Tramite i contatti di Patrick Mulligan Agatha fu informata che Bill quella sera avrebbe finito il turno alle sette. Rendendosi conto di essere ancora molto affamata, si fermò in un locale di quelli che servono prime colazioni a tutte le ore del giorno e demolì un piatto di salsicce, uova, bacon e patatine fritte, il tutto annaffiato da caffè. Poi riuscì ad accaparrarsi un appuntamento dall’estetista per un restauro facciale, e sentendosi rinvigorita e ben truccata fece una capatina al bar dell’Hotel George per un gin tonic doppio prima di andare ad appostarsi nel parcheggio di fronte alla centrale di polizia, in modo da poter intercettare Bill al momento dell’uscita.
Finalmente lo vide sbucare e lo richiamò. “Sali in macchina,” ordinò Agatha. “Ho qualcosa da mostrarti.”
“Che cos’hai combinato, stavolta?” chiese Bill.
“Mi è arrivato questo nella buca delle lettere.” Aveva ripulito il taccuino da tutte le impronte, escluse le proprie, perché pensava che la polizia potesse avere in archivio le impronte di Jenny Harcourt, essendo la donna una cleptomane. Agatha all’improvviso si chiese se fosse stata Jill a nascondere il taccuino nella scrivania, o se Jenny non l’avesse rubato.
“Secondo te di che cosa si tratta?” chiese Bill.
“Mi sembra un registro dei pagamenti di somme riconducibili a ricatti,” disse Agatha. “A ogni pagamento è legata solo un’iniziale.”
Bill possedeva quel sesto senso di cui solo pochi bravi investigatori sono dotati e all’improvviso ebbe la certezza che Agatha non avesse ricevuto quel taccuino nella buca delle lettere.
“Dovresti venire con me in centrale e rendere una deposizione,” disse. “Mi stai dicendo la verità? Te l’hanno davvero infilato nella buca delle lettere?”
“Ti direi mai una bugia?”
“Sì.”
“Oh, Bill. Wilkes si metterà di mezzo e mi bullizzerà.”
“Non è in servizio, oggi. Andiamo.”
Bill prese attentamente nota delle dichiarazioni di Agatha, e sembrò trasformarsi da amico in investigatore efficiente. Quando lo aveva trovato quel taccuino, di preciso? Perché aveva aspettato tanto prima di contattare la polizia? Avrebbe dovuto telefonare immediatamente.
Agatha si lagnò, esasperata: “Io avrei voluto dirtelo! Va bene! Avevo paura che Wilkes mi accusasse di omicidio o di intralcio alle indagini della polizia”. Alla fine il taccuino fu messo in un sacchetto per le prove e lei fu libera di lasciare la centrale. “Ti va di andare a bere qualcosa?” chiese.
“No,” rispose Bill. “È necessario che io mi occupi subito di questa faccenda e poi mi dispiace ma dovrò chiamare Wilkes a casa e informarlo.”
“Avete scoperto chi mi ha mandato quel mazzo di fiori velenosi?”
“Sì. Uno degli operatori del mercato ha detto di essersi trovato sul banco i fiori accompagnati da una banconota da cinquanta sterline e una lettera in cui gli si chiedeva di consegnare i fiori a te. Il tizio non voleva lasciare il banco sguarnito, quindi ha affidato i fiori a quel ragazzino, perché te li portasse in ufficio. Pensaci un attimo, Agatha. Se non fosse stato così onesto, avrebbe potuto intascare i soldi e portare i fiori a casa alla moglie.”
Quando Agatha parcheggiò davanti al cottage, James le venne incontro di corsa. “C’è una cosa che dovresti sapere,” disse.
“Che cosa?”
“Credo che Davent si sia fatto fare i colpi di sole ai capelli e scommetterei che quella fossetta sul mento è opera di un chirurgo estetico.”
“E allora?” chiese Agatha. “Io mi sono appena fatta fare un trattamento al viso.”
“Per gli uomini è diverso. Probabilmente è gay.”
“Se è gay, perché mi ha invitata fuori a cena?”
“Lo avrà fatto per poterti eliminare, stupida di una stupida.”
“Oh, ma vattene un po’ e a passi lunghi e ben distesi, palloso di un palloso.”
James girò i tacchi e si allontanò di furia.
Agatha stava per girare la chiave nella porta d’ingresso quando arrivò un’auto con a bordo Wilkes e Bill, seguiti da una squadra della Scientifica. Agatha gemette. Era chiaro, volevano rilevare le impronte digitali sulla sua porta di casa.
“Salga in macchina,” le intimò Wilkes. “Dobbiamo permettere ai ragazzi della Scientifica di fare quel che devono fare.”
“No,” disse Agatha. “Io a soffocare in macchina non ci resto. Le domande me le potete fare al pub.”
Era una serata calda e afosa. Si sedettero a un tavolo nel giardino del locale, distanti dagli altri bevitori.
Agatha constatò con sollievo che Wilkes era meno sospettoso di Bill. Ma mentre parlava si rendeva conto di avere puntati sulla faccia gli occhi a mandorla del poliziotto, quei begli occhi che l’amico aveva ereditato dal padre cinese. Bill Wong era stato il primo amico che Agatha si era fatta dopo il trasferimento nei Cotswolds. Era molto affezionata al giovane detective e detestava raccontargli panzane. Il registratore sul tavolo prese nota di tutto ciò che lei diceva.
Victoria Bannister osservava il gruppo attraverso la finestra del pub. Dal suo punto di vedetta aveva la sensazione che i poliziotti stessero trattando Agatha con grande rispetto. Provò un improvviso attacco di gelosia. Il fatto che Agatha avesse promesso di non fare il suo nome agli inquirenti sembrava non avere alcuna importanza. Era gelosa marcia. Era rimasta di piantone fuori dallo studio di Jill, a spiare i suoi clienti, cercando di trovare, senza riuscirci, il coraggio di supplicare Jill affinché smettesse di ricattarla. Lei, Victoria, non era certamente l’unica vittima dei ricatti della sedicente psicologa. Però non voleva ritrovarsi nelle grinfie di un assassino. Non si fidava di Agatha, pensava che prima o poi avrebbe parlato e fatto il suo nome. Decise all’improvviso di aver bisogno di condividere la sua infelicità con qualcuno. Se avesse seguito quello che probabilmente era stato l’ultimo paziente a vedere Jill, magari sarebbe riuscita a farsi aiutare.
Per quanto Agatha l’indomani si stesse tenendo occupata, e aspettasse con trepidazione l’appuntamento con Tris, scoprì di essere nervosa. Là fuori c’era un assassino che stava cercando di ucciderla. Il primo tentativo era fallito, ma era certa che il killer ci avrebbe riprovato. Normalmente si sarebbe molto preoccupata della scelta degli abiti per la serata galante, ma la paura di un assassino in agguato la spinse a concentrarsi sul lavoro per cercare di tenere alla larga pensieri spaventosi.
Uscita dall’ufficio salì in macchina e fece retromarcia andando a sbattere contro un lampione. Scese imprecando. Il danno non era grave. Prendendo un respiro profondo guidò con prudenza fino a Evesham, senza mai smettere di tenere d’occhio lo specchietto retrovisore, nel caso qualcuno la stesse seguendo. Aveva la sensazione che un tizio al volante di un BMW le stesse sempre addosso. Agatha sterzò all’improvviso in una piazzola e aspettò, ma la BMW tirò dritto. Provò una gran voglia di lasciar perdere l’appuntamento con il tipo e di tornare a casa, al sicuro, nel cottage ben protetto dal sistema d’allarme. Sentiva la mancanza dei gatti. Per quanto spesso si mostrassero indifferenti, era capitato che percependo l’ansia e il disagio della padrona l’avessero seguita sul letto e le si fossero rannicchiati accanto. E dove era l’infedele, inaffidabile Charles?
In quel momento Charles, che era passato da Agatha e non l’aveva trovata in casa, bussò alla porta di James chiedendogli se sapesse dov’era andata.
James si imbarcò in una filippica sulla moralità di Agatha. Concluse dicendo: “E non le credo proprio quando dice che questo non è un appuntamento galante. Che sta solo investigando”.
“Potrei andare a dare un’occhiata,” disse Charles. “Dove abita questo Davent?”
“È meglio che ordini lei per me,” disse Agatha, dopo aver dato un’occhiata al menu. “Non conosco nulla di tutto ciò.”
Tristram fece un cenno alla cameriera e ordinò due vodka. “Io poi mi fermo qui,” disse Agatha. “Non voglio essere accusata di guida in stato di ebbrezza.”
“Ora della fine della cena,” disse Tris, “sarà perfettamente sobria. Il cibo assorbe l’alcol.”
Lui ordinò di primo una densa zuppa di funghi, seguita dal bigos, uno stufato “del cacciatore” con tanti tipi di carne e salsicce cotti insieme ai crauti, e un mucchio di frittelle di patate. Avrebbe voluto ordinare della birra, ma Agatha gli disse che la birra proprio la detestava, così Tris ordinò altra vodka. Parlarono oziosamente del più e del meno, del declino del centro di Evesham e del perché morivano le arterie commerciali in Gran Bretagna, Agatha si sentiva avvolta nella piacevole ovatta del cibo sostanzioso e della vodka. Quando lui ordinò dell’altro liquore, non protestò. Era stufa di avere una gran paura. E Tris era un uomo attraente. Non era possibile che fosse gay. Era stato sposato. Tacitò la vocina interiore che le ricordava i numerosi gay sposati con donne che lei aveva conosciuto. E comunque che cavolo di importanza aveva? Non è che avesse alcuna intenzione di passare la notte con lui. Agatha cominciò a parlare degli omicidi e di come qualcuno avesse tentato di ucciderla.
Davanti al dolce, rappresentato da fettone di torta al formaggio, Tris si protese attraverso il tavolo e afferrò la mano di Agatha: “Lei è una donna molto attraente. Vorrei tanto che la smettesse di occuparsi di questo caso”.
“Perché?”
“È troppo pericoloso. Lasci perdere e basta.”
Tris la stava guardando dritto negli occhi, e la presa sulla mano si fece più forte. La voce dell’uomo aveva una nota imperiosa.
Agatha sentì svanire l’euforia indotta dalla vodka e dal cibo pesante. Cercò di liberare la mano, ma Tris non la lasciò andare.
“Me lo prometta,” le disse. “Sono sicuro che se andrà avanti a indagare potrebbe succederle qualcosa di veramente brutto. Lui ha già tentato di ucciderla con lo strozzalupo.”
Agatha tirò via la mano con tanta violenza da far volare un bicchiere dal tavolo. “E lei come fa a sapere che si trattava dello strozzalupo?” chiese. “Sui giornali questo dettaglio non compariva.”
“Ma è ovvio. Herythe è stato ucciso proprio con quello.”
“Però Jill è stata strangolata e Clive Tremund colpito alla testa e affogato.”
“Non se la prenda con me,” la scongiurò Tris. “La mia era solo un’ipotesi ragionata. Era…”
“Ciao, tesoro. Hai smesso di preoccuparti per il tuo giro vita?”
“Oh, Charles,” disse flebilmente Agatha. “Che ci fai qui?”
“Sono venuto a cercarti. La polizia vuole sentirti di nuovo, così ho pensato di venire a tenerti la manina per conforto. Forse conviene che ti dia un passaggio. Ci hai dato dentro con la vodka, mi pare.”
Agatha fece le presentazioni. “Meglio che io vada,” disse a Tris.
“Quando ci rivedremo, noialtri due?” chiese quest’ultimo.
“Mi farò viva io,” disse Agatha.
“Come diamine mi hai trovata?” chiese, mentre tornavano alla macchina di Charles.
“James mi ha raccontato che eri andata a parlare con Tristram Davent, e sapendo della tua predilezione nei confronti degli uomini più inadatti, mi sono presentato all’indirizzo che mi aveva fornito James e la sorella di Davent mi ha detto dove eravate. Lascia qui l’auto. Domattina ti riporto io a prenderla.”
Quando Agatha si fu accomodata sul sedile del passeggero, Charles si girò verso di lei e le chiese incuriosito: “Come mai non sei furibonda con me pur avendo io interrotto il tuo appuntamento galante con quel bellimbusto?”.
“Tu pensa a guidare. Per tornare a casa Tristram deve passare dal parcheggio. Non ho alcuna voglia di rivedere la sua faccia.”
“D’accordo.” Charles uscì dal parcheggio e svoltò in Port Street.
“Le cose stanno così,” disse Agatha e gli raccontò quel che era accaduto al ristorante. “Non si tratta solo di quello che ha detto,” spiegò. “Da quando hanno attentato alla mia vita sono un fascio di nervi e quell’uomo mi ha spaventata davvero.”
“Perché diavolo hai acconsentito a uscire con lui?”
“Sono un’investigatrice! Te lo sei dimenticato?” ululò Agatha. “Ho pensato che magari avrebbe potuto fornirmi qualche informazione interessante a proposito di Jill.”
“Sii onesta, Aggie. Lui ti ha chiesto di uscire e tu hai accettato al volo. Innalza i tuoi standard. Un uomo con i colpi di sole ai capelli.”
“Potrebbero essere naturali.”
“Sciocchezze.”
Sulla guancia di Agatha scivolò una lacrima. “P-portami a casa e l-lasciami in p-pace,” singhiozzò.
Charles sterzò in una piazzola e spense il motore.
“Non intendevo essere sgarbato. Non piangere. Non ti ho mai vista così scossa. Fatti coraggio. Adesso andiamo a casa tua, ci facciamo un goccetto e ci guardiamo qualche scemenza alla televisione. Lo so che non mollerai il colpo. Quindi quale sarà la tua prossima mossa?”
Agatha si asciugò gli occhi e tirò su con il naso. “Domani farò il giro dei giardini di Carsely. Sono aperti al pubblico. Voglio vedere se qualcuno ha dell’aconito.”
“Se qualcuno ce l’aveva, è probabile che a questo punto lo abbia già estirpato. Non ti preoccupare. Verrò con te. La sai riconoscere, la pianta?”
“Mi sono guardata su Google un mucchio di foto. Si chiama aconito napello, o strozzalupo, o radice del diavolo, e il veleno è l’aconito.”
“Va bene. Allora per domani siamo d’accordo. Però sono convinto che dovresti relazionare Bill sulla tua cena con Tristram Davent. Insomma, quel tizio si è mostrato minaccioso.”
“Forse lo farò,” disse Agatha, ma aveva la sensazione di non essere in grado di reggere un’altra raffica di domande sul perché avesse acconsentito a cenare con Davent. Aveva da poco passato i cinquant’anni. Ma sono davvero caduta così in basso da considerare attraente qualunque uomo mi inviti a uscire?
L’indomani partirono per fare il giro dei giardini, e c’era il sole. Una brezza leggera trainava nel vasto cielo blu dei Cotswolds grandi nuvole soffici, che sembravano dei galeoni. “Non tutti i giardini saranno aperti al pubblico, immagino,” disse Charles.
“Fingeremo di non saperlo. Spero che non si rivelerà un’assoluta perdita di tempo. Qualcuno che Jill aveva fatto infuriare potrebbe averla seguita fin qui dall’America.”
“In tal caso,” disse Charles, “sarebbe ragionevole pensare che questa persona dopo aver ucciso Jill abbia tagliato la corda per tornarsene negli States. Okay. Abbiamo anche Tremund. Però chiunque sia il nostro assassino, potrebbe aver creduto che Tremund avesse scoperto qualcosa. Ma che mi dici di Herythe e del tentativo di uccidere te? Questo fa pensare a qualcuno più vicino a casa.”
“Proviamo prima con Victoria Bannister,” disse Agatha. “Quella è davvero fuori come un balcone.”
“Il suo giardino è aperto al pubblico?”
“Non lo so. Fingeremo che lo sia.”
Si incamminarono lungo le strade acciottolate del villaggio, oltrepassando la canonica, diretti a casa di Victoria. “Non c’è molta gente in giro,” osservò Charles. “È sempre così tranquillo quando c’è la giornata dei giardini aperti?”
“Probabilmente sì,” disse Agatha. “La signora Bloxby una volta mi ha detto che nel villaggio sono così invidiosi l’uno dell’altro che all’inizio della giornata spesso non vogliono andare a vedere giardini che non siano i propri. Poi alla fine escono tutti di casa.”
“Non hai paura che Victoria comincerà a coprirti di insulti?” chiese Charles.
“No, è rimasta traumatizzata quando ho minacciato di querelarla per diffamazione.”
“Non ha attaccato al cancello nessun cartello con la scritta GIARDINO APERTO,” fece notare Charles.
“E con questo?” chiese Agatha, aprendo il cancello.
Il giardinetto anteriore del cottage dal tetto di paglia era pieno di fiori. I fiori delle malvarose, cresciute alte e rigogliose, spiccavano contro il cielo estivo. La bassa porticina d’ingresso era incorniciata da una cascata di rose rampicanti bianche.
Agatha si fermò di colpo sul vialetto e Charles le finì addosso. “Guarda lì!” sussurrò al baronetto. “Strozzalupo!”
“Devi studiarle un po’ meglio, quelle foto,” disse Charles. “È un delphinium.”
“Accidenti! Avrei dovuto capire che sarebbe stato troppo facile.”
Agatha suonò il campanello. “Credo sia uscita,” disse, dopo un’attesa di qualche minuto. “Sai che facciamo? Giriamo attorno alla casa e ci infiliamo nel giardino sul retro. Se lei rientra e ci becca possiamo mentire e dire che eravamo convinti che il suo fosse nell’elenco dei giardini aperti.”
Quando furono sul retro scoprirono però che i fiori erano in bella vista solo sul davanti. Dietro c’era un prato maltenuto dominato da un filo per il bucato. In fondo c’era un capanno. Lungo lo steccato crescevano due meli selvatici.
“Diamo un’occhiata a quel capanno,” disse Agatha.
“Victoria potrebbe coglierci sul fatto.”
“Non fare la mezza calzetta. Andiamo.”
“No,” dichiarò Charles con fermezza. “Vedi quella sedia da giardino vicina al muro della casa? Io vado a sedermi lì e ci resto finché non avrai finito. Se la sento arrivare, taglio la corda.”
“Smidollato e coniglio!” Agatha attraversò il giardino. Tre grossi corvi che stavano beccando qualcosa al suo avvicinarsi volarono via.
Fuori dal capanno, per terra, c’era quello che a un primo sguardo sembrava un mucchietto di indumenti. Agatha si fece avanti, incuriosita. Poi lanciò un urlo acutissimo che fece accorrere Charles al suo fianco.
La faccia morta e priva di occhi di Victoria Bannister sembrava rivolta verso di loro. “I corvi,” farfugliò Agatha. “Le hanno beccato via gli occhi!”
Charles le circondò le spalle con un braccio. “Andiamo via. Ora chiamiamo la polizia. Forza, Aggie. Torna indietro con cautela, altrimenti verremo accusati di aver contaminato la scena del crimine.”
La polizia arrivò. Agatha e Charles vennero condotti fuori dal giardino e fatti sedere in un’auto di servizio, mentre il medico legale e la Scientifica facevano i rilievi.
Spuntò Wilkes e bussò al finestrino dell’auto a bordo della quale c’erano Agatha e Charles. “Trasferiamoci a casa sua, signora Raisin,” disse, “le vostre deposizioni le raccoglieremo lì.”
Perché ci sono il sole e il cielo azzurro? si chiese mestamente Agatha. L’aria dovrebbe essere scura e cupa. Il villaggio sembra così normale. Ancora ignari del dramma, alcuni abitanti di Carsely avevano già cominciato a gironzolare da un giardino all’altro.
Una volta al cottage, Agatha insisté per far accomodare tutti in giardino, in modo da poter fumare. Wilkes era affiancato da Bill Wong, da Alice Peterson e da un’altra poliziotta.
“Mi stupisco che lei continui a indulgere in quella sudicia abitudine,” commentò Wilkes.
“Una donna è stata trovata morta con gli occhi beccati via dai corvi e lei non sa fare altro che commentare acidamente il fatto che io fumi,” disse Agatha. “Veniamo al dunque.”
Si sedettero attorno al tavolo da giardino e cominciarono le domande. Quando ebbero finito di torchiarla, Agatha raccontò della cena con Tris Davent, dicendo: “Mi ha spaventata. Scommetto che è stato lui”.
“Aspettate un attimo,” disse Wilkes. “Devo fare una telefonata.”
L’ispettore entrò in casa e andò in cucina. “Ti senti bene, Agatha?” le chiese Bill. “Sei un bel po’ pallida.”
“Sono scossa,” rispose lei. “È stato veramente orribile.”
Wilkes tornò. “A giudicare dalla temperatura del fegato la morte della signora Bannister risale a ieri sera, presumibilmente tra le sette e mezzanotte. L’anatomopatologo si farà un’idea più precisa quando analizzerà il contenuto dello stomaco. Non può essere stato il signor Davent. Il suo alibi è proprio lei, signora Raisin.”
“Non è detto,” ribatté cocciutamente Agatha. “Io me ne sono andata dal ristorante alle nove e mezza. Avrebbe avuto il tempo di arrivare a Carsely e uccidere.”
“È davvero molto improbabile,” disse acidamente Wilkes. “Ora tocca a lei, sir Fraith. Sentiamo la sua versione dei fatti.”
Agatha invidiò il modo calmo con cui Charles rese la propria testimonianza. Sembrava che per lui trovare un corpo martoriato fosse un evento normale. La sera prima c’era mancato poco che lei si infilasse nel suo letto; si era fermata appena in tempo, ricordando a se stessa che il sesso occasionale era da escludere. Però avrebbe avuto voglia di essere abbracciata e confortata. Né James né Charles sono esattamente affettuosi, pensò. James era più un amante del tipo “vieni qui che ti do un colpetto, arrivederci e grazie”. Charles ci sapeva fare di più, eppure quando l’atto era concluso il baronetto rimaneva l’enigma di sempre, e non lasciava mai trasparire che cosa provasse nei confronti di Agatha. Lei chiuse gli occhi per proteggersi dalla luce violenta del sole e cominciò a sognare un uomo solido e affidabile. Avrebbe avuto una faccia ruvida e maschia, avrebbe portato giacche di tweed. Se lo vedeva, affaccendato in giardino, e nelle sere invernali si sarebbero tenuti compagnia davanti al camino. A letto sarebbe stato appassionato e amorevole. E…
“Sei diventata paonazza in viso, Aggie,” disse Charles.
“È il sole,” ribatté Agatha, aprendo gli occhi e guardando la figura ben vestita e ben curata di Charles.
Qualcuno suonò il campanello. “Vado io,” disse Alice.
Tornò seguita da Toni, Simon e James.
“James ci ha telefonato,” disse Toni. “Che cosa orribile, Agatha. Sta bene?”
“Sopravvivo,” rispose. “È meglio entrare in casa. Qui non c’è spazio per tutti.”
“Noi ce ne stiamo andando,” disse Wilkes. “Più tardi dovrete passare in centrale a firmare le vostre deposizioni. E non parlate con la stampa!”
James, Simon e Toni si accomodarono in giardino sulle sedie lasciate libere dalla polizia e chiesero che cosa diavolo fosse successo. James disse che la notizia della morte di Victoria era già sulle bocche di tutto il villaggio, grazie a un poliziotto di turno che aveva spifferato la notizia.
Agatha ripeté stancamente tutta la storia, compresa la cena con Davent. Aveva appena finito quando si sentì una scampanellata furiosa.
“Vado io,” disse Toni.
“Guarda attraverso lo spioncino e se sono i giornalisti non aprire.”
Quando Toni tornò, disse mestamente: “Agatha, se si sta chiedendo come mai il campanello abbia smesso di suonare, sappia che davanti alla porta c’è il suo amico Roy Silver, e sta tenendo concione”.
Agatha gemette. “James, sii gentile, vai ad aprire la porta e tira dentro Roy.”
Roy Silver in passato aveva lavorato alle dipendenze di Agatha quando lei possedeva una società di pubbliche relazioni.
James tornò con un Roy dall’aria imbarazzata. Agatha notò con orrore che il giovanotto era coperto di tatuaggi. “Ma guarda come ti sei conciato,” disse. “Lo sai che quando questa moda passerà, a te resterà la parcella salatissima del chirurgo plastico che dovrà rimuovere tutta quella roba?”
I presenti fissarono il ragno che decorava il collo di Roy e i serpenti coloratissimi dei tatuaggi che gli coprivano le braccia. “Vengono via lavandoli,” disse quello, imbronciato. “Ne ho bisogno. Sto facendo il PR per questa band musicale, gli Hell on Earth. Faranno il botto.”
“Che cos’hai raccontato alla stampa?” chiese Agatha. “Mi avevano proibito di parlare con loro.”
“Ho semplicemente detto la verità,” disse Roy immusonito. “Ho detto che in passato ti avevo aiutato a risolvere alcuni casi e che ti sto aiutando anche con questo.”
“E come ha fatto a sapere che cos’è successo?” chiese Toni.
“Non ho saputo nulla. Però i cronisti mi hanno detto che nel villaggio c’era stato un omicidio, così sono andato a braccio.”
Agatha osservò acidamente la sua faccia inespressiva, i capelli incrostati di gel e i jeans strappati con cura sul ginocchio e disse: “Sembri appena scappato da un carcere minorile. Vai di sopra e lavati via quelle schifezze, o qui a casa mia non ci resti!”.
“Ecco l’effetto negativo del tuo trasferimento in Bifolcolandia,” disse Roy. “Non sei più aggiornata. Oh, vado, vado.”
“Credo,” disse Toni, “che già che siamo qui io e Simon dovremmo fare un giro dei giardini e vedere se troviamo da qualche parte quello stramaledetto fiore. Potremmo dividerci e…”
“Restate insieme,” disse Agatha. “Non voglio che nessuno di voi due finisca ammazzato.”