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La signora Bloxby aveva iniziato a preoccuparsi appena Agatha le aveva raccontato che Jill aveva pagato un investigatore privato perché andasse a ficcare il naso nel suo passato. La moglie del pastore aveva la sensazione che l’amica avrebbe dovuto semplicemente affrontare la signorina Davent e chiederle perché fosse arrivata a fare una cosa del genere.

Due giorni dopo lo scontro tra Agatha e la psicoterapeuta il tempo era limpido e abbastanza freddo. I fiori cerei della magnolia del giardino della canonica brillavano in contrasto con il cielo notturno nel quale stava sorgendo quell’insolita luna blu, che tutti ormai sapevano essere conseguenza degli incendi boschivi in Canada.

La signora Bloxby prese una decisione improvvisa. Sarebbe andata da quella psicoterapeuta e l’avrebbe affrontata con franchezza.

Si mise addosso la vecchia e comoda giacca di tweed e uscì di casa per attraversare il villaggio e risalire la collina fino al cottage di Jill.

Suonò il campanello e aspettò. Nello studio la luce era accesa. Forse, pensò la signora Bloxby, era in corso una seduta e la psicoterapeuta aveva deciso di non aprire la porta. Però ormai era arrivata fino a lì, ed era riluttante ad andarsene. Bussò forte alla porta e gridò: “C’è nessuno?”.

Silenzio.

La signora Bloxby si avvicinò alla finestra dello studio e sbirciò attraverso un varco nelle tendine. Le sfuggì un gemito sbigottito. Riusciva a vedere un paio di piedi, in orizzontale sul pavimento, ma il resto del corpo era schermato da una scrivania.

Tornò alla porta e provò a girare la maniglia. La porta non era stata chiusa a chiave.

La signora Bloxby andò subito nello studio e girò attorno alla scrivania. Si trovò davanti il volto spettrale e contorto di Jill Davent, con gli occhi fissi sul soffitto. Attorno al collo era stretta una sciarpa colorata.

La moglie del pastore arretrò lentamente, come dinnanzi a un’altezza reale. Sentì cedere le gambe, cominciò a tremare.

Si trascinò fuori e frugando nella vecchia borsa malconcia di cuoio tirò fuori il cellulare e chiamò il 999.

Le sembrò che la polizia impiegasse un’eternità ad arrivare, e mentre era lì ad aspettare l’impietosa luna blu salì nel cielo.

La signora Bloxby esalò un sospirone di sollievo quando finalmente sentì avvicinarsi le sirene.

Solo una volta tornata in canonica, dopo aver rilasciato una prima deposizione ed essere stata abbracciata e confortata dal marito preoccupato, la signora Bloxby si rese conto di dover assolutamente telefonare all’amica Agatha.

Questa stava tornando a casa quando ricevette la chiamata della moglie del pastore. La sua prima reazione fu: “Oh, mioddio! L’avevo minacciata di morte!”.

“Qualcuno ti aveva sentita?” chiese la signora Bloxby.

“No. Scommetto che è stata Gwen Simple. Quella donna è un’assassina, ci giurerei.”

Nell’entrare a Carsely, Agatha vide le auto della polizia, un’ambulanza e un capannello di compaesani in piedi al di qua del nastro della scena del crimine.

L’amico di Agatha, il sergente investigativo Bill Wong, e l’ispettore Wilkes stavano aspettando davanti al cottage che la squadra della Scientifica terminasse il proprio lavoro. Agatha parcheggiò l’auto lungo la strada e si incamminò per unirsi alla folla.

Victoria Bannister la vide arrivare e gridò forte: “Eccola qui, l’assassina! L’ho sentita minacciare di morte la vittima”.

Wilkes si girò di scatto, vide la faccia contorta e accusatoria di Victoria, che stava additando Agatha.

“Wong,” disse a Bill, “mi porti qui la Raisin e quella donna che la sta accusando, e che non so chi sia.”

Ma quante ore sfinenti ho passato dentro questa saletta degli interrogatori, bersagliata da domande? pensò mestamente Agatha. Era stata portata in centrale e Wilkes la stava torchiando.

Agatha spiegò per l’ennesima volta come avesse scoperto che Jill aveva assunto un investigatore privato perché ficcasse il naso nella sua storia familiare, e come questa scoperta l’avesse mandata su tutte le furie.

“Ci tengo a non far conoscere il mio misero passato,” spiegò.

“Lei è una snob,” disse antipaticamente Wilkes. “Mio padre faceva il facchino nelle ferrovie e mia madre lavorava in fabbrica. Io sono orgoglioso di loro.”

“Sono certa che fossero ottime persone,” disse Agatha, esausta, “però l’hanno forse costretta, i suoi genitori, a lavorare in fabbrica, e poi le hanno portato via lo stipendio per comprarsi da bere? E non le è mai passato per l’anticamera del cervello che Jill volesse tenermi alla larga dal suo caso? Tanto per cominciare stava seguendo come terapeuta Gwen Simple. E perché se n’era andata da Mircester?”

“Questa è una cosa che tocca a noi scoprire, mentre lei dovrebbe evitare di ficcare il naso negli affari della polizia,” disse seccamente Wilkes.

Agatha spiegò di essersi trattenuta in ufficio fino alle otto di sera. Si era fermata a fare benzina fuori Mircester. Sì, aveva la ricevuta.

Guardò Bill, nella speranza di trovare un po’ di solidarietà, ma la faccia dell’amico era impenetrabile.

Quando finalmente le consentirono di andarsene dopo averle intimato di non lasciare il paese, Agatha era ormai una belva.

La signora Bloxby, che l’aveva accompagnata in centrale, fu investita in pieno, lungo la strada del ritorno a Carsely, dalla deflagrazione del monologo dell’amica. Alla fine, approfittando della pausa che Agatha aveva fatto per riprendere fiato, la moglie del pastore disse dolcemente: “Ma questo è un grosso incentivo a scoprire chi ha ucciso la signorina Davent. Sono sicura che sarebbe bellissimo potersi prendere una rivincita sul signor Wilkes”.

“Sì, in effetti,” disse lentamente Agatha. “Nel passato di Jill deve esserci qualcosa di losco. Ho chiesto a quel suo investigatore privato di indagare per conto mio.”

La signora Bloxby parve sorpresa. “Perché hai fatto una cosa del genere? Hai degli investigatori che sono già al tuo servizio.”

“È vero,” disse Agatha. “L’ho fatto d’impulso, però avrò bisogno di tutto l’aiuto possibile. Sai, sembra che all’improvviso ci sia un’ondata di casi di infedeltà coniugale, e per quanto io detesti i casi di divorzio, quelli pagano bene e noi siamo sommersi di lavoro fino al collo. Ora io so che tu non ami i pettegolezzi, ma da qualche parte devo pur cominciare. Dei nostri compaesani chi si faceva seguire da Jill?”

“Immagino che non ci sia nulla di male nel dirtelo. Ci sarebbe la tua donna delle pulizie, la signora Simpson.”

“Ma com’è possibile! Doris? La persona più sana di mente che io conosca. Qualcun altro?”

“Credo che sia andata da lei anche la signorina Bannister.”

“Quella vecchia arpia. Potrei uccidere lei, in effetti.”

“Agatha!”

“Insomma, è colpa sua se sono rimasta per metà della notte blindata in centrale. Chi altro?”

“La signora Tweedy.”

“Intendi dire quell’anziana che abita appena svoltato l’angolo della canonica? Che problema ha?”

“Soffre semplicemente di solitudine, secondo me,” disse la signora Bloxby. E poi aggiunse a malincuore: “Il signor Lacey passava molto tempo in compagnia della signorina Davent. Ovviamente c’erano anche signore provenienti dagli altri villaggi, ma di queste non conosco i nomi”.

Quando la signora Bloxby svoltò l’angolo per entrare in Lilac Lane, dove abitava Agatha, le due donne videro un’auto parcheggiata davanti al cottage di James. Ne stavano scendendo Bill Wong e la detective Alice Peterson. Bill vide Agatha e fece segno alla moglie del pastore che doveva fermarsi. “Aspetta ad andare a dormire,” disse ad Agatha. “Voglio farti ancora qualche domanda. Signora Bloxby, ho bisogno di un minuto del suo tempo.”

“Vuoi che venga dentro con te?” chiese la signora Bloxby quando l’amica scese dall’auto per entrare in casa.

“No, hai fatto già abbastanza e ti ringrazio,” disse Agatha. Provò un desiderio improvviso di gettare le braccia al collo dell’amica, ma resistette. Agatha Raisin era chissà perché incapace di abbracciare; begli uomini esclusi. Una volta entrata in casa si accasciò sul divano. I gatti le gironzolarono attorno speranzosi. Lei spesso si dimenticava di averli già nutriti, e dava loro da mangiare una seconda volta, ma in quel momento era troppo stanca per muoversi.

Le si stavano chiudendo gli occhi quando sentì il trillo imperioso del campanello d’ingresso. Si alzò a fatica, andò ad aprire e posò uno sguardo affranto sui due poliziotti.

Fece strada verso la cucina. “Prendetevi una sedia e sbrighiamoci,” disse.

“Dobbiamo rivedere tutto dall’inizio,” disse Bill in tono conciliante. “Lo dovresti sapere che non è saggio andare in giro a minacciare di morte le persone.”

“Ero esasperata,” disse Agatha. “Come aveva osato ingaggiare un investigatore privato per scavare nel mio passato?”

“Interrogheremo Clive Tremund,” disse Bill. “Cominciamo daccapo.”

Agatha non aveva voglia di ripetere di aver mentito inizialmente a Jill, raccontandole un’infanzia di fantasia. Se vai a dire alla polizia di aver mentito su qualcosa, quelli sono capaci di desumere che tu stia mentendo anche su tutto il resto. Riferì nel dettaglio tutti i propri sposamenti del giorno prima. Aveva lavorato su un caso di infedeltà coniugale, e lo aveva fatto insieme a Phil. Le foto scattate da Phil erano lì a testimoniarlo. Poi avevano avuto entrambi un incontro con l’avvocato del cliente e gli avevano consegnato le prove. Agatha aveva lavorato fino a tardi, scrivendo al computer appunti su altri casi di rilievo, e poi, mentre stava tornando a casa, aveva ricevuto la telefonata della signora Bloxby.

“Perché a volte lei e la signora Bloxby vi chiamate per cognome?” chiese Alice, una volta concluso l’interrogatorio.

“Quando sono arrivata a Carsely il villaggio aveva una sua società femminile,” spiegò Agatha. “Noi socie ci chiamavamo per cognome, e in qualche modo l’usanza è rimasta. Lo so, sembra strano oggigiorno che cani e porci ti danno del tu. Però a me essere la signora Raisin non dispiace. Odio quando in ospedale le infermiere mi chiamano Agatha. Mi sembra un eccesso di familiarità. E sì, è una discriminazione nei confronti degli anziani, come se mi credessero in una seconda infanzia.” Soffocò uno sbadiglio.

“Adesso ti lasciamo andare a dormire,” disse Bill.

Una volta andati via Bill e Alice, Agatha notò che un’alba rossa stava già inondando la cucina di luce. Aprì la porta del giardino e lasciò uscire i gatti. Il mattino era fresco e bello. Andò in cucina, prese un po’ di carta asciugatutto e tolse la rugiada da una sedia a sdraio sulla quale si lasciò cadere, assaporando insonnolita la sensazione del sole che cominciava a illuminarle la faccia e il profumo dei fiori primaverili.

Chiuse gli occhi e si assopì. Due ore dopo era preda di un incubo nel quale cadeva dal ponte di una nave e lottava nell’acqua gelida mentre Jill Davent, affacciata al parapetto, la guardava dall’alto e rideva.

Si svegliò di soprassalto e scoprì che stava piovendo, e che lei era fradicia fino al midollo. Corse in casa e su per le scale, si strappò di dosso gli abiti zuppi, si fece una doccia bollente, indossò una camicia da notte e si infilò sotto le coperte.

Agatha si ridestò nel primo pomeriggio e ricollegò il telefono che aveva spento prima di addormentarsi. Controllò i messaggi ricevuti. Ce n’erano alcuni preoccupati mandati dai colleghi dell’agenzia e molti altri della stampa.

Si vestì e scese stancamente le scale. Sbirciando attraverso un piccolo varco tra le tende accostate del salotto, vide i cronisti assiepati davanti al cottage. Agatha salì le scale e si cambiò indossando una maglietta consunta, un giubbotto, pantaloni larghi e scarpe da corsa.

Ridiscese, uscì nel giardino sul retro, dove prese una scala a pioli che appoggiò contro la recinzione. Aveva programmato di sollevare la scala, una volta a cavalcioni dello steccato, ma non ci riuscì. Stava per rinunciare e battere in ritirata quando James si materializzò sul sentierino che separava i loro due cottage.

“Vado a prendere la mia scala!” le gridò dal basso.

Se questo fosse un film, pensò Agatha di malumore, mi lascerei cadere tra le sue braccia possenti. Un sole acquoso stava coprendo d’oro le foglie nuove del grande albero di lillà sul davanti del cottage, che grazie al cielo le faceva da paravento rispetto ai cronisti che altrimenti avrebbero potuto vederla in fondo al vialetto.

James uscì da un cancello sul lato del giardino portando una scala che appoggiò contro la recinzione.

Agatha scese con quella. Sorrise a James e poi abbassò la testa rendendosi conto di non essersi truccata.

“Vieni dentro a prendere un caffè,” disse lui. “Però credo proprio che dovresti scambiare due parole con la stampa, anche solo per dire un ‘no comment’, altrimenti quelli resteranno appostati qui tutto il giorno.”

“Ma vestita così?!”

“Agatha! Oh, d’accordo. Adesso scavalchiamo per tornare di là, ti dai una sistemata e poi esci ad affrontarli.”

James aspettò Agatha in cucina per mezz’ora, con impazienza, finché lei non scese le scale perfettamente truccata e ciondolante su un paio di tacchi a spillo.

Poi uscì ad affrontare la stampa. Rispose con competenza alle domande mentre le telecamere ronzavano e i lampi dei flash le esplodevano in faccia. Sì, aveva trascorso parecchie ore dentro la centrale di polizia. Perché? Perché era un’investigatrice privata che viveva nel paesino nel quale la donna era stata uccisa.

Poi con orrore vide Victoria Bannister sgomitare per arrivare in prima fila. “Lei aveva minacciato Jill di morte!” strillò.

“Jill Davent aveva ingaggiato un investigatore privato per scoprire tutti i particolari della mia vita,” disse Agatha. “Ero irritata con lei. È tutto qui. La domanda che sorge spontanea è: perché aveva paura di me? Che cosa aveva da nascondere?”

“Lei è un’assassina!” gridò Victoria.

“E lei,” disse Agatha, “avrà notizie dai miei avvocati. Ho intenzione di denunciarla per calunnia.”

La faccia grinzosa di Victoria manifestò shock e allarme. “Scusi tanto,” farfugliò. “Mi sono sbagliata.” Si girò per fuggire, gridando ai cronisti che la lasciassero passare.

La voce di Agatha la seguì: “In ogni villaggio c’è un personaggio come lei”.

E in quel momento Victoria avrebbe volentieri ucciso Agatha. Mentre fuggiva verso casa, giurò a se stessa che avrebbe scoperto, sì, proprio lei, l’identità dell’assassino. Era al corrente di tutti i pettegolezzi del villaggio. Una volta nel cottage si versò una dose robusta di sherry e si avventurò in un sogno roseo in cui si trovava di fronte la stampa in ammirazione, e raccontava ai cronisti come avesse risolto il caso.

“Hai fatto?” chiese James quando Agatha entrò in cucina caracollando e si sedette scalciando via le scarpe.

“Credo che si siano avviati verso la canonica per dare il tormento alla signora Bloxby.”

“Riuscirà a tenerli a bada?”

“Oh, sì. La moglie di un pastore deve per forza essere un tipo tosto. In passato le è toccato affrontare parecchie donne che si erano invaghite di suo marito. È uno schifo di vita, e a lei piace. La metà del tempo la passa a fare la psicoterapeuta non pagata. Un sacco di gente le riversa addosso i propri guai.”

“Te compresa?”

“Io sono sua amica. È un altro paio di maniche. Telefonerò a Toni per dirle di prendere il mio posto domani. Credo che andrò a Oxford a parlare con Clive.”

L’ufficio di Clive Tremund si trovava in un vicolo dietro Walton Street nel quartiere di Jericho a Oxford. Era al piano terra di uno stretto edificio a due piani. Agatha provò a girare la maniglia e si accorse che la porta non era chiusa a chiave.

C’era un minuscolo vestibolo quadrato con una porta di vetro smerigliato sulla sinistra con la scritta TREMUND INVESTIGAZIONI. L’aprì ed entrò.

Le sfuggì un gemito. Era una scena di caos. C’erano carte sparse ovunque. Cassetti aperti e pencolanti con angoli assurdi. Un mobiletto dell’archivio era stato rovesciato sul pavimento. Agatha rinculò lentamente, tirò fuori il telefono e chiamò la polizia. Poi uscì ad aspettare.

Il vicolo acciottolato era assai silenzioso.

Dopo soli cinque minuti un’auto della polizia si fermò lì davanti e ne scesero due agenti. Agatha fornì rapidamente le proprie generalità, spiegò perché avesse chiamato e che cosa aveva scoperto. Gli agenti chiamarono la centrale. Un’altra attesa, prima che giungessero sul posto due investigatori. Ad Agatha toccò rendere un’altra deposizione e poi le dissero di aspettare l’arrivo di una squadra della Scientifica.

La giornata si stava incupendo e un ventaccio umido minacciava pioggia. Agatha tornò all’auto e si accese una sigaretta, notando che le tremavano le dita. Dove era finito Clive? Che ne era stato di lui? Aveva bisogno di un sostegno morale. Vide che dalle case circostanti stavano uscendo i vicini. Telefonò a Toni e le chiese di raggiungerla, dicendo: “Fingiti una passante curiosa e fai qualche domanda ai vicini, prima di venire a parlare con me”.

Arrivò la Scientifica e gli uomini indossarono le tute prima di mettersi al lavoro. La mattinata si trascinò lenta. Alla fine arrivò Toni, e Agatha la vide fare domande ai vicini. Poi la ragazza si allontanò e sparì dietro l’angolo con Walton Street, scatenando l’agitazione di Agatha. Dove diavolo stava andando?

Dopo dieci minuti tornò con un grosso sacchetto di carta marrone. Si infilò al posto del passeggero dell’auto di Agatha.

“Caffè e girelle glassate,” disse Toni, aprendo il sacchetto.

“Sei un angelo. Che cosa ti hanno detto i vicini?”

“Non molto. Lui abita al piano di sopra.”

“Oh porca biscia!” ululò Agatha. “Non mi è neppure venuto in mente di andare a dare un’occhiata. Magari è lì, morto stecchito.”

“Non credo. Non ci sono ambulanze. Prenda un dolce.”

“Grazie. E che altro hai saputo?”

“Clive non parlava con i vicini. I clienti di solito venivano da lui sul tardi. Ieri sera ha ricevuto la visita di una giovane donna bionda e snella, la descrizione è questa.”

“Potresti anche essere tu,” disse cupamente Agatha.

“Due signori venivano a intervalli irregolari, entrambi con l’aspetto di uomini d’affari di mezza età, uno alto e magro e l’altro piccolo e grassottello. Non c’è molto su cui lavorare.”

“Avrei dovuto cercare un elenco dei clienti,” si rammaricò Agatha, “invece di precipitarmi fuori a chiamare la polizia. Ma sai come vanno le cose, gli basterebbe trovare un’impronta digitale e mi arresterebbero per violazione di domicilio. Tornerò quando le acque si saranno calmate e proverò a parlare con i vicini della porta accanto. La polizia sta già bussando a tutte le case.”

“Ecco perché non ho potuto interrogarli io,” disse Toni. “Tutto quello che ho potuto fare è stato fingere di essere una dei tanti curiosi. Prenda un’altra girella. Sono di grande consolazione.”

“Oh, va bene, perché no?”

Qualcuno bussò al finestrino di Agatha. L’investigatore che l’aveva già interrogata disse: “Deve venire con me dalla polizia della Valle del Tamigi, dobbiamo farle altre domande. Lasci qui l’auto. La riaccompagnerà qui un agente, signora Raisin. Chi è questa signorina?”.

Oh, essere giovane e bella, pensò immusonita Agatha. Questo tizio sta praticamente sbavando.

“È la signorina Toni Gilmour,” disse Agatha. “Lavora per la mia agenzia.”

“Meglio che veniate entrambe. Non voglio che qualcuno vada a contaminare questa scena del crimine.”

Agatha ripeté la propria deposizione a una detective giovane ed efficiente, fatto che la rinfrancò. Era sul punto di andarsene quando la mannaia si abbatté su di lei. Le dissero che avrebbe dovuto andare a recuperare l’auto e poi filare dritta a Mircester, per rilasciare un’altra deposizione presso la centrale di polizia del luogo, e Agatha sapeva che con Wilkes le deposizioni potevano diventare faccende di ore e ore.

Di Toni non c’erano tracce. Agatha salì in macchina e le telefonò.

“Mi hanno cacciata via,” disse Toni. “Se vuole posso tornare questa sera.”

“Fammici pensare. Sai se hanno rintracciato Clive?”

“No, di lui nemmeno l’ombra. Un poliziotto amichevole ha fatto in tempo a dirmi che il suo appartamento era vuoto, prima che i superiori gli dessero una lavata di capo.”

“Spero tanto che Clive sia sano e salvo,” disse Agatha. “Devo andare a Mircester per un’altra deposizione. Ti chiamo domani.”

Agatha sapeva che si stava addensando il traffico dell’ora di punta, quindi decise di passare per la strada di Botley e di uscire da Oxford percorrendo la tangenziale.

Ma quando arrivò in fondo a Beaufort Street, il traffico rallentò fino a fermarsi del tutto e vide che la polizia stava creando uno sbarramento.

Svoltò nel parcheggio di Gloucester Green e poi si avviò a piedi verso il posto di blocco. “Devo passare,” disse a un poliziotto di guardia. “Il mio treno sta per partire,” mentì, pensando rapidamente a una scusa che le permettesse di scoprire che cos’era successo.

“D’accordo. Però si tenga alla larga dagli agenti al lavoro sul ponte sul canale. Ci sono già abbastanza curiosi, da quella parte.”

Agatha corse lungo Worcester Street fino a Hythe Bridge Street. “Che succede?” chiese a un tizio.

“Un cadavere nel canale,” disse quello.

Agatha si fece strada sgomitando per guadagnare la prima fila, con una sensazione di timore e ignorando le proteste rabbiose della folla. Un sole fiacco stava illuminando d’oro le acque scure del canale. Mentre lei era lì a fissare la corrente un raggio di sole cadde sulla faccia esanime di Clive Tremund, mentre ne stavano trascinando il corpo fuori dall’acqua.

Agatha si rese conto che se qualcuno degli inquirenti che erano stati a casa di Clive avesse notato la sua presenza le sarebbero piovute addosso altre domande, e quindi a spintoni fendette di nuovo la folla per allontanarsi.

Agatha guidava in direzione di Mircester, preda dello sconforto. Clive aveva rappresentato la sua unica speranza di compiere un passo avanti nella soluzione del caso. Una volta arrivata a Mircester e prima di presentarsi in centrale telefonò a Patrick Mulligan e lo ragguagliò sugli ultimi avvenimenti. “Veda se i suoi vecchi contatti di polizia sono in grado di fornirle qualche dettaglio,” gli disse.

Con il procedere del lungo interrogatorio, Agatha si rese conto con orrore che Wilkes stava cominciando a considerarla come la sospettata numero uno. Sembrava convinto che fosse stata proprio lei a frugare nell’ufficio di Tremund, e questo perché nel suo passato c’era qualcosa che Agatha voleva tenere nascosto a tutti.

Dopo un quarto d’ora le cedettero i nervi. “Voglio un avvocato!” gridò.

Fu accompagnata in una sala d’attesa e qui telefonò all’avvocato penalista sir David Herythe. Agatha aveva conosciuto David a una festa l’anno prima, in occasione di uno dei brevi soggiorni a Londra. Lo aveva trovato assai attraente, quindi pensò: massì, perché non prendere due piccioni con una fava. Sapeva che sir David faceva il pendolare tra Oxford e Londra.

Lui ascoltò pazientemente lo sfogo furente di Agatha e poi le disse, procurandole sollievo, che in quel momento era a Oxford e sarebbe dunque arrivato subito. David sapeva che Agatha aveva il dono di andarsi a ficcare in situazioni che attiravano l’attenzione del pubblico, e lui adorava vedere la propria foto sui giornali.

L’avvocato arrivò mezz’ora dopo ed entrò con Agatha nella sala degli interrogatori. Era un uomo alto, con la chioma argentata e il naso aquilino. Era famoso per i commenti taglienti che faceva in aula.

Sir David stabilì rapidamente che Agatha non era stata incriminata di nulla, che aveva già reso una piena deposizione alla polizia di Oxford, suggerì agli investigatori di Mircester di leggersi il rapporto dei colleghi e di smetterla di fare perdere tempo alla sua cliente, sorrise a tutti e accompagnò Agatha fuori dalla centrale.

“Andiamo a cena,” disse. “Le va bene il George?” E senza attendere risposta si avviò con passi lunghi e dinoccolati. Lei dovette correre per stargli dietro.

Il tempaccio di qualche ora prima si era schiarito, la serata era bella e calda, così i due si accaparrarono un tavolo sulla terrazza che si affacciava sul giardino dell’albergo.

Agatha si accese una sigaretta e studiò la faccia del suo cavaliere. Sir David stava esaminando il menu con la stessa attenzione che avrebbe dedicato a un manuale di istruzioni. La sua faccia era lievemente abbronzata.

“È stato in vacanza?” gli chiese.

“Sì, a Monaco, a casa di un amico. Sarò da lei tra un attimo. Il cibo è una faccenda seria. Ho intenzione di fare una scelta molto convenzionale. Prenderò l’insalata d’aragosta seguita da tournedos alla Rossini. Oh, che meraviglia. Hanno una bottiglia di Château Montelena Sauvignon del 2010.”

Agatha trasalì per un istante, essendosi resa conto che il vino era il più costoso di quelli sulla carta.

Non sarà un altro scroccone? pensò. Mi farà pagare il conto. Si accorse di essere stanchissima e di aver bisogno di dare una rinfrescata al trucco. Ma che importanza può avere, borbotto tra sé e sé, quando i cadaveri mi inseguono come un nugolo di vespe?

“Prenderò anche io la stessa cosa,” disse.

Sir David fece un cenno imperioso con la mano per richiamare il cameriere e fece l’ordinazione.

Agatha poté solo ringraziare il cielo che lui non avesse ordinato un’altra bottiglia di vino per accompagnare il piatto principale.

“Allora,” disse sir David, “mi racconti tutto.”

Agatha gli fece un rapido riassunto, privo delle solite esagerazioni.

Una volta che lei ebbe terminato, l’avvocato disse: “Quindi noi abbiamo una psicoterapeuta con credenziali dubbie, ma che in ogni caso doveva possedere una personalità forte, perché era riuscita a procacciarsi della clientela. Secondo lei tra gli abitanti del villaggio che si erano rivolti a lei per un consulto ce n’è qualcuno che potrebbe aver commesso un omicidio?”.

“Non può essere la mia donna delle pulizie, la signora Simpson. È una persona troppo perbene. Mi piacerebbe che l’assassina fosse Victoria Bannister, è una vecchia stupida e maligna. La signora Tweedy non saprei, ma è anziana. Però io scommetterei su Gwen Simple. Se la ricorda? Il figlio aveva preparato pasticci di carne con i corpi delle vittime.”

La prima portata arrivò ed entrambi si concentrarono sul cibo, e Agatha si scoprì parecchio affamata.

Poi sir David la stupì dicendo: “Potrei esserle di aiuto. Ho conosciuto talmente tanti criminali… Le mie ferie non sono ancora terminate. Se le va, potrei andare a parlare con le quattro pazienti di Jill di cui lei è al corrente e vedere a quali conclusioni arrivo”.

Agatha esitò. “Non le farei pagare nulla,” disse lui. “Sarebbe una specie di vacanza lavorativa.”

Osservandolo con occhi nuovi, Agatha si rese conto che quell’uomo era attraente. Chissà se era sposato.

Quando fu servita la portata principale, l’avvocato rivolse tutta la propria attenzione al cibo e al vino, lasciando Agatha a mangiare meccanicamente quello che aveva nel piatto mentre sognava di essere sposata con lui. E Charles ci sarebbe rimasto con un palmo di naso!

Alla fine del pranzo sir David aveva già preso nota dei nomi e degli indirizzi delle donne che si erano rivolte a Jill. Aveva un buon contatto presso la polizia di Oxford ed era certo di essere in grado di scoprire parecchio sul conto di Clive Tremund.

E come se non bastasse, pagò anche il conto!

Riaccompagnò Agatha all’auto parcheggiata sulla piazza e le disse che sarebbe passato da lei in agenzia nel pomeriggio successivo.

Arrivata a casa Agatha accarezzò i gatti, diede loro da mangiare e poi corse al computer per trovare qualche notizia sul conto di sir David Herythe. Era stato sposato con una modella sulla cresta dell’onda ma il matrimonio si era concluso con un divorzio amichevole.

Ma cavoli, pensò Agatha, osservando con disappunto una fotografia della ex moglie. Era bionda e bella. Se le preferenze di sir David andavano alle femmine di rappresentanza non c’erano grandi speranze per un’investigatrice di mezza età.

Si badi bene, non c’erano figli e questo…

“Come va?” chiese Charles, alle sue spalle. Agatha fece un salto, spaventata. “Ma che ci fai tu qui?” chiese.

“Ho saputo dell’assassinio di Tremund e sono venuto a tenerti la manina. Perché stai cercando informazioni su sir David Herythe?”

“Mi sono affidata a lui,” disse Agatha, “per sottrarmi alle grinfie di Wilkes, che sembra convinto che io me ne vada in giro ad ammazzare la gente.”

“È caro come il fuoco,” disse Charles.

Agatha spense il computer e si avvicinò al tavolino degli alcolici.

“Se ti fai il bicchierino della buonanotte,” disse Charles, “per me va bene un brandy.”

Agatha riempì due calici di brandy e ne porse uno al baronetto. Poi andò a sedersi accanto a lui sul divano.

“Senti un po’ qui, caro il mio pidocchione,” disse. “Sir David non solo mi ha offerto una costosissima cena al George, ma gli è rimasta una settimana di ferie e investigherà per conto mio. Gratis!”

“Oh, Aggie, fai attenzione. Quello lì le persone le fa a pezzi.”

“È il suo lavoro. Accusa le persone.”

“Non sto parlando del suo comportamento in tribunale. Ci siamo incrociati in occasione di parecchi ricevimenti. Sir David fa amicizia con qualcuno, di solito una donna, e poi quando il suo interesse scema la dileggia in pubblico.”

Agatha provò una sensazione di disagio. Poi si ricompose. “Senti, ho bisogno di tutti gli aiuti possibili.”

L’indomani mattina Agatha, che era andata a dormire dicendo a Charles di chiudere a chiave la porta d’ingresso quando fosse uscito, si irritò nel trovare l’amico seduto al tavolo della colazione. E se David fosse passato?

“Credevo che fossi partito,” disse immusonita.

“Mi sto annoiando,” rispose lui, sollevandosi Hodge dal ginocchio. “Ho pensato di farti un po’ compagnia mentre indaghi.”

Agatha esitò. Poi si ricordò che il titolo nobiliare di Charles aveva fatto magie quando si trattava di parlare con certa gente. “Però le sigarette te le compri di tasca tua,” aggiunse mentre tentava di mettere il suo pacchetto di Benson & Hedges fuori dalla portata del baronetto. Non fu abbastanza lesta e lui ne estrasse una e se l’accese.

Tirando fuori dalla borsetta una sigaretta elettronica, Agatha inspirò furiosamente.

“Oh, ma prendine una vera,” la incalzò Charles. “Magari non ti verrà il cancro ma ti farai venire un’ernia nel tentativo di cavare della nicotina da quella roba.”

“Devo smettere di fumare,” si innervosì Agatha. “È così fuori moda. Per non parlare dell’odore.”

Charles soffiò un anello di fumo e le sorrise pigramente. Si alzò e fece uscire i gatti in giardino. “Non è necessario far soffrire gli animali.”

“Ho pensato di tentare prima con la signora Tweedy. Mi dicono che è molto anziana ma magari sarà in grado di dirci qualcosa sul conto di Jill. Adesso mi prendo un caffè e poi ci facciamo una passeggiata fino da lei.”

La signora Tweedy abitava in una strada a fondo cieco sul retro della canonica, in una fila di cottage georgiani. Non c’erano campanelli. Agatha afferrò un batacchio di ottone a forma di testa leonina e usò quello per tempestare la porta.

Questa si aprì e una donna anziana scrutò Agatha. Lei presentò se stessa e Charles, e la signora Tweedy li fece accomodare. Li portò in salotto, dopo aver attraversato una minuscola zona pranzo. La stanza era molto buia per via dell’edera che copriva le finestre. Bagliori di sole, che filtravano attraverso le foglie, danzavano nella stanza, sobriamente arredata con un divano e due poltrone foderati di chintz e un piccolo televisore. La signora Tweedy era una donna robusta con i capelli grigi e la faccia combattiva. Indossava un abito di chintz fantasia, simile a quello dei mobili. Le dita lunghe e nodose erano coperte di anelli di diamanti. Le gambe grosse e rivestite da calze nere finivano in un paio di pantofole in tartan. Gli occhi erano piccoli e furbi.

“Vorremmo chiederle che impressione le aveva fatto Jill Davent,” esordì Agatha.

“La gente dice che l’ha uccisa lei,” ribatté la signora Tweedy.

“No, non sono stata io,” disse Agatha. “Che idea si era fatta di lei?”

“Una buona ascoltatrice. Oggigiorno gli anziani non li ascolta più nessuno. In effetti nessuno ascolta più nessuno. Quando parli con la gente quella non aspetta altro che tu finisca in modo da poter parlare di sé.”

“È questo l’unico motivo che l’aveva spinta ad andare da lei?” chiese Charles. “Per avere qualcuno che l’ascoltasse?”

“E che c’è di male, se posso chiedere?”

“Nulla,” disse Charles. “Che impressione le aveva fatto?”

“Era una stronza!” disse velenosa la signora Tweedy.

“Come? Perché dice così?” volle sapere Agatha.

“Nel corso dell’ultima seduta stavo parlando della mia vita. Soffro la mancanza di mio fratello, che è morto in un incidente. Abitavo a Oxford e ho deciso di trasferirmi in campagna perché le città possono essere luoghi solitari. Ebbene, io stavo parlando e a Jill è squillato il telefono. Lei se l’è portato nell’atrio e ha chiuso la porta. Io mi sono accostata a origliare. Si vede che stava parlando con un uomo perché era tutta un ‘mio caro’ qui e ‘mio caro’ là. Poi è rientrata e mi ha detto che la seduta era finita e ha cercato di farmela pagare. L’ho mandata a quel paese. Non sono più tornata da lei. Mi pento amaramente di essere venuta qui. Questo villaggio mette i brividi e lei, Agatha Raisin, è una delle cose più da brivido la notte si spupazza il suo ganzo.” Lanciò un’occhiataccia a Charles. “Dovrebbe fare di lei una donna onesta.”

Prima che Agatha avesse il tempo di aprire bocca, Charles sorrise e disse: “Lei è veramente una persona detestabile”.

La signora Tweedy rise. “Mi piace l’uomo che non ha peli sulla lingua.”

“E io odio le vecchie sciattone che parlano senza peli sulla lingua!” strillò Agatha. “Me ne vado da questo postaccio!”

Si allontanarono seguiti dagli scrosci di risate della vecchia.

“Ah, la dignità e la grazia della vecchiaia,” disse Charles mentre attraversavano il villaggio. “Andiamo a trovare la signora Bloxby e vediamo se le è giunto all’orecchio qualche pettegolezzo. E dovresti parlare a Bill di quella telefonata con il ‘mio caro’. Peccato che non disponiamo dei mezzi per tracciarla. Insomma, se si era portata fuori il telefono doveva trattarsi del cellulare e quello sarà nella cassetta delle prove.”

“Non necessariamente,” disse Agatha. “Magari era uno di quei telefoni cordless, ed è ancora in casa. Se solo potessimo fare irruzione e dare un’occhiata. Potremmo scoprire quali sono state le ultime chiamate. Chi eredita? Aspetta un attimo, chiamo Patrick e vediamo se ha trovato qualcosa.”

Charles si avviò verso la strada. La gente andava e veniva dall’emporio. La scena sembrava idilliaca. Ai vecchi tempi, rifletté il baronetto, Agatha sarebbe stata accusata di attirare morti violente e sarebbe stata bruciata sulla pubblica piazza.

“Interessante,” disse Agatha, raggiungendolo. “Eredita il fratello. Si chiama Adrian Sommerville e abita a Mircester. È un decoratore d’interni e ho il suo indirizzo.”

“Oh, d’accordo, il tè e la simpatia in canonica saltano,” disse Charles. “Prendiamo la tua auto.”

“Nel senso che consumeremo la mia benzina, pidocchio.”

“Stai perdendo colpi, Aggie,” commentò Charles mentre si avvicinavano a Mircester. “Avresti dovuto cercare Sommerville sull’elenco del telefono.”

“Non dirmi come devo fare il mio lavoro,” disse Agatha, imbronciata. “Ho l’indirizzo. Non ho bisogno di telefonargli. Vediamo. Ha un recapito di lavoro ai Loans. È quel vicolo nei pressi dell’abbazia. Parcheggeremo sulla piazza principale e andremo a piedi.”

Fuori dalla porta c’era una targa di ottone con la scritta INTERNI SOMMERVILLE. Un cartellino diceva: PREMERE IL PULSANTE ED ENTRARE.

Dentro c’era una bionda seduta dietro un bancone. La donna mise giù una copia di “House & Garden”, sorrise a Charles e Agatha, e chiese loro come potesse essere d’aiuto.

Agatha fece le presentazioni, rimpiangendo non per la prima volta di non far parte della polizia e di non potersi limitare a sventolare un mandato.

La segretaria sparì in un ufficio interno. Aspettarono.

Agatha stava giusto dicendo: “Pensi che se la sia svignata passando dal retro?” quando la bionda tornò.

“Il signor Sommerville vi dedicherà qualche momento del suo tempo,” disse con tono magnanimo, sprizzando disapprovazione da ogni filo del suo tailleur da donna d’affari.

Adrian Sommerville fu una sorpresa. Agatha si era immaginata un tipo alto e flessuoso, come da stereotipo, invece l’uomo che si alzò per stringere loro la mano era moro e tarchiato, vestito con un sobrio completo grigio, camicia e cravatta di seta. I capelli erano neri e folti, le labbra carnose, e aveva una barbetta da creativo. Era seduto a una scrivania d’antiquariato. Agatha e Charles presero posto su due sedie di fronte a lui. Le pareti dell’ufficio erano decorate con foto di stanze dall’aria lussuosa.

La sua prima domanda colse Agatha di sorpresa. “Chi la paga?”

“Nessuno,” rispose lei. “L’omicidio è stato commesso nel mio villaggio e io voglio sapere chi è stato.”

“Ho sentito che la polizia la ritiene una sospettata.”

“Ebbene, io non ho ucciso proprio nessuno,” lo rimbeccò Agatha con rabbia. “Altrimenti non starei qui a perdere il mio tempo.”

“A meno che la sua intenzione non sia quella di depistare le indagini.”

Agatha fece per alzarsi di scatto, ma Charles la trattenne con prontezza.

“La smetta di essere così aggressivo,” disse. “Non desidera scoprire chi abbia ucciso sua sorella Jill?”

“Ma certo che sì. Però è meglio lasciar fare alla polizia.”

“Ci dispiace di questo suo lutto,” disse Charles. “Però non mi pare che lei stia soffrendo molto. Che cos’ha intenzione di fare con la casa di sua sorella?”

“Venderla. Perché?”

“Potrei essere interessato all’acquisto,” disse Charles. “Faccio collezione di proprietà. Quanto vuole?”

“Cinquecentomila, più o meno.”

“Sciocchezze,” disse Charles. “Un cottage piccolo e poco attraente nel quale è stato commesso un omicidio? Trecentomila?”

“Non è ancora stato messo sul mercato.” Negli occhi di Adrian brillava una luce mercenaria.

“Mi piacerebbe dargli un’occhiata,” disse Charles.

“Lei possiede quella grande tenuta nel Warwickshire, giusto?”

“Sì.”

“Mi lasci un biglietto da visita. La chiamerò quando la polizia avrà terminato il lavoro. Non vorremo mica tirare in mezzo quei vampiri delle agenzie immobiliari, no?”

“No di certo.”

“A presto, allora.”

Charles sentì sobbollire accanto a sé la lava del vulcano Agatha.

Porse ad Adrian il biglietto da visita e sollevò Agatha dalla poltrona. “Andiamo, cara.”