, perché desiderava unirsi alle sante schiere dei non fumatori.

John le lanciò un’occhiata scettica. “Bene, se cambia idea non ha che da dirmelo.”

“Però lasci stare le patatine,” disse Agatha. “Prenderò l’insalata al taglio di lama. Di che si tratta?”

“L’ho preparata mentre mi facevo la barba,” disse Fletcher.

“Oh, ma che ridere, molto spiritoso.” Agatha andò a cercarsi un tavolo. Sopra il bancone era montato un televisore, acceso con l’audio abbassato. Richard Dawkins, il celebre agnostico, stava dicendo qualcosa, certamente stava cercando di rovinare la domenica a qualcuno, pensò Agatha. Buffo come fosse diventato di moda dare addosso alla cristianità. Fece cenni a varie persone che conosceva ma nessuno la raggiunse al tavolo. Si rese conto che ancora una volta il villaggio associava il nome di Agatha alla morte e alla violenza. Era forse sbagliata la sua convinzione che dietro a tutto ciò ci fosse Gwen Simple?

Arrivò l’ordinazione. Sembrava la solita vecchia sbobba da pub che veniva servita prima dell’avvento dei menu alla moda. Mangiò meccanicamente, rimuginando su quello che sapeva degli omicidi.

Agatha era ancora scossa dopo l’ultima aggressione e avrebbe avuto una gran voglia di finire di mangiare, tornare a casa, andare a letto e tirarsi il piumone fin sopra la testa. Invece decise di andare ad Ancombe e di spiare Gwen.

Gwen stava dando una festicciola nel giardino sul davanti. Era vestita con un abito da tè di foggia antiquata, di un tessuto lavorato e leggerissimo, che le svolazzava attorno al corpo. I capelli erano raccolti sulla sommità del capo. Il naso lungo e affilato e gli occhi dalle palpebre pesanti sul volto pallido la facevano sembrare più che mai appena uscita da un dipinto medievale. Agatha si rintanò dietro un albero in giardino per non farsi vedere dagli ospiti. Due invitati arrivati tardi le passarono davanti ed entrarono in giardino.

Agatha notò che un tizio assai attraente stava aiutando a servire da bere. Era alto come James ma aveva i capelli rossi e la faccia abbronzata. I due nuovi arrivati dissero qualcosa a Gwen, che guardò dritta l’albero dietro il quale era nascosta Agatha. Disse poi qualcosa al bellone, che attraversò il giardino a grandi passi. Agatha stava sgattaiolando via per tornare all’auto quando l’uomo la raggiunse.

“La signora Simple vuol sapere che cosa crede di fare, spiandola,” disse.

“Sono un’investigatrice privata e…”

“Sì, la signora Simple me lo ha detto. Che cosa ci fa qui?”

“La signora Simple è tra i sospettati in un caso del quale mi sto occupando.”

“Il fatto che quel disgraziato di suo figlio fosse un assassino non fa della signora un’assassina. Sta telefonando alla polizia per denunciarla per molestie.”

“Ma porca biscia. Mi piomberanno addosso come un TIR di mattoni. Quando quel tizio per poco mi ha uccisa mi hanno trattata come se la malvagia in questa storia fossi io.”

L’uomo la guardò incuriosito. Il sole splendeva sui capelli lucidi di Agatha. Lei indossava una camicetta bianca con una gonna corta che metteva in mostra le gambe ben fatte. Era avvolta da un vago sentore di Miss Dior.

“Sono appena rientrato da Dubai. Che cos’è questa storia? Hanno tentato di ucciderla?”

“Non crede che sarebbe il caso di presentarsi?” disse Agatha.

“Mi chiamo Mark Dretter. Ho appena comprato un cottage ad Ancombe.”

“Senta,” disse Agatha, rimpiangendo di non aver optato per dei tacchi bassi, perché i laccetti dei sandali con il tacco alto stavano cominciando a tormentarla. “Sono stanca di stare qui in piedi con questo caldo. Possiamo andare a parlare in un posto un po’ più comodo?”

“Perché no? Io ho conosciuto Gwen solo oggi quando è venuta a farmi visita e mi ha invitato alla sua festa. Dove propone di andare?”

“La posso portare al pub di Carsely, lì avremo agio di parlare.”

“Lei faccia strada e io la seguo,” disse Mark.

Quanti anni avrà? si chiese Agatha. Suppongo sia più o meno mio coetaneo. È molto bello e ha un fisicaccio. Non è che magari sta mentendo? Magari ha un legame intimo con Gwen e vuole scoprire cosa so. Oh, spero tanto che Charles non faccia una delle sue solite apparizioni improvvise.

Al Leone Rosso scelsero un tavolo in giardino. Per la sorpresa di Agatha, Mark Dretter ordinò una bottiglia di vino bianco freddo.

“Non ha paura di essere fermato per guida in stato di ebbrezza?” chiese. “Per me non è un problema. Posso lasciare la mia auto qui e andarmene a piedi.”

“Non mi pare un gran rischio,” disse Mark. “Da qui ad Ancombe sono poche miglia e non ho intenzione di prendere una sbornia.”

“Prima che io le racconti tutto,” disse Agatha cautamente, “lei quando è arrivato da Dubai?”

“Ieri. Ho incaricato mia sorella di cercarmi un cottage nei Cotswolds e le ho fatto avere il denaro.”

“E che lavoro fa?”

“Lavoro all’ambasciata britannica. Sono in congedo.”

“È una spia?”

“No. Sono un semplice portaborse. Ma sentiamo la storia di questo omicidio.”

“Di questi omicidi,” lo corresse Agatha.

Mark ascoltò con attenzione mentre Agatha gli raccontava tutta la storia, concludendo con il tentativo di ucciderla messo in atto da Justin.

Terminato il resoconto, l’uomo disse: “E io che speravo in una vita tranquilla in una zona nella quale non succede mai nulla. Però mi sembra un po’ eccessivo sospettare di Gwen solo per via del suo orrendo figlio”.

“Come ha saputo la storia di Gwen?” chiese Agatha.

“Me ne ha parlato mia sorella.”

“E non le ha parlato degli altri omicidi? A Dubai vi arrivano i giornali inglesi. Avrà per forza letto qualcosa.”

“Ora ricordo, in effetti. Sì, ne avevo letto. Però tanto per cominciare non mi ero reso conto che Carsely fosse così vicina e inoltre gli altri omicidi erano avvenuti a Oxford.”

Con uno dei suoi improvvisi lampi di intuizione Agatha pensò che l’uomo stava mentendo. Gwen lo ha già accalappiato, rifletté, e lui sta facendo del suo meglio per scoprire tutto quel che può e riferirlo a lei.

Agatha si considerava poco attraente. Non le era mai passato per la testa che questa fosse una conseguenza dei gusti scadenti che aveva mostrato in fatto di uomini. Quelle esperienze le avevano minato l’autostima. All’improvviso si rese conto che Mark Dretter le stava parlando.

“Sembra che tutto abbia avuto inizio con quella psicologa,” disse. “Il fatto che quando era a Chicago facesse la squillo complica le cose. Guardiamola in un altro modo. Gli abitanti di questo villaggio si erano rivolti a Jill per farsi aiutare. Qualcuno temeva che quel detective di Oxford avesse scoperto qualcosa. Poi c’è l’avvocato. Forse l’assassino aveva saputo, grazie alle microspie piazzate a casa sua, signora Raisin, che l’avvocato avrebbe indagato e ha sovrastimato le capacità di Herythe. E poi abbiamo Victoria Bannister. Che tipo era?”

“Una stronza. Impicciona. Gelosa. Zitella.”

“Giusto. La Bannister spiava lei, signora Raisin. Magari conosceva i nomi di chi si era rivolto a Jill. E magari le piaceva vedersi come una specie di Poirot e andava in giro ad accusare i pazienti di Jill e dire: so che l’assassino sei tu. Se non ci fosse stato quel collegamento con Chicago, lei, signora Raisin, si sarebbe concentrata su questo villaggio. Insomma, il ricorso allo strozzalupo fa pensare a qualcuno che conosce bene le piante.”

Agatha era sempre più attratta da Mark. Ma c’era una cosa che doveva assolutamente chiarire. Gli disse dei pochi compaesani che erano al corrente del fatto che lei si fosse rivolta a Jill. “Perché mi ha mentito, Mark, dicendomi di non sapere nulla degli omicidi? Gwen quando è passata a invitarla alla festa l’ha accalappiata. Le ha raccontato tutta la storia del figlio e di come questa investigatrice privata, che sarei poi io, le stesse dando il tormento. E lei, Mark, stava addirittura recitando la parte del padrone di casa durante la festa in giardino. Come un cavaliere errante probabilmente le ha telefonato dall’auto lungo la strada per venire qui e le ha detto che si stava occupando del caso.”

Lui rise di malavoglia. “Insomma, adesso mi sta facendo sentire uno stupido. Gwen mi ha raccontato una storia patetica e io ero dispiaciuto per lei. Pensavo che avrei dovuto intimidire e allontanare una pazza con la faccia da dura e non una donna con i capelli lucidi e profumata d’estate. Senta, lasciamo perdere Gwen e diventiamo amici.”

I suoi capelli erano folti e rossi con fili d’argento che brillavano al sole.

“È sposato?” chiese Agatha.

“No. La mia povera moglie è morta di cancro tre anni fa. E lei?”

“Divorziata. Ha figli?”

“No. E lei?”

“Nemmeno io.”

Le sorrise, e dall’altra parte del tavolo lo sleale cuore di Agatha ebbe un sussulto.

“Non ha risposto alla mia domanda. Amici?” Tese la mano.

Agatha la strinse. “Amici,” gli fece eco.

“Perché non ceniamo insieme domani sera?”

“Magari,” disse cautamente lei. “Mi dia il suo biglietto da visita e mi farò viva io. Spesso mi tocca lavorare fino a tardi.”

“Non abbiamo bevuto molto del nostro vino,” disse Mark. “Conviene che io ritorni alla festa.”

“Che cosa racconterà?”

“Che una donna incantevole come lei non può avere cattive intenzioni. Le telefonerò.”

Non appena Mark se ne andò, Agatha si accese una sigaretta. La bottiglia era ancora mezza piena ma non aveva più voglia di bere. Sentiva crescere dentro di sé una bolla di eccitazione. Agatha faceva spesso sogni di matrimonio. Avrebbe dovuto trasferirsi a Dubai? Ma poi la realtà ebbe il sopravvento. Gli uomini come Mark non avevano alcuna voglia di sposare donne di mezza età. Di solito miravano a una giovane ammaliatrice in età ancora fertile. Si chiese quali racconti di persecuzione gli stesse propinando Gwen.

Un’ombra cadde sul tavolo. Agatha alzò gli occhi. “Bevi da sola?” chiese James.

“No, avevo compagnia,” rispose. “Prenditi un bicchiere, così potrai bere un po’ di questo vino prima che si intiepidisca troppo.”

James tornò con un bicchiere, lo riempì e chiese: “Ti sei ripresa dallo spavento di essere quasi stata uccisa?”.

“Abbastanza. Ho la sensazione che dovrei prendere in affitto un appartamento a Mircester. Il mio cottage non mi sembra sicuro, ecco. Però non mi garba l’idea di rinchiudere i miei gatti in una casa di città.”

“Lasciali a Doris.”

“Magari sì.”

“Bere non è una soluzione. Non è da te ordinare un’intera bottiglia.”

“Non l’ho ordinata io. Come ti ho già detto ero in compagnia. Lui è appena andato via.”

“Chi sarebbe questo lui, Agatha?”

Lei gli raccontò tutta la storia, di come fosse stata colta sul fatto mentre teneva d’occhio Gwen e di come avesse fatto amicizia con Mark.

“Vacci con i piedi di piombo,” le suggerì James, quando Agatha ebbe finito di parlare. “Ho dei contatti a Dubai. Farò fare un controllo su quel Dretter.”

“Mi ha messo un’idea in testa,” disse Agatha. “Se Gwen non c’entra nulla in tutto ciò, allora forse gli omicidi di Oxford e la perizia dimostrata nel nascondere delle microspie nel mio cottage hanno fatto sì che io non concentrassi la mia attenzione sugli abitanti di Carsely. Lo sai come vanno le cose di questi tempi nei villaggi dei Cotswolds. C’è gente di Londra che usa il cottage solo al sabato e alla domenica. Ti viene in mente qualcuno?”

“Ho parlato con alcune delle mogli che vengono lasciate qui da sole per l’intera settimana, in attesa dei mariti che tornano a casa solo per il sabato e la domenica. Devono trovare il modo per ingannare il tempo. Andare da una psicologa quando non ne hai bisogno è un modo per gratificarsi l’ego. Te ne stai lì seduta o sdraiata con un pubblico passivo, e parli di te.”

“Riesci a pensare a qualcuno in particolare?” chiese Agatha.

“Ci sarebbe Bunty Rotherham. È sposata con Oran Rotherham, che ha una fabbrica di elettronica a Slough.”

“Che razza di nome è Oran?”

“In gaelico significa ‘verde pallido’.”

“Da che parte è casa sua?”

“Appena fuori dal villaggio, sulla strada per Ancombe. Dalla strada però non riesci a vederla. All’inizio del vialetto che porta dai Rotherham c’è un casotto del guardiano, abbandonato e con le finestre murate, è a circa ottocento metri da Carsely.”

“Come fai a sapere tutte queste cose?”

“Una volta sono stato invitato lì a una festa, durante un fine settimana. Possiedono le dotazioni di ordinanza: piscina, vasca idromassaggio, campi da tennis e da croquet.”

“Che tipo è Oran?”

“Corpulento e bellicoso. Forte accento irlandese, tranne quando si dimentica di usarlo e gli si insinua nel linguaggio qualche frammento di cockney. In anni non lontani è stato indagato perché lo sospettavano di vendere agli iraniani congegni di controllo in remoto, ma i servizi di intelligence non sono mai riusciti a trovare elementi con i quali incriminarlo.”

“Vado subito a fargli visita,” disse Agatha.

“Meglio che ti accompagni io,” propose James. “Se non ricordo male una sera ti sei comportata alquanto villanamente nei confronti delle mogli trofeo.”

“Oh, insomma, speriamo che Bunty non fosse una di loro. Il vino lo pago io. Charles mi ha addestrata bene.”

Però il padrone del locale le disse che la bottiglia era già stata pagata da Mark. Nel pensare a lui Agatha fu avvolta da una sensazione calda e rosea.

James suggerì di prendere la sua auto, visto che Agatha gli aveva confessato di aver bevuto due bicchieri di vino.

Per il disappunto di Agatha, James si era appena comprato una Morgan sportiva bianca, sulla quale era difficile salire tanto quanto scendere. James svoltò dopo aver superato il casotto abbandonato e risalì lentamente un lungo viale fiancheggiato su entrambi i lati da alti filari di pini. Finalmente la casa divenne visibile. Era un edificio grande e abbastanza moderno, che ricordava una vecchia stazione balneare. “Sembra una roba uscita da un episodio di Poirot,” disse James. “Suppongo che sia stato costruito negli anni trenta da un architetto che cercava di copiare Lutyens. Buffo, no, che da queste parti consideriamo moderna qualunque cosa sia stata costruita in quel periodo.”

James parcheggiò accanto a una grossa Bentley e a una Porsche. “Se non altro non pare che abbiano ospiti,” disse.

Agatha cercò di scendere dall’auto sportiva, così bassa, e finì per atterrare con il sedere sulla ghiaia.

“Auto del cavolo,” borbottò mentre James l’aiutava a rialzarsi.

“La mia auto non ha nulla che non vada,” disse lui. “Se solo tu la piantassi di andare in giro con quelle gonnelle strette strette e con quei tacchi ridicolmente alti, di problemi non ne avresti.”

“Ecco quello che succedeva nel nostro matrimonio,” disse Agatha, infuriata. “Non facevi altro che maltrattarmi e criticare il mio abbigliamento.”

“Oh, ma chiudi il becco,” ribatté James. “Vuoi far visita a quest’uomo o no?”

Si avviò a passo di marcia verso l’ingresso e suonò il campanello senza girarsi a vedere se Agatha lo stesse seguendo.

Lei gli trotterellò dietro: i tacchi a spillo dei sandali erano inadatti al ghiaino.

Quando lo raggiunse, finalmente James si voltò. “Forse in casa non c’è nessuno.”

Una voce femminile all’improvviso uscì metallica dal citofono accanto alla porta. “Chi è?”

“James Lacey.”

“Oh, James, mio caro. Aspetta un momento.”

Il sole picchiava forte. Sollevando lo sguardo sulla casa, Agatha notò la presenza di un sacco di terrazze rotonde e di vetrate.

La porta si aprì di scatto e comparve un maggiordomo in abito nero, cravatta nera e camicia bianca. Aveva una faccia da criminale, di quelli che Agatha tra sé e sé definiva “stupidi scimmioni”. “I signori sono in piscina,” disse con voce rauca. “Vogliate seguirmi.”

Attraversarono un atrio dalle pareti bianche. Uno scalone ricurvo di pietra, bianca anch’essa, ma con una ringhiera di ferro battuto nero, conduceva al piano di sopra. Poi in una stanza spaziosa dove era tutto bianco, dal divano e dalle poltrone in pelle alle pareti su tre lati; il quarto lato era invece costituito da ampie vetrate. Su un tavolino da caffè c’erano le copie più recenti di alcune riviste patinate. Il locale era dominato da una statua bianca, che raffigurava un nudo di donna. Le finestre si aprivano su una terrazza. L’uomo camminava svelto davanti a loro. Agatha notò che nonostante la divisa formale calzava scarpe da ginnastica. Forse non era un vero maggiordomo ma una specie di guardaspalle. Scesero i gradini dalla terrazza al retro della casa, dove un uomo e una donna erano distesi in costume da bagno su due lettini accanto a un tavolo. Bunty indossava un bikini striminzito sopra un’abbronzatura da salone di bellezza. Agatha si rese conto con sollievo che la signora Rotherham non era una delle donne che lei aveva insultato al pub. Oran si sollevò dal lettino e si sedette a un’estremità di esso. Aveva il petto coperto da un folto pelame nero, barba e baffi scuri. Perfino il dorso delle mani poderose era coperto di peli.

Bunty era il ritratto perfetto della moglie trofeo, dalla boccuccia imbronciata sostenuta dal collagene, alle unghie dei piedi laccate. “Roger,” disse al domestico, “porta qualche sedia, ci metteremo tutti attorno al tavolo e berremo qualcosina.”

Ma Roger aveva davvero mormorato un “vaffanculo” prima di girarsi? Certamente non aveva l’aria di gradire il fatto di prendere ordini da Bunty. Però tornò dopo pochi istanti, spingendo un carrello con quattro sedie pieghevoli. Le aprì e le sistemò attorno al tavolo. Bunty si alzò srotolandosi dal lettino e si sedette a tavola, facendo un cenno con la mano ad Agatha e a James, e facendo lampeggiare al sole gli anelli di diamanti, per invitarli a fare la stessa cosa. Oran sollevò il corpaccione poderoso e si piazzò su un’altra sedia. “Che volete bere?”

“Per me nulla,” disse James. “Devo guidare e ho già raggiunto il limite consentito.”

“Niente nemmeno per me, grazie,” disse Agatha.

Bunty mise il broncio e chiamò Roger: “Portami una tequila”.

Roger la guardò malissimo ma sparì dentro casa.

“Allora, quale sarebbe il motivo di questa visita?” chiese Oran.

“Nel mio cottage di recente qualcuno ha piazzato delle microspie,” disse Agatha. “Lei, o magari sua moglie, conosce qualcuno, qui in paese, che abbia le competenze necessarie per farlo?”

Gli occhi dell’uomo si indurirono all’improvviso. “A parte me, intendete dire?”

“Ma certo,” si affrettò a confermare James.

“Non ho proprio idea,” disse Oran. “Se siete venuti solo per chiedermi questa cosa, fareste meglio a sloggiare subito. Roger!”

Roger riapparve prontamente. “Accompagnali alla porta,” disse Oran. Tornò a sdraiarsi e chiuse gli occhi.

“Quell’uomo è una canaglia come ce ne sono poche,” disse Agatha, dopo essersi infilata a fatica nell’abitacolo dell’auto di James.

“Io credo che sia semplicemente un tizio che si è fatto da solo, e molto diretto,” disse James.

“No, ha qualcosa che non va,” protestò Agatha, “e quel Roger farebbe venire la pelle d’oca a chiunque.”

“D’accordo,” disse James, sterzando e tornando sulla strada per Carsely, “ipotizziamo che tu abbia ragione. Te lo vedi un tipo come quello che va a chiedere un aiuto a Jill?”

“No, però potrebbe averlo fatto Bunty,” disse Agatha. “È bloccata in campagna tutta la settimana. Devi essere abbastanza narcisista per sottoporre il corpo ai trattamenti che ha subito lei. Hai fatto caso a quei seni?”

“Non riuscivo a distogliere gli occhi,” disse James, e lei lo fulminò con lo sguardo.

“Silicone cento per cento,” disse Agatha. “E quel lifting tipo galleria del vento. Quindi lei va da Jill per parlare di sé e forse le sfugge qualcosa di troppo sul lato oscuro degli affari di Oran. Lui si allarma e riempie di microspie il mio cottage per scoprire che cosa sappiamo.”

“Agatha, ero stato a una delle loro feste, ed era piena di tutta la gente che conta nei Cotswolds.”

“E qualcuno aveva chiesto di me?”

“Parecchia gente. Non puoi negare di essere una celebrità di questo villaggio.”

“Bunty o Oran avevano fatto domande sul mio conto?”

“Che io ricordi, no. Eccoci. Sono certo che tu sia sobria a sufficienza per poterti mettere al volante.”

Questa volta James girò attorno all’auto e aiutò Agatha a issarsi fuori dal sedile del passeggero.

“Magari ci vediamo domani,” disse, “però ho un sacco di cose da scrivere.”

Agatha si ricordò dell’invito a cena da parte di Mark Dretter. “Oh, non sentirti costretto,” disse. “Avrò parecchio da fare anche io.”

Invece di andare a casa Agatha si diresse verso la canonica, riflettendo che la vita in campagna rendeva pigri. A Londra era solita camminare per chilometri e chilometri. In campagna aveva preso l’abitudine di usare l’auto anche per brevi distanze.

Il pastore aprì la porta e la guardò storto. Si girò e si allontanò lasciando però l’uscio aperto. Agatha lo seguì e sentì gridare: “Quella Raisin è di nuovo qui. Perché già che ci sei non la inviti a trasferirsi da noi?”.

Spuntò la signora Bloxby. “Oh, andiamo in giardino. La giornata si è fatta afosa e non c’è un filo d’aria. Che cosa ti posso offrire?”

“Nulla,” disse Agatha. “Voglio solo parlare.”

Si lasciò cadere su una sedia da giardino e liberò i piedi sofferenti dal tormento dei sandali. “James e io siamo andati a fare visita ai Rotherham. Credo che lui sia un criminale.”

“Un criminale molto generoso,” disse la signora Bloxby. “Ha donato cinquemila sterline al centro sportivo comunale e duemila al fondo che si occupa del restauro della chiesa.”

“Non ero nemmeno al corrente del fatto che avessero una casa qui,” disse Agatha.

“L’hanno comprata sei mesi fa,” disse la signora Bloxby. “Era praticamente un rudere e devono aver speso una fortuna per ristrutturarla.”

“Hanno qualche domestico a parte quel gorilla di nome Roger?”

“Le pulizie gliele fa una ditta di Evesham e se hanno ospiti si rivolgono a un’agenzia di catering. Lui ha un falso accento irlandese davvero stranissimo.”

“Chissà se è mai stato a Chicago,” disse Agatha.

La signora Bloxby si lasciò andare contro lo schienale e chiuse gli occhi. Aveva l’aria stanca. Chi vorrebbe mai essere la moglie di un pastore? pensò Agatha. Bestia da soma, infermiera, psicologa, sempre gentile, sempre piena di tatto. Niente paga e ben pochi ringraziamenti.

“Non siamo vicini al tuo compleanno?” chiese.

La signora Bloxby aprì gli occhi. “È domani.”

“Uscite a festeggiare?”

“Non credo. Alf se ne dimentica sempre.”

“Devo andare. Mi sono ricordata di una cosa. Non ti alzare. Alla porta ci posso arrivare da sola.”

Una volta tornata al cottage, Agatha si sedette al computer e preparò un volantino che stampò in una pila di copie. Il volantino diceva: “È il compleanno della signora Bloxby. Mandate un biglietto di auguri alla moglie del pastore, che tanto si prodiga per noi”.

Calzò un paio di scarpe basse e comode e si avviò a piedi per fare il giro del villaggio, infilando volantini nelle buche delle lettere, finché non fu troppo stanca per proseguire.

Tornando al cottage le venne in mente di avere ancora in casa, intatto, un flacone di Chanel n. 5 che James le aveva donato il Natale precedente. In cucina trovò della graziosa carta da regalo e ce lo avvolse. Poi tornò al computer per mandare un biglietto di accompagnamento elettronico. Al mattino, prima di andare al lavoro, avrebbe lasciato il profumo sul gradino della canonica. Era domenica e la maggior parte dei negozi era chiusa. Poteva solo sperare che alcuni compaesani riuscissero a spedire auguri di compleanno.

L’indomani mattina la signora Bloxby stava preparando la colazione al marito quando qualcuno suonò il campanello. Prima di riuscire ad aprire la porta dovette sgomberare lo zerbino da una grande quantità di posta. Quando finalmente lo fece, vide parcheggiato davanti a casa il furgone di un fiorista. “Ci sono un sacco di mazzi per lei,” disse il fattorino. “Glieli porto dentro. Ma dovrebbe togliere tutti quei pacchetti che ci sono sui gradini, non vorrei inciampare.”

La signora Bloxby rimase lì a guardare stupefatta mentre l’uomo portava dentro la canonica un mazzo di fiori dopo l’altro.

Arrivò il pastore. “Che succede qui?” chiese.

“È il mio compleanno,” disse sua moglie. “Guarda quanti fiori! E puoi aiutarmi a spostare tutti quei pacchi che ci sono sugli scalini? Userò la maggior parte dei bouquet per addobbare la chiesa. Che meraviglia. A Interflora devono aver fatto gli straordinari.”

Il pastore rimase a guardare la moglie come un cervo paralizzato dai fari. Poi disse: “Torno tra un minuto”.

Corse nello studio. Di recente aveva partecipato a un’asta in compagnia di un amico e d’impulso aveva comprato una bella spilla d’oro edoardiana tempestata di pietre di luna e diamantini. Aveva progettato di regalarla alla moglie in occasione del loro anniversario di nozze, a novembre. Era in una scatoletta di marocchino rosso. La tirò fuori dal cassetto chiuso a chiave sul fondo della scrivania e tornò in soggiorno in tutta fretta. Sua moglie stava leggendo i biglietti di auguri che accompagnavano i fiori. “Ecco qui,” disse con tono burbero. “Buon compleanno.”

“Oh, Alf,” disse la signora Bloxby, aprendo lo scatolino. “È bellissima. Come diamine hanno fatto a sapere tutti quanti che oggi compio gli anni?”

“Mi pare di essere stato io ad accennare alla cosa,” mentì il pastore. All’improvviso ebbe la certezza che dietro a tutto questo ci fosse Agatha Raisin e col cavolo che le avrebbe permesso di prendersi il merito. “Portiamo dentro i pacchi.”

Poiché la domenica i negozi erano rimasti chiusi, i regali erano cose tipo dolci e marmellate fatte in casa.

Squillò il telefono. La signora Bloxby andò a rispondere. Era Agatha che voleva farle gli auguri.

“La canonica è piena di fiori,” disse la signora Bloxby. “Mi sembra di essere una diva del cinema.”

La voce di Agatha si fece all’improvviso brusca per la preoccupazione. “Accertati che tutti i mazzi vengano dal fiorista e che nessuno abbia infilato lì in mezzo composizioni casalinghe. Non vorrei mai vederti morire per colpa dello strozzalupo.”

Dopo aver chiuso la telefonata la signora Bloxby riferì al marito quello che le aveva detto Agatha. Ispezionarono i mazzi, leggendo i biglietti, ma arrivavano tutti dal fiorista. “Quante lettere di ringraziamento mi toccherà scrivere,” disse la signora Bloxby.

Il pastore notò per la prima volta che sua moglie aveva l’aria stanca, nonostante fosse mattina.

“Guarda, qualcuno ha addirittura mandato una bottiglia di champagne. Adesso la stappo e poi ti darò una mano ad aprire i regali. E stasera ti porto fuori a cena.”

Gli occhi della signora Bloxby si riempirono di lacrime. “Sei così buono con me, Alf. Non è troppo presto per lo champagne?”

“Non nel giorno del tuo compleanno. Vado a prendere i bicchieri.”

Quella mattina in ufficio Agatha distribuì i compiti per la giornata. “Non ha tenuto niente per sé,” disse Toni.

“Vorrei disporre di una giornata tranquilla in modo da poter rivedere i miei appunti,” disse Agatha. La verità era che voleva restare nei pressi del telefono nel caso in cui Mark si fosse fatto vivo. Naturalmente avrebbe sempre potuto raggiungerla sul cellulare, ma Agatha stava già fantasticando di sposarlo. E la sua segretaria, la signora Freedman, si era presa un giorno di ferie per andare a trovare la nipote.

Usciti i suoi investigatori, Agatha scoprì che la signora Freedman riceveva un bel po’ di telefonate. Avrebbe tanto voluto gridare ai chiamanti di lasciar libera la linea, ma gli affari sono affari, quindi si ridusse a prendere nota di animali smarriti, mariti adulteri, e di tutti gli altri casi di ordinaria amministrazione con i quali l’agenzia campava. Alle tre del pomeriggio era ormai arrabbiata e affamata. Ordinò una pizza a domicilio mentre si preparava un’altra tazza di caffè.

Agatha aveva la bocca piena di pizza quando squillò il telefono. Rispose. “Sì, come posso essere di aiuto?” disse, per quanto con la bocca piena le uscisse più un “Fì, come poffo effere d’aiuto?”.

“Vorrei parlare con Agatha Raisin.” Era Mark. Agatha sputò la pizza sul pavimento.

“Mark, caro!” tubò. “È Mark, non è vero?”

“Sì, Agatha. Mi chiedevo se non le andrebbe di uscire a cena con me questa sera.”

“Oh, ma sarebbe magnifico,” disse Agatha. “A che ora e dove?”

“Al George. Facciamo alle otto?”

“Perfetto. Ci vediamo lì.”

Aveva appena rimesso giù il ricevitore quando Charles entrò deciso in ufficio.

“Che ci fai qui?” gli chiese bruscamente Agatha.

“Perché sei così ostile? Ho pranzato con un cugino, una gran noia, e ho pensato di fare un salto da te.”

“Va bene, però io ho da fare, quindi il salto fallo da un’altra parte.”

Charles scrutò il pavimento accanto alla scrivania di Agatha. “Hai vomitato?”

“No, scottava. Adesso pulisco. Senti, Charles, mi dispiace ma davvero ho troppo da fare.”

“Lui chi è?” chiese Charles.

“Chi è chi?”

“Di fianco alla scrivania hai la sacca da viaggio, e la sua presenza implica di solito che tu abbia un appuntamento galante e intenda cambiarti indossando qualcosa di più sexy. Meno male che non ci hai vomitato sopra la pizza.”

“Stai dicendo un sacco di scemenze. Oh, vattene. Mi fai venire il mal di testa.”

“Bene, ma non venire a piangere da me se salterà fuori che quel tizio è un farabutto.”

Charles se ne andò. Agatha ripulì il macello che aveva fatto sul pavimento. Il pomeriggio si trascinò a rilento. Poi i dipendenti dell’agenzia rientrarono uno dopo l’altro, con i loro rapporti.

“Credo che nessuno di questi casi giustifichi gli straordinari,” disse Agatha. “Quindi potete tornarvene tutti a casa.”

“Agatha ha un appuntamento,” disse Toni mentre scendeva le scale dell’ufficio in compagnia di Simon. “Hai idea di chi possa essere?”

“Mhm, no. In ogni caso, chiunque sia dovrebbe essere avvisato che il nostro assassino potrebbe ucciderlo. A volte penso che questo killer sia là fuori, che stia osservando Agatha, e godendo nel vederla brancolare nel buio più assoluto.”

“Mi chiedo se non dovremmo seguirla, giusto per essere sicuri che non si cacci nei guai,” disse Toni.

Simon rise. “Sembra che stiamo parlando di un’adolescente ribelle. Non ci ringrazierebbe per la nostra intromissione.”

Agatha arrivò al George con dieci minuti di ritardo. Si era truccata pesantemente, poi si era lavata il viso, ci aveva riprovato, aveva deciso che così era troppo poco, e proprio quando aveva finalmente deciso di essere contenta del risultato le era caduto un grumo di mascara sulla guancia e le era toccato ricominciare tutto daccapo.

Aveva un abito di maglina leggerissimo, rosso acceso con la scollatura profonda e un paio di scarpe rosse con il tacco alto. L’insieme era completato da un ciondolo con un diamante e da minuscoli orecchini di diamante.

Mark Dretter si alzò per andarle incontro e Agatha all’improvviso sentì di essersi messa eccessivamente in tiro. Le lunghe portefinestre in fondo al ristorante erano spalancate perché la serata era calda e afosa. Mark portava una camicia a quadretti blu e bianchi sbottonata sul collo. Però disse: “Lei è favolosa”.

“Ho dovuto occuparmi di un cliente molto altolocato, prima di venire qui,” mentì Agatha.

“Scegliamo qualcosa dal menu,” disse Mark, “e poi potrà raccontarmi a che punto è con le indagini.”

Gli occhietti ursini di Agatha si conficcarono all’improvviso nella faccia di Mark. “In modo che lei possa andare a riferire tutto a Gwen?”

Lui si mostrò ferito. “Lo fa con tutti gli uomini che la invitano a cena, di attribuire loro scopi reconditi?”

“Con il lavoro che faccio devo sospettare di chiunque,” disse Agatha. “Le chiedo scusa.”

“Lasciamo stare. Che cosa desidera mangiare?”

Agatha godeva di un robusto appetito ma era tristemente consapevole che ogni caloria sarebbe finita dritta dritta sul girovita. Però la dieta la potrei iniziare domani, pensò.

Come antipasto ordinò un avocado ripieno di gamberetti, seguito da una bistecca con patate al forno. Mark disse che avrebbe preso la stessa cosa e ordinò una bottiglia di Macon per accompagnare il pasto.

“Non riesco a fare a meno di ricordare di aver pranzato qui con David Herythe,” disse Agatha, “che poi è stato ucciso. Spero di non mettere in pericolo anche lei.”

Lui rise. “Mia sorella è fissata con la sicurezza. Il mio cottage ha imposte di acciaio alle finestre del piano inferiore, una telecamera a circuito chiuso sopra la porta e allarmi anti-intrusione sul retro e davanti. Però a pensarci bene è chiaro che l’assassino la sta pedinando. Rifletta. Magari è addirittura qui al ristorante.”

Agatha si guardò attorno per la sala. “Hanno tutti un’aria normalissima,” disse. “E badi, solo dopo che un assassino è stato preso la gente dice ‘Ma guarda che occhi malvagi, indagatori’, o qualcosa del genere, quando in realtà l’assassino potrebbe essere qualcuno al quale passi accanto senza degnarlo di un secondo sguardo.”

“Forse questo assassino ha rinunciato,” disse Mark. “Si è ripresa dopo l’aggressione?”

“Ma certo,” fece lei, afferrandosi le mani che stavano cominciando a tremare, e intrecciandole in grembo.

Dentro di sé pensava che non avrebbe mai dimenticato l’attacco di Justin. In passato la vita di Agatha era già stata messa a repentaglio, ma il trauma era stato superato rapidamente. Forse adesso stava soffrendo per l’accumularsi delle aggressioni. Magari avrebbe dovuto sposarsi e dimenticarsi il lavoro di investigatrice. Forse stare a Dubai sarebbe stato divertente. Avrebbe potuto fare gli onori di casa ai ricevimenti dell’ambasciata. Le sarebbe toccato indossare un abito a fiori con un cappello a tesa larga?

“Ehilà!” disse Mark. “Credo che lei si sia dimenticata della mia presenza.”

Agatha gli scoccò un’occhiata civettuola. “Come potrei mai dimenticare un uomo così bello?”

Lui sorrise. “Con facilità, mi vien da pensare. Perché ha sospetti su Gwen?”

“Perché suo figlio, il fornaio, serviva pasticci di carne ripieni delle carni delle vittime. Il ragazzo e Gwen abitavano accanto al forno. Non mi dica che quella donna non sapeva che cosa stava accadendo lì dentro.”

“L’amore materno può essere cieco. E poi Gwen non avrebbe avuto la forza fisica necessaria. Per esempio è stata lei a dirmi che Tremund è stato colpito alla testa e poi spinto nel canale.”

“Io credo che per una come Gwen Simple sarebbe facile sedurre un uomo in modo da indurlo a uccidere per suo conto.”

“Ma Agatha, è stata proprio lei a dirmi che la polizia aveva messo sotto controllo il telefono di Gwen. Eppure la signora Simple non si è fatta sfuggire nulla. In effetti conduce una vita irreprensibile. Mangi. Abbiamo un sacco di tempo per parlare.”

Una volta finita la prima portata, Agatha disse: “Ma lei, Mark, sembrava convinto che potrebbe trattarsi di un omicidio maturato nel villaggio e che la polizia stia sprecando il proprio tempo a indagare sul versante di Chicago”.

“È solo una mia sensazione. Omicidi su una scala così vasta indurrebbero chiunque a pensare che accadano più in un posto tipo Birmingham che in un villaggio inglese. In ogni caso che cosa sa lei di preciso sulla donna che le fa le pulizie a casa?”

“Doris? È di onestà specchiata.”

“E la signora Tweedy?”

“Potrà anche essere una stronza ma è parecchio anziana.”

“Scommetto che a Carsely c’è qualcuno che non le è mai nemmeno venuto in mente come possibile colpevole.”

“Non riesco a crederlo,” disse Agatha. “Jill aveva uno studio a Mircester, prima di trasferirsi a Carsely. Mi chiedo perché si sia trasferita. In una cittadina più grande i gonzi da accalappiare sono più numerosi.”

“Magari uno dei suoi pazienti di Mircester l’aveva minacciata,” disse Mark. “Forse è stato questo il motivo che l’ha spinta a trasferirsi. Oh, ecco la bistecca.”

Agatha era veloce nel mangiare. Mark invece tagliava con cura un pezzettino di bistecca e lo masticava a fondo prima di tagliarne dell’altra.

“Sono stanca di parlare di omicidi,” disse Agatha. “Mi racconti un po’ di lei.”

“Non c’è molto da dire,” rispose lui, portandosi alla bocca un minuscolo pezzo di patata al forno. “Perlopiù è un noioso lavoro impiegatizio. Potrei anche andare in pensione. Lei ha un vicino che si chiama James Lacey. Scrive libri, non è vero?”

“Sì, è il mio ex marito.”

“Non ha funzionato?”

“Evidentemente no,” tagliò corto Agatha.

“Insomma, non mi dispiacerebbe. Scrivere libri, intendo.”

“Le occorrerebbe disporre di mezzi finanziari propri.”

“Quelli li ho.”

Il sogno di Agatha a Dubai svaporò. L’amore in un cottage non sarebbe stato la stessa cosa. Ci aveva già provato con James.

“Per caso potrebbe presentarmi a James Lacey?”

“Sì, certo, lo posso fare.” Agatha di colpo sentì di essere stanca di quella compagnia. “Senta, se rinunciamo al dolce e al caffè possiamo andarci ora e beccarlo prima che vada a dormire.”

Mentre Mark parlava entusiasticamente con James delle proprie ambizioni di scrivere un libro, Agatha capì che Mark non aveva un’idea precisa, voleva solo scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, non sapeva neppure se un romanzo o un saggio. James scoprì che il genere preferito da Mark erano i libri di spionaggio e perciò gli suggerì di scriverne uno basandosi sulle proprie esperienze a Dubai. Agatha cominciò a pensare che Mark avesse qualcosa dello scolaretto.

Alla fine sbadigliò e annunciò che doveva andare a letto. Mark a malincuore lasciò la casa di James insieme a lei, e l’accompagnò fino all’ingresso del cottage. Agatha riconobbe con irritazione l’auto di Charles.

“Mi invita a entrare?” chiese Mark.

“Non stasera. Sono stanca.”

“Dobbiamo ripetere. La chiamerò.” La baciò calorosamente su entrambe le guance.

Agatha entrò nel cottage. Charles si era addormentato sul divano con i gatti in grembo. Gli lanciò un’occhiataccia e salì in camera da letto.

Aveva proprio bisogno di essere innamorata di un uomo, per sposarlo? Mark era un tipo di compagnia. Si fermò per un attimo. Dov’era l’assassino, adesso? E lei stava mettendo a repentaglio la vita di Mark? E quella di Charles e James? E la propria?

Aprì la finestra della camera da letto e si affacciò. Una figura scura e tozza stava correndo fuori dal vicolo. Agatha provò uno spasmo di puro terrore. Chiunque fosse, non era uno che stava portando a spasso il cane. C’erano solo due cottage in Lilac Lane, il suo e quello di James, e il vicolo terminava in un campo.

Si precipitò giù per le scale e scrollò Charles per svegliarlo. “C’era qualcuno lì fuori,” disse.

Charles si tirò su di scatto, facendo cadere i gatti sul pavimento. “E allora?”

“E allora che motivo avrebbe qualcuno per venire fin qui?”

Il baronetto si alzò. “Vado a dare un’occhiata.”

“No!” gridò Agatha, aggrappandosi a lui. “Non voglio perderti.”

Charles sogghignò: “Ma così, all’improvviso…”. Le depositò un bacio sul naso. “Starò attento.”

Si infilò le scarpe e uscì nella stradina. L’aria era umida e opprimente e non c’era la luna. Corse leggero fino in fondo al vicolo. In un angolo c’era un lampione. Ma sembrava che il villaggio di Carsely fosse già addormentato. Charles tornò lentamente al cottage di Agatha. Era preoccupato per lei. Aveva già visto l’amica affrontare la morte e il caos, e dopo ogni grosso spavento era sempre tornata come nuova. Ma questi omicidi la stavano turbando profondamente. Sarebbe stato un bene che partisse, andasse in vacanza e dimenticasse tutta questa faccenda.

Un lieve ticchettio sulle foglie del lillà vicino al cancello lo spinse ad alzare gli occhi. Stava cominciando a piovere.

“Hai visto qualcosa?” chiese Agatha, quando Charles rientrò in casa.

“Niente. Vai a dormire. Dovresti andartene da qualche parte, Aggie, e lasciar perdere questa storia. Ti stai logorando i nervi.”

“Non me ne andrò da nessuna parte finché non avrò inchiodato questo bastardo.”

“Va bene, fila a dormire e ne parleremo domattina.”

La mattina grigia e piovosa ebbe per Agatha un effetto calmante. Gli orrori sembravano in qualche modo peggiori alla luce vivida del sole. Charles si era già alzato e stava per uscire. “Magari ci vediamo dopo,” disse.

Agatha a volte aveva meditato di dirgli di aver intenzione di trasformare la camera degli ospiti in un ufficio perché non le andava a genio il modo sfrontato con il quale lui entrava e usciva dalla sua vita, però dovette rammentare a se stessa che Charles le aveva salvato la vita.

Decise di dimenticare gli omicidi, per il momento, e di concentrarsi sul lavoro corrente. Era una settimana intensa e la squadra stava lavorando sodo. Agatha capì, e ne fu estasiata, che finalmente sarebbe riuscita a pagare un bonus a tutti i dipendenti, e la notizia, comunicata allo staff il venerdì sera, fu accolta con grida di giubilo. Agatha spesso lavorava il sabato, insieme a qualcuno dei suoi collaboratori, ma questa volta decise che per festeggiare l’evento dovessero avere tutti il sabato e la domenica liberi.

Agatha era certa che Charles sarebbe scomparso ancora una volta. Non aveva voglia di stare da sola e programmò di uscire e andare a piedi al pub. Ma quando arrivò al cottage vide parcheggiata davanti alla porta l’automobile di Roy Silver. Spesso il suo ex dipendente le risultava irritante. Roy si era addormentato sul volante. Agatha bussò sul finestrino e il giovanotto si ridestò di soprassalto.

Quando scese, Agatha notò che per i suoi standard Roy era vestito in modo molto sobrio, con un abito formale, però aveva una camicia bianca sbottonata sul collo che metteva in mostra una quantità di catene d’oro che sarebbe stata sufficiente a formare la dote per una sposa indiana.

“Mi devi aiutare,” disse, non appena sceso dall’auto.

“Vieni dentro e raccontami tutto,” disse Agatha. Chissà se Mark mi chiamerà, si chiese fugacemente, prima di rammentare a se stessa che quell’uomo in realtà non le interessava.

La pioggia era cessata ma il giardino era ancora fradicio. Si sedettero in salotto. Roy chiese un vodka tonic e Agatha si servì un gin tonic.

“Allora,” disse. “Che succede, Roy?”

“Mi sarei dovuto occupare di quel cliente, Leman, sai, i profumi parigini. Una grande campagna per il loro nuovo profumo, Passion. Pedman lo ha assegnato a quella stronza calcolatrice di Maisie Byles.” Pedman era il capo di Roy.

“Il meraviglioso mondo delle pubbliche relazioni,” disse Agatha. “Sono lieta di esserne fuori. Chi diavolo è Maisie Byles?”

“È stata assunta solo un mese fa. Viene dalla concorrenza, lavorava alla JIG Publicity. Fin dal primo giorno ha leccato i piedi del signor Pedman.”

“Che aspetto ha?”

“Conigliesco. Occhi sporgenti e dentoni.”

“E allora come ha fatto a sedurre Pedman?”

“Ha scoperto quando era il compleanno del figlioletto di Pedman e gli ha portato un regalo. Si è offerta di fargli lei da baby-sitter quando la baby-sitter l’ha piantato in asso.”

“La JIG Publicity è una grossa società, molto solida,” disse Agatha. “Perché Maisie se ne è andata?”

“Non lo so. Quella donna si fa beffe di me.”

“Ho un contatto interno alla JIG,” disse Agatha. “Vedo se ho il suo numero di casa.”

Andò alla scrivania, aprì un cassetto e tirò fuori una voluminosa agenda con gli indirizzi.

“Devi essere rimasta l’ultima persona al mondo che usa ancora l’agenda,” commentò Roy.

“Vecchi numeri,” tagliò corto Agatha. “Dunque, come si chiamava? Magari lo trovo sotto JIG. Ah, eccoci qui. Duncan Macgregor. Scozzese come un whisky di malto. Gli telefonerò.”

Fece il numero e aspettò. Poi disse: “Non risponde. Proverò a chiamarlo sul cellulare”.

Questa volta Duncan rispose. Dopo gli scambi di cortesie preliminari, Agatha disse: “Che cosa sa dirmi di una certa Maisie Byles?”.

Roy attese con impazienza, rimpiangendo di non riuscire a sentire ciò che Duncan stava dicendo.

Alla fine sentì Agatha commentare: “Interessante. Scommetto che Pedman non ne sapeva nulla”.

Cominciò poi a parlare del proprio lavoro di investigatrice, in evidente risposta alle domande di Duncan. Finalmente la conversazione ebbe termine.

Agatha si sedette e bevve un sorso del suo gin tonic: “Maisie Byles se ne è andata prima di essere mandata via. Si stava occupando del lancio del latte artificiale Happytot. Quella scema è andata sul suo profilo Facebook e ha scritto che tutte le madri dovrebbero essere costrette ad allattare al seno. Quelli di Happytot si sono infuriati. La JIG ha perso il cliente. Stavano per licenziarla ma lei si è messa a piangere come una fontana, sostenendo di avere una madre invalida da mantenere, quindi alla fine le hanno suggerito di trovarsi un altro lavoro”.

“Oh, cielo,” disse Roy. “Credi davvero che abbia una madre invalida?”

“Ma nemmeno per sogno,” disse Agatha.

“E allora che cosa facciamo?” chiese Roy.

“Manderò un’email a Pedman e gli racconterò tutto. Se lo faccio, sei sicuro che il cliente verrà assegnato a te?”

“Sì, inizialmente me lo avevano offerto, ma poi Maisie è saltata su a dire che sarebbe stato certamente meglio se il cliente lo avesse seguito una donna.”

“Okay, serviti un altro vodka tonic intanto che io spedisco questa email.”

Agatha scrisse un messaggio e lo inviò.

“Pedman controlla sempre le email, anche nel fine settimana,” disse Roy. “Magari mi contatterà.”

“Speriamo,” disse Agatha.

“E allora, che novità ci sono qui ad Ammazzopoli?” chiese Roy.

“Al momento è tutto tranquillo. Sono ancora certa che dietro a questa storia ci sia Gwen Simple. Magari aveva rivelato a Jill Davent di essere stata complice del figlio in quei casi di omicidio.”

“Ah, quel caso alla Sweeney Todd?”

“Proprio quello. Finisci di bere, poi possiamo fare un salto al pub e mangiare qualcosa lì. Non ho voglia di cucinare.”

“Ma quando mai tu cucini, Agatha? Tu sottoponi il cibo a radiazioni nel microonde.”

“Non essere villano. Andiamo.”

Il pub all’interno era affollato ma i tavoli e le sedie all’esterno erano stati asciugati, così Agatha e Roy si sedettero lì e studiarono i menu, decidendo alla fine entrambi per “merluzzo di mare fresco in panatura dorata croccante con patatine tagliate a mano, taccole e rucola del nostro orto”.

“Ma non ce l’hanno, l’orto,” disse Agatha. “Odio la rucola. Quell’odioso vegetale filiforme.”

Si accese una sigaretta e soffiò il fumo verso il cielo grigio.

“Fumi ancora,” disse Roy. “È una cosa così antiquata, Agatha.”

“Immagino che adesso Maisie verrà licenziata,” disse lei. “Devo ammettere, mi pesa un po’ sulla coscienza.”

“Non ti preoccupare. Quella stronzetta furbacchiona ha insistito per avere un contratto di un anno, quindi Pedman sarà costretto a tenersela. E se fosse così invaghito di lei che non farà nulla?”

“A me darà retta,” disse Agatha. “Sarà furioso. Penserà di essere diventato lo zimbello del mondo delle PR. Lo sai quanto è sensibile all’argomento.” In passato, dopo aver venduto l’agenzia, Agatha aveva lavorato come PR per Pedman, come consulente.

Quando i loro piatti arrivarono, Agatha notò che le patatine fritte erano sempre le solite, quelle surgelate. Tra un boccone e l’altro cominciò ad agitarsi pensando agli omicidi.

Roy disse: “Doris Simpson era una delle clienti di Jill. Magari ha notato qualche altro cliente, qualcuno che non è presente sulla tua lista”.

“Penso che me lo avrebbe detto,” disse Agatha.

“Mangiamo e poi andiamo da lei,” incalzò Roy. “Mi servirà a non pensare a Pedman.”

Doris li accolse calorosamente. Ma quando Agatha le chiese se avesse visto qualche altro paziente di Jill mentre era lì nel suo studio, Doris scosse la testa. “Ho sentito, tuttavia,” disse, “che la moglie di John Fletcher era stata da lei. La conoscete no, Rose Fletcher?”

“E pensare che arriviamo proprio dal pub. Grazie, Doris. Questo è un nome nuovo.”

“Ma non sarà al lavoro?” chiese Roy mentre tornavano al pub.

“Rose lavora in cucina,” disse Agatha. “Dopo le dieci non servono più da mangiare e adesso sono le dieci e dieci. Dovremmo riuscire a scambiare due parole con lei.”

Raggiunsero la porta della cucina sul retro del pub. Era aperta, così entrarono senza tanti complimenti. Il personale stava pulendo, lavavano i piatti e passavano spugnette sulle superfici. Rose Fletcher era seduta a un tavolo con davanti un bicchiere di birra.

“Vorrei chiederle di Jill Davent!” gridò Agatha attraverso la cucina, sovrastando il chiasso.

“Uscite,” ordinò Rose. “Ne parliamo fuori.”