7

Simon ridiscese a piedi attraverso il villaggio per recuperare l’auto che aveva lasciato davanti al cottage di Agatha. Tirò fuori il telefono cellulare e chiamò Ruby. La chiamata fu dirottata subito sulla segreteria telefonica. “Abbiamo fatto una grossa scoperta nel cottage di Jill,” disse Simon. “Se vuoi sapere di che si tratta, richiamami.”

Si appoggiò alla vettura e aspettò. Un venticello vivace si levò all’improvviso facendo frusciare le foglie del lillà fuori dal giardino di Agatha.

Simon si ritrovò a provare un brivido di paura. Sembrava quasi che le foglie gli stessero sussurrando di stare in guardia. Guardò il vicolo. Non c’erano nulla e nessuno, a parte l’involucro di una caramella che qualcuno aveva buttato a terra, e che il vento gli fece aderire ai pantaloni.

Il telefono suonò, facendolo sobbalzare. “Ciao, bel ragazzo,” tubò Ruby. “Che cos’hai per me?”

“Una scoperta pazzesca,” disse Simon. “Preferirei parlartene di persona.”

“Vieni qui. È la mia giornata libera,” disse Ruby.

Finito di parlare con Simon, Ruby si rivolse ai bambini. “Adesso vi porto dalla nonna.”

“Cattiva!” gridò suo figlio Jonathan.

E Pearl disse: “Vogliamo più bene alla nonna che a te”.

Ruby scrollò le spalle e telefonò alla madre, che abitava a poche strade di distanza. Lottò contro un pizzico di senso di colpa. I suoi figli passavano più tempo con la nonna di quanto ne passassero con lei.

Simon guidò fino a Oxford, pregando che il suo sogno di una Ruby calda e amorevole potesse rinascere. Era sul punto di suonare il campanello quando attraverso la finestra aperta del salotto gli giunse una voce maschile che diceva: “Non credi che dovrei fermarmi qui anche io? Siamo alla ricerca disperata di qualcosa che imprima una svolta al caso”.

“No, tu vai,” disse la voce di Ruby. “Quel piccolo babbeo è cotto di me e se ti vedesse potrebbe ingelosirsi e non rivelarmi più nulla.”

“Quello che potrebbe ingelosirsi casomai sono io,” disse l’uomo con una risata.

“Ma non fare l’idiota. È solo un ragazzetto noioso.”

Simon arretrò e si accovacciò dietro un cespuglio. La porta si aprì e ne uscì un uomo robusto. Lo sconosciuto baciò Ruby e si allontanò lungo il vialetto della casa.

La porta si richiuse e scese il silenzio, rotto solo dal fruscio delle foglie mosse dal vento sempre più forte.

Simon all’improvviso si sentì incommensurabilmente stanco, stupido e depresso. Sgusciò fuori dal cespuglio, accertandosi che nessuno lo vedesse dalle finestre della casa di Ruby, tornò all’auto e ripartì. Quando arrivò a Mircester gli era già squillato il telefono molte volte. Ogni volta riconobbe il numero di Ruby, e alla fine spense il cellulare.

Ruby stava camminando avanti e indietro nel salotto, indecisa sul da farsi. Cercò di rammentare a se stessa che se si fosse trattato di una scoperta legata all’omicidio di Clive Tremund la notizia sarebbe certamente arrivata alla polizia della Valle del Tamigi, e che dunque non le restava che aspettare con pazienza.

Però era una donna ambiziosa e di pazienza non ne aveva. Simon le aveva dato l’indirizzo di casa. Decise di andare a Mircester e di affrontarlo.

La notte era molto buia. L’aria era appiccicosa e umida e in lontananza si sentì il rombo di un tuono.

La vecchia auto della polizia era priva di aria condizionata; Ruby arrivò a casa di Simon stanca e sudata. Suonò il campanello. Però Simon, guardando attraverso lo spioncino della porta, decise di non aprirle. “Ma che se ne andasse al diavolo,” borbottò, tornandosene a letto.

Frustrata e rabbiosa, Ruby decise di risalire in macchina e di andare a Carsely per affrontare Agatha Raisin.

L’appartamento di Simon si trovava in una zona pedonale e così Ruby aveva lasciato l’auto sulla piazza principale. Prima che avesse il tempo di arrivarci si aprirono le cateratte del cielo e cominciò a piovere forte. La piazza fu illuminata da un lampo e Ruby notò con disappunto che il lunotto posteriore della sua auto era stato infranto. Scivolò sul sedile di guida e cercò di asciugarsi i capelli fradici con dei fazzoletti di carta. La centrale di polizia di Mircester era di fianco alla piazza, ma decise di non entrare a denunciare la rottura del finestrino; l’avrebbero accusata di venire a indagare di frodo sul loro territorio. Notò che i lampioni erano spenti. Il temporale doveva aver causato un’interruzione della corrente.

Stanca, Ruby decise di lasciar perdere e tornare a casa.

Stava per mettere in moto quando qualcuno le passò attorno al collo un cavetto metallico e tirò con ferocia. Ruby era una donna robusta e cercò di passare le dita sotto il filo, ma senza riuscirci. Negli spasmi dell’agonia schiacciò il pulsante delle luci di emergenza, prima che tutto diventasse nero.

Bill Wong uscì dalla centrale e aprì l’ombrello. Agatha Raisin era stata rilasciata un’ora prima, dopo quello che a Bill era sembrato un interrogatorio impietoso da parte di Wilkes, che sembrava ostinarsi a credere che Agatha stesse intralciando le indagini della polizia.

Mentre era diretto all’auto la pioggia cessò di cadere all’improvviso, come se qualche divinità dell’Olimpo avesse chiuso il rubinetto. Alle sue spalle sentì il rumore sordo del generatore della polizia che sopperiva all’interruzione di corrente.

Vide un’auto con le luci d’emergenza lampeggianti e si avvicinò per vedere se qualcuno avesse qualche problema. Bussò sul finestrino del conducente. Attraverso il vetro appannato vide una sagoma scura al volante. Aprì la portiera e il corpo senza vita di Ruby, con il viso orribilmente contorto, scivolò fuori per metà, trattenuto dalla cintura di sicurezza.

L’indomani mattina Agatha fu svegliata da Toni con la notizia che Simon era stato arrestato per l’omicidio di Ruby Carson. La telecamera a circuito chiuso della piazza aveva ripreso la donna mentre si dirigeva verso l’appartamento di Simon, e la stessa cosa aveva fatto quella puntata sulla zona pedonale. Dopo l’interruzione di corrente, però, le telecamere avevano smesso di funzionare.

Agatha passò subito all’azione, rivolgendosi a un avvocato penalista, e poi arrivò in centrale per scoprire che l’esausto Simon era appena stato rilasciato. I messaggi di Ruby, che il ragazzo aveva ancora sul telefonino, dimostravano che lui si era rifiutato di vederla. Il sovrintendente capo Alastair White non rivelò di aver avuto una relazione con Ruby, però disse che la collega lo aveva convocato perché pareva che Agatha avesse scoperto qualcosa, e che la donna stava aspettando Simon.

Confermò quanto aveva detto Simon, ovvero che attraverso la finestra aperta il ragazzo doveva aver sentito delle insolenze rivolte contro di lui.

Attorno all’automobile di Ruby, nel parcheggio, era stata montata una tenda. Simon disse ad Agatha che la polizia riteneva che l’assassino la stesse pedinando e che avesse spaccato il lunotto per appostarsi sul sedile posteriore. Avevano trovato una garrota sul pianale. Era stata costruita con un filo di quelli per tagliare il formaggio e due pezzi di legno cilindrici lucidati.

“Le persone coinvolte devono per forza essere più di una,” disse Agatha.

Simon rabbrividì nonostante la giornata calda. Pensò che la faccia contorta e priva di vita di Ruby lo avrebbe perseguitato fino alla fine dei suoi giorni. “Sento che qualche mente malata sta giocando con noi come il gatto con il topo, e conosce ogni nostra mossa,” disse.

Agatha lo fissò. “Cimici!” disse. “Chissà se nel mio cottage hanno infilato qualche microspia. In ufficio abbiamo un rilevatore di radiofrequenze. Vai a prenderlo, Simon, darò una passata a casa mia.”

Al loro arrivo trovarono Charles seduto sul pavimento della cucina, a giocare con i gatti. Agatha gli fece cenno di stare zitto e lo portò in giardino dove gli raccontò dell’assassinio di Ruby e gli disse che stavano per passare al setaccio la casa alla ricerca di microspie. “E che cosa ci fanno i miei gatti a casa?” chiese.

“Doris sta pulendo al piano di sopra,” disse Charles.

“Ma come! Non è giorno di pulizie, oggi.”

“A Doris è venuto in mente che ai mici potesse fare piacere rivedere la loro casa. Le ho chiesto di cambiare le lenzuola nella stanza degli ospiti. Conviene che vada a chiamarla così le potremo chiedere se qualcuno può essersi introdotto in casa mentre tu eri via.”

Charles tornò dopo qualche minuto e portò Doris in fondo al giardino, dove la stavano aspettando Simon e Agatha. Quando le chiesero se qualcuno avesse potuto introdursi nel cottage per piazzare una microspia in casa, Doris aggrottò la fronte, e poi disse: “C’è stato quel tizio dei telefoni. È successo un po’ di tempo fa. Ha detto che c’era un problema con alcuni telefoni del villaggio, e che li stavano controllando tutti. O santi numi, me ne sono andata al piano di sopra e l’ho lasciato fare. Era un omone robusto con la barba grigia e gli occhiali. Aveva uno di quegli accenti stranieri. Polacco, poteva essere”.

“Le viene in mente qualcun altro?”

“No, nessuno. Sono così dispiaciuta, Agatha. Non mi è proprio passato per l’anticamera del cervello che potesse avere qualcosa che non andava.”

Agatha si rivolse a Simon. “È meglio che cominci a cercare le microspie. Parti dal tavolo e dalle sedie da giardino.”

Aspettarono con ansia. Avendo finito di controllare i mobili del giardino, Simon si trasferì dentro il cottage. “Ma lo sta facendo con cognizione di causa?” chiese Charles.

“Sì, di tanto in tanto gli faccio ripulire l’ufficio da eventuali microspie,” disse Agatha.

“Quel che mi lascia perplesso,” disse Charles, “è che ancora non ti abbiano fatta fuori.”

“Dimentichi che mi hanno spedito un mazzo di fiori velenosi.”

“Forse il nostro assassino era certo che avresti riconosciuto lo strozzalupo. Se qui dentro ci sono delle microspie, allora doveva sapere che tu sei in grado di riconoscere la pianta. Credo che ci sia in giro uno psicopatico che si prende gioco di te, Agatha.”

“Quello pseudotecnico dei telefoni,” disse Agatha. “Sembrerebbe un travestimento. Che ne dici di Tris Davent? Le competenze tecniche le ha.”

“Dovresti parlarne con la polizia, Aggie.”

“Ma che dici! Per ritrovarmi ancora una volta in quella orrenda saletta degli interrogatori?”

“Limitati a fare una telefonata a Bill. La polizia potrebbe disporre di un equipaggiamento più sofisticato. Però con un po’ di fortuna Simon non troverà nulla.”

Il cielo si stava oscurando. “Spero che finisca prima che venga a piovere,” disse Doris.

“Se Simon trova qualcosa telefonerò a Bill,” disse Agatha. “E quante volte ti devo dire di non chiamarmi Aggie! Il fratello di Jill è piuttosto robusto. Aggiungiamoci una barba grigia finta e un paio di occhiali e sì potrebbe essere il nostro uomo-cimice. L’accento dell’Est Europa è facile da simulare.”

“Uomo-cimice è un’ottima descrizione per questo personaggio schifoso, chiunque sia,” disse Charles.

Una calda goccia di pioggia cadde sul naso di Agatha. “Ci mancava solo questo,” disse. “Entriamo in casa e restiamo in silenzio.”

Ma quando entrarono Simon stava disponendo sul tavolo della cucina quattro microspie. “Tutto fatto, spero,” disse. “Una era dentro il telefono, una sotto la scrivania del computer, una dietro la libreria e una dietro la testiera del letto al piano di sopra, Agatha.”

“Adesso preparo a tutti una bella tazza di tè,” propose Doris.

“Lasci stare. Vorrei un gin tonic,” disse Agatha. “Versamelo tu, Charles, io vado a telefonare a Bill. Mi ha dato il suo numero di cellulare, così non ho bisogno di passare per le forche caudine di Wilkes.”

Bill disse di aspettare, sarebbe passato di lì a poco per dare un’altra controllata al cottage, casomai fossero sfuggite alcune microspie.

Charles tornò con il gin tonic di Agatha. Lei alzò il braccio per prendere il bicchiere e lui notò il tremito della mano. Posò il gin tonic sul tavolo e disse gentilmente: “Non ti starai facendo venire la tremarella, vero? Forse non è una buona idea cominciare a bere”.

“Non si tratta di questo,” disse Agatha. “A darmi i brividi è tutto il caso, nel suo complesso. Là fuori c’è un pazzo che si fa beffe di me, trattandomi da stupida e da dilettante. Però hai ragione, Charles. Non ho intenzione di darmi all’alcol. Rovescia quella roba nel lavandino e preparami un caffè, invece. Stai bene, Simon?”

“Ecco perché Ruby è stata uccisa,” disse con tono infelice. “Qualcuno ha ascoltato tutto quello che ho raccontato a lei, Agatha, sul suo conto.”

“Le mie copie di quel registro dei pagamenti!” Agatha si alzò di scatto e corse alla scrivania, frugando freneticamente tra le proprie cose. Tornò e annunciò: “Sono sparite”.

“Allora,” disse Charles, “l’assassino deve essere in qualche modo entrato di nuovo in casa. Chiediamolo a Doris.” La donna delle pulizie era tornata al piano di sopra. “Vado a chiamarla.”

Quando Doris tornò, Agatha le chiese: “Dove le tiene le chiavi del cottage?”.

“Ai piedi delle scale nella borsetta,” rispose Doris. “Oh, Agatha, santo cielo. In borsa ho anche un foglietto con il codice dell’antifurto.”

“Quindi il bastardo è entrato e uscito da casa tua a piacimento,” disse Charles. “Sta giocando con te perché avrebbe anche potuto intrufolarsi nel cottage di notte e ucciderti.”

Agatha telefonò alla ditta che le aveva installato l’allarme anti-intrusione e lasciò un messaggio chiedendo loro di venire il prima possibile per cambiare il codice. Poi telefonò a un fabbro e gli chiese di cambiare le serrature.

La polizia arrivò capeggiata da Bill e Alice, che presentarono i due tecnici.

Mentre gli uomini si mettevano al lavoro, gli altri tornarono fuori in giardino, riparandosi sotto l’ombrellone. Agatha riferì a Bill lo stratagemma che l’assassino aveva usato per introdursi nel cottage.

“Dovrebbe cercarsi un’altra donna delle pulizie,” disse Alice.

“Mai!” gridò Agatha. “È stato un errore che chiunque avrebbe potuto commettere. Nessuno è più onesto o lavoratore di Doris.”

L’unico tratto asiatico di Bill erano i begli occhi a mandorla, ora strizzati per la tensione. “Agatha,” disse. “Parti e vattene in qualche posto finché questa storia non sarà finita. Qui non sei al sicuro.”

“Ma che senso avrebbe? Potreste non trovare mai questo assassino, che si sta rivelando un vero serial killer dei Cotswolds. Non posso abbandonare il mio staff. Anche loro sono in pericolo.”

Il telefono di Agatha squillò. Era Phil Witherspoon. “Sono solo passato in ufficio per recuperare un’altra macchina fotografica ed è arrivato qui un giovanotto ansioso di ricorrere ai suoi servigi, Agatha. Dice che si chiama Justin Nichols e che Ruby è stata la sua matrigna quando era sposata con suo padre.”

“Vorrei incontrarlo,” disse Agatha, “però adesso non mi posso allontanare da casa.” Raccontò a Phil che cosa avevano scoperto e poi disse: “Gli dia le indicazioni e gli dica di raggiungermi qui”.

Dopo aver chiuso la chiamata riferì a Bill di Justin e poi si rivolse a Simon. “Lei ti aveva parlato di un precedente matrimonio?”

“Mi aveva detto di essere divorziata,” rispose Simon. “Ma potrebbe esserci stato un altro matrimonio prima dell’ultimo. Credo che avesse conservato il nome del marito, Carson, il che significa che prima poteva essere stata sposata con un tizio di nome Nichols.”

I tecnici uscirono in giardino per annunciare di aver concluso il lavoro: a quanto pareva Simon aveva già trovato tutte le microspie. Bill si rivolse al giovanotto: “Spero tanto che tu abbia indossato i guanti”.

“Sì,” disse Simon. “Ma se hai in mente di cercare le impronte digitali, scommetto che i guanti li indossava anche il nostro assassino.”

“Potremmo essere in grado di rintracciare dove sono state comprate quelle microspie. Se non ti spiace, Agatha, noi staremmo qui fino all’arrivo di quel Nichols. Mi piacerebbe sentire che cos’ha da dire sul conto di Ruby.”

La signora Bloxby arrivò dopo che i tecnici se n’erano andati, dicendo di essersi preoccupata quando voci di villaggio avevano cominciato a diffondere la notizia che davanti al cottage di Agatha c’erano auto della polizia. L’amica le raccontò tutto quello che era successo. La faccia gentile della moglie del pastore assunse un’espressione angustiata. “Sembra che qualcuno stia giocando con te come un gatto con il topo, Agatha. Però questo elimina alcuni sospettati.”

“Tipo chi?” chiese Agatha.

“Non ce la vedo Gwen Simple capace di fare una cosa così sofisticata come piazzare delle microspie,” disse la moglie del pastore. “La signorina Bannister è morta. La signora Simpson non è mai stata tra i sospetti. La signora Tweedy è troppo anziana e non avrebbe avuto l’energia per farlo e nemmeno le competenze tecniche.”

“Io continuo a scommettere su Gwen Simple,” disse Agatha. “Avrebbe potuto ingaggiare qualcuno. Non credo assolutamente che non sapesse che cosa stava combinando quell’assassino di suo figlio.”

“L’abbiamo tenuta d’occhio per un po’ di tempo,” disse Bill. “Non ha ricevuto visite strane, sono andati a trovarla solo abitanti di Ancombe. Dà una mano in chiesa e fa un sacco di opere di bene.”

“Ma figurati!” sbuffò Agatha. “Potrebbe trattarsi di una copertura.”

“Stai dimenticando l’ex di Jill,” disse Charles. “Davent ha un negozio di informatica.”

“Come va con quel registro dei pagamenti?” chiese Agatha. Non voleva dire che la sua copia era sparita, sapendo che la polizia non avrebbe apprezzato il suo operato.

“Mi sembra che non porti da nessuna parte,” disse Bill. “Ma un sacco di voci sono vecchie. L’inchiostro è sbiadito. Quelle recenti sono molto poche.”

“Ci sono notizie dall’America? Scommetto che Jill stava ricattando qualcuno dei suoi clienti.”

“È stato laborioso controllare tutti i contatti americani, specie quelli che abitano a Chicago, e sono ritratti nelle foto o citati nelle altre carte che hai trovato, ma finora non è emerso nulla di sinistro. Nessuno degli uomini convocati dalla polizia di Chicago si è mostrato disponibile ad ammettere di essere stato ricattato e quelli dei portafogli hanno dichiarato di essere stati vittima di borseggiatori in qualche bar, escludendo l’albergo. Sono tutti sposati, capisci.”

Agatha si mise le mani nei capelli lucidi. “Potrebbe essere stato chiunque e noi non abbiamo uno straccio di indizio,” piagnucolò. “Vado a darmi una rinfrescata.”

“Sto perdendo il controllo, non mi sono mai lasciata turbare fino a questo punto,” disse Agatha, parlando con lo specchio del bagno. “Ripigliati!”

La giornata era umida e opprimente. Fece una doccia e si cambiò d’abito, optando per una fresca tunica di lino e un paio di sandali, e si truccò di nuovo.

Il campanello suonò mentre lei stava scendendo le scale. “Vado io!” gridò.

“No, non ci vai tu,” disse Bill, accorrendo al suo fianco. “Non sappiamo chi c’è là fuori.” Agatha rimase un po’ indietro mentre Bill apriva la porta. Poi sbatté le palpebre. Davanti a lei c’era un giovane Adone, con la chioma bionda illuminata dalla pallida luce del sole. “Sono Justin Nichols,” rispose il giovanotto.

“Si accomodi,” disse Bill. “Lei è Agatha Raisin. Io sono il sergente investigativo Bill Wong.”

“Dov’è Phil Witherspoon?” chiese Agatha.

“Mi ha lasciato qui ed è tornato in ufficio,” disse Justin.

Il giovanotto seguì Bill e Agatha in cucina, dove gli altri erano seduti attorno al tavolo. Lei fece le presentazioni, lo invitò a sedersi, prese una sedia per sé e cominciò a scrutarlo. I capelli erano naturalmente ondulati. La pelle bianca e gli occhi di un azzurro intenso con ciglia folte. Portava una camicia sbottonata sul collo, dello stesso azzurro degli occhi. Era snello, ma aveva l’aria atletica.

“Quanti anni ha, signor Nichols?” chiese.

“Venticinque.”

“Ma Ruby Carson aveva passato da poco i quaranta. Suo padre era molto più anziano di lei?”

“Sì, all’epoca del matrimonio aveva cinquantacinque anni. Io sono il suo unico figlio. Mamma era morta da appena due anni – di cancro – quando mio padre ha conosciuto Ruby, che aveva solo diciannove anni. Lui era innamorato perso. Però lei due anni dopo è saltata su a chiedergli il divorzio. Mio padre ne è rimasto devastato. Tuttora è ossessionato da quella donna e mi ha dato l’incarico di rivolgermi a lei come investigatrice, signora Raisin.”

“Signor Nichols, che lavoro fa?” chiese Alice Peterson.

“Sono un programmatore informatico, libero professionista, e al momento sono in una pausa tra un contratto e l’altro. Perché mi guardate tutti in quel modo?”

“Qualcuno ha piazzato alcune microspie nel mio cottage,” disse Agatha, ignorando il segnale di avvertimento di Bill. “Lei sarebbe capace di farlo?”

“No,” disse il giovanotto con franchezza, “però sono certo che se studiassi la procedura ci riuscirei, ma perché mai dovrei farlo?”

“La signora Carson le piaceva?” chiese Bill.

“La giudicavo una donna egoista e ambiziosa,” rispose Justin. “Però per mio padre farei qualunque cosa. All’inizio mi ero opposto, chiedendogli perché mai avrei dovuto ricorrere ai servigi di un’investigatrice di provincia, ma lui ha insistito. Badi, io non mi immaginavo che lei fosse una donna così attraente, signora Raisin.”

“Mi chiami pure Agatha, la prego.” Le brillavano gli occhi.

Ma non può essere, pensò Charles. È troppo giovane. Forse si tratta solo di istinto materno.

“Quanto tempo fa c’è stato il divorzio?” chiese Bill.

“Sono passati anni. Ruby si occupava di vendite e marketing e all’improvviso ha annunciato di voler entrare nelle forze di polizia. È stato allora che è diventata follemente ambiziosa. Non faceva altro che ripetere che un giorno sarebbe diventata un pezzo grosso. Papà a quel punto la vedeva molto di rado. Però il divorzio è stato un duro colpo.”

“Suo padre che lavoro fa?”

“È il direttore della Superfoods. È così che aveva conosciuto Ruby. Lei si occupava di marketing per conto dell’azienda.”

Agatha provò l’improvviso desiderio che se ne andassero tutti quanti. “Se ha voglia di seguirmi in ufficio,” disse, “le preparerò il contratto.”

“Ha già provveduto la sua segretaria,” disse Justin.

“Senta un po’, giovanotto,” intervenne severamente Bill, “lei si sta ficcando nei guai. Non è stata uccisa solo la signora Carson, ci sono state anche altre vittime! Chiunque sia l’assassino, sembra trarre godimento dallo sbarazzarsi di tutti coloro che potrebbero aiutare a scoprire la sua identità. La invito caldamente a stracciare quei contratti e a riferire a suo padre che la faccenda è troppo pericolosa.”

“Non ne vedo il motivo,” affermò Justin. “Insomma, se non ho capito male avete bonificato il cottage dalle microspie, quindi nessuno verrà a sapere che la signora Raisin sta indagando per conto mio.”

“Ebbene, io l’ho avvisata,” disse Bill. “Ci terremo in contatto, Agatha.”

“Meglio che vada anche io,” disse la signora Bloxby. “Mio marito si starà chiedendo che fine abbia fatto.”

Agatha guardò Charles, speranzosa. “Conviene che vada,” disse il baronetto. Aveva programmato di fermarsi, ma dopotutto il bel giovanotto non poteva certo avere mire romantiche su Agatha, e la sua presenza magari sarebbe riuscita a distrarre l’amica, impedendole di rimuginare sulle proprie paure.

“Simon,” disse Agatha, “dovresti dedicarti a quel caso di minorenne scomparsa.”

Dopo che Charles e Simon se ne furono andati, Agatha disse a malincuore: “Lasci fare a me, Justin. Mi dia pure i suoi recapiti telefonici e l’indirizzo. Mi sarebbe utile parlare anche con suo padre”.

Aveva pensato di invitarlo a pranzo, ma si ricordò per tempo di dover aspettare a casa l’arrivo del fabbro e di dover far cambiare il codice dell’antifurto.

“È una delizia, qui,” disse Justin con un sorriso. “Ho sempre desiderato di vedere l’interno di uno di questi vecchi cottage con il tetto di paglia. Guardi, ha smesso di piovere.”

“Io ora vado!” gridò Doris dall’ingresso.

Agatha si alzò e andò a salutarla.

Quando tornò la cucina era vuota. Trovò Justin seduto al tavolo del giardino con i gatti in grembo. “È così tranquillo qui,” disse.

“Ho fame,” annunciò Agatha. “Le andrebbe di restare a pranzo?”

“Oh, sarebbe un grande piacere.”

“La cucina italiana le aggrada?”

“Magnifico.”

Agatha entrò in casa, telefonò a un ristorante italiano dei dintorni e ordinò due porzioni di cotolette alla milanese con insalata e una bottiglia di Valpolicella.

Stava per tornare da Justin in giardino quando suonò il campanello. Agatha guardò attraverso lo spioncino e si trovò davanti il bel viso di Toni.

No, pensò. Una sola occhiata a Toni e Justin si dimenticherà perfino che esisto. Tornò in giardino.

Non le era mai capitato di sentirsi attratta da uomini più giovani. Ricordò provando un certo senso di colpa di essersi invaghita di quel bell’insegnante a Winter Parva, quello che poi era stato ucciso dal figlio di Gwen. In passato aveva sempre pensato che le donne che si innamoravano degli uomini solo per il loro bell’aspetto fossero leggermente… insomma… un po’ volgarotte. Sì, James era bello, ma era un suo coetaneo. Forse Justin era gay. È questo il guaio con i belli, pensò, di solito lo sono.

Davanti a lei si allungò un’ombra. Si girò di scatto. Justin la stava guardando perplesso. “Chi c’era alla porta?”

“Non ho aperto,” disse Agatha. “Era uno che voleva vendere qualcosa. Ho ordinato il pranzo. Dovrebbe arrivare a momenti. Godiamoci il giardino.”

Toni chiamò Simon sul cellulare. “Agatha non apre la porta. Sarà tutto a posto?”

“Quel giovanotto strafigo del quale ti ho parlato prima. Credo che la nostra Agatha sia pazza di lui, quindi non ti vuole avere tra i piedi.”

“Ma è ridicolo,” disse Toni.

“Lo sai com’è fatta,” disse Simon.

Mentre gli raccontava dei casi affrontati in passato, Agatha decise che l’attrazione che provava nei confronti di Justin era esclusivamente materna.

A volte, sia pure di rado, pensava che sarebbe stato carino avere dei figli. Aveva provato forti istinti materni nei confronti di Toni, ma questo sfortunatamente l’aveva portata a cercare di interferire nella vita della ragazza, che aveva finito per allontanarsi da lei. Sentendosi assai più a proprio agio in seguito alla decisione, Agatha chiacchierò fino all’arrivo del cibo, quando lei e Justin tornarono a sedersi in cucina.

A metà del pasto si ricordò che il suo compito era quello di investigare e chiese al giovanotto se suo padre fosse mai stato a Chicago.

“Non lo so,” disse Justin. “So che un paio di volte era stato in America per seguire delle conferenze, ma questo quando mamma era ancora viva.”

“Credo che farei meglio a parlare con suo padre,” disse Agatha. “Sarebbe possibile incontrarlo questa sera?”

“Credo di sì. Quando avremo finito di pranzare gli telefonerò e vedremo di combinare.”

Al momento di congedarsi Justin baciò Agatha su una guancia. Aveva chiamato il padre, che li aspettava entrambi per le sei. Il giovanotto disse che sarebbe passato a prendere Agatha in ufficio.

Dopo che se ne fu andato, la mano di Agatha istintivamente salì alla guancia sulla quale Justin l’aveva baciata. All’improvviso si sentì vecchia e sola.

Rammentando fieramente a se stessa che i sentimenti che provava per Justin non erano altro che materni, si costrinse a non cambiarsi d’abito a favore di qualcosa di più fascinoso. Passò da Doris e le consegnò un nuovo mazzo di chiavi e il nuovo codice forniti dal fabbro, e partì alla volta dell’ufficio.

Fu solo quando arrivò a destinazione che si rese conto che l’assassino poteva essere là fuori mescolato alla folla, e magari stava osservando chi andava e veniva. Telefonò a Justin e gli spiegò che sarebbe stato più sicuro se lui si fosse limitato a fornirle le indicazioni per arrivare a casa Nichols. Poi aprì tristemente un armadio e tirò fuori uno scatolone di travestimenti.

Mi conviene apparire il più sciatta possibile, pensò. Devo sembrare una cliente in ambasce.

Prima di cambiarsi, prese la precauzione di telefonare a una società di noleggio auto e chiese loro di lasciare una vettura parcheggiata in piazza e di portarle le chiavi e il contratto su in ufficio.

Dopo aver pagato il noleggio, si cambiò indossando un vestito scialbo e scarpe senza tacco. Sulla testa si ficcò una parrucca scura che sembrava essere stata sottoposta a una permanente malriuscita. Si gonfiò le guance infilandosi in bocca due tamponi e inforcò un paio di occhiali. Alla fine uscì dall’ufficio, appoggiandosi pesantemente a un bastone, sotto lo sguardo preoccupato della signora Freedman.

L’auto era una Ford nuova, nera e anonima. Dopo aver studiato le indicazioni mise in moto, lanciando molte occhiate nervose allo specchietto retrovisore, nel caso qualcuno la stesse seguendo.

La casa dei Nichols si rivelò una grande villa signorile nei sobborghi della città. Un vialetto ghiaioso portava all’ingresso. Prima di scendere dall’auto Agatha si levò i tamponi dalle guance e si levò anche gli occhiali e la parrucca. Si truccò con cura e spazzolò i capelli fino a farli risplendere. Contorcendosi si liberò del vestito da sciattona e in mutandine e reggiseno di pizzo si stava allungando verso il sedile posteriore per recuperare il vestito di lino quando un colpo sul finestrino la fece sobbalzare. Justin le stava sorridendo. Agatha abbassò il finestrino e disse: “Su, se ne vada e mi lasci sola un attimo. Mi devo solo sbarazzare di questo travestimento”.

Justin sogghignò: “Mi stavo solo godendo lo spettacolo”.

Agatha si infilò imprecando l’abito di lino, calzò un paio di sandali con il tacco alto, si spruzzò generosamente con La vie est belle e si avviò verso la porta d’ingresso dove Justin la stava aspettando.

Il giovanotto la baciò calorosamente sulla guancia. “Ha un buon profumo, Agatha. Entri pure. Siamo in giardino.”

Sebbene l’occhio di Agatha avesse riconosciuto la casa come una costruzione dei primi anni del Novecento, l’atrio era buio e baronale. C’erano due armature complete e accanto due cassettoni intagliati dall’aria antica. Il pavimento era un parquet lucidissimo con bei tappeti persiani piazzati come isole colorate in un mare di legno. Justin girò a sinistra e fece attraversare ad Agatha un ampio salone. L’ambiente sembrava privo di anima, come se fosse stato messo nelle mani di un arredatore di interni senza fantasia. La moquette era color fungo, al pari delle due poltrone e del divano foderato in velluto. Una parete era dominata da un gigantesco schermo televisivo ultrapiatto. Il tavolino da caffè aveva una superficie a vetrinetta, che metteva in mostra una collezione di medaglie. Vasi di fiori rivestiti in seta erano disseminati ovunque. Le portefinestre erano aperte sul giardino dove, seduto a un tavolo, li aspettava un uomo robusto con i capelli grigi.

L’aria lì fuori profumava intensamente di rose. Era un giardino magnifico con un prato all’inglese perfetto, orlato da rose di ogni colore.

Il signor Nichols si alzò per andare incontro ad Agatha. Un tempo doveva essere stato un bell’uomo, notò lei, ma adesso aveva una di quelle facce da beoni con i lineamenti che sembrano sfuocati. Il naso era carnoso e con i pori dilatati, gli occhi di un azzurro slavato con un reticolo di venuzze rosse. Sul tavolo davanti a lui c’era un bicchierone che odorava di vodka. Povero Justin, pensò Agatha. Gli alcolizzati bevono vodka, credendo che sia inodore.

Il signor Nichols aveva una pancia prominente, strizzata dalla cintura dei pantaloni.

Si alzò e strinse la mano di Agatha. “Justin le può portare qualcosa da bere, le va?”

“Sono a posto così. Devo guidare,” disse lei. “Però del caffè mi andrebbe bene.”

“Justin,” ordinò l’uomo, “di’ alla signora Frint che prepari un bricco di caffè e che porti anche qualche biscotto. Dunque, io devo scoprire chi ha ucciso la povera Ruby. Continuo a pensare molto a lei. Insomma, non ho mai smesso di sperare che tornasse da me.”

“Mi sta dicendo che perfino dopo essere stato scaricato in quel modo ha continuato a provare sentimenti intensi nei confronti di Ruby?”

“Io la amo ancora,” confessò il signor Nichols.

“Per prima cosa la devo avvertire, signor Nichols, che in giro c’è un assassino molto pericoloso. Assumendo me per investigare, lei potrebbe esporsi a un pericolo. Il killer è riuscito a introdursi nel mio cottage e a piazzare delle microspie. La signora Frint è la sua governante?”

“Sì, una donna fantastica.”

“Allora bisogna dirle che non permetta a nessuno di entrare in casa tecnici delle linee telefoniche, dell’acqua, del gas, niente del genere, nemmeno se sembrano muniti di tesserino di riconoscimento.”

Gli occhi acquosi e pieni di venuzze del bevitore incallito fissarono Agatha con un’espressione supplice da cane bastonato. “Trovate chi ha ucciso la mia Ruby,” disse.

Justin accompagnò Agatha alla porta. Si fermò sulla soglia. “Che ne dice di uscire a cena una sera, così potrà ragguagliarmi su eventuali scoperte?”

Agatha fissò quegli occhi azzurri e si sentì cedere. “Sarebbe meglio vedersi un po’ lontano da qui,” disse con cautela. “Non vorrei che l’assassino la prendesse di mira.”

“Se facessimo domani sera? C’è l’Orso Nero a Moreton. È un posto sicuro. Molto frequentato. Potremmo trovarci lì alle otto.”

Il desiderio di Agatha di cenare con Justin lottò contro l’immagine fosca del cadavere di Herythe. Il desiderio vinse.

“D’accordo,” disse, un po’ riluttante. “Mi accerterò di non essere pedinata.”